Consenso sanitario, tutore e amministratore di sostegno

Ogni prestazione medica dev’essere idoneamente illustrata all’interessato, al fine di garantire una scelta consapevole, rispetto al trattamento terapeutico proposto. Ma cosa succede per quei soggetti maggiorenni che non sono in grado di esprimere il proprio assenso o diniego, a causa di vari tipi di infermità o disabilità? E quali sono i vari distinguo da fare? Scopriamolo con la presente scheda, elaborata da un’esperta del settore

In primo piano mano di assistente che stringe quella di una persona disabile ricoverata in ospedale, di cui si vede il volto sfuocato sullo sfondoIn passato, secondo un’antica prassi, i medici non erano tenuti a riferire le condizioni di salute dei propri assistiti e ciò comportava che, il più della volte, il malato subiva trattamenti sanitari senza sapere a cosa andasse incontro.
Fortunatamente oggi le cose sono cambiate, per cui chi è cosciente, capace e in grado di intendere e di volere, non può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà e senza il suo valido consenso. Ogni prestazione medica, quindi, dev’essere idoneamente illustrata all’interessato, al fine di garantire una scelta consapevole, rispetto al trattamento terapeutico proposto.
In altre parole, il medico – avendo riguardo sia al livello intellettuale del paziente che del suo stato emotivo e psicologico – dovrà esporre in modo chiaro: la situazione clinica obiettiva riscontrata; la descrizione dell’intervento medico ritenuto necessario e dei rischi derivanti dalla mancata effettuazione della prestazione; le eventuali alternative diagnostiche e/o terapeutiche; le tecniche e i materiali impiegati; i benefìci attesi; i rischi presunti; le eventuali complicanze; i comportamenti che il paziente deve eseguire per evitare complicazioni successive all’atto medico.
Sia l’informativa che il conseguente consenso devono essere prossimi, dal punto di vista temporale, alla prestazione: il consenso, cioè, dev’essere attuale.
Rispetto poi alla forma in cui il consenso dev’essere espresso, non è strettamente necessaria la forma scritta, anche se di prassi si usa questa tipologia di raccolta.

Fin qui, dunque, si è fatto riferimento a un soggetto maggiorenne capace di intendere e di volere, in grado di esprimere il proprio assenso o diniego, ma chi prenderà queste decisioni per quei soggetti, maggiorenni, che non sono in grado di farlo?
Per prima cosa occorre fare subito un distinguo tra soggetti non in grado di esprimere la loro volontà, perché incapaci, quindi interdetti, e quelli ritenuti parzialmente impossibilitati ad esprimere la loro volontà, affiancati dalla figura di un amministratore di sostegno [Legge 6/04, N.d.R.].
All’interdizione di un maggiorenne conseguirà la nomina di un tutore che provvederà a rappresentarlo legalmente. In questo caso, pur se il medico dovrà fare in modo che il soggetto comprenda la situazione, nei limiti delle sue capacità cognitive, sarà il tutore stesso ad esprimere il consenso nell’interesse del suo assistito, sostituendosi a quest’ultimo.
Diversamente, l’amministratore di sostegno di quei soggetti maggiorenni affetti da un’infermità o menomazione fisica o mentale, impossibilitati anche parzialmente o momentaneamente a provvedere ai propri interessi, non si sostituirà alla volontà del paziente, ma lo supporterà, avrà il compito di comunicare la volontà del beneficiario, supportarlo nelle sue scelte di cura o interpretarle laddove non abbia in precedenza avuto occasione di farlo espressamente.
Il medico dovrà sempre verificare quali siano le disposizioni del giudice tutelare, per individuare meglio i poteri conferiti e se si estendono anche all’àmbito sanitario; in mancanza, l’unico soggetto che potrà e dovrà prestare il proprio consenso è il paziente e in tal caso l’amministratore di sostegno potrà intervenire per gli atti di natura sanitaria, tenendo presente quale sia la volontà del beneficiario. In caso di divergenza di vedute tra i due, sarà compito del medico adire il Giudice Tutelare per dirimere il contrasto.
Tale situazione potrebbe sorgere anche con soggetti anziani con problemi cognitivi e pertanto – laddove non vi sia già una nomina in tal senso o familiari preposti legalmente alla cura del soggetto – il medico potrà fare istanza al Giudice Tutelare per la nomina di amministrazione di sostegno o di altra soluzione a tutela del paziente.

In sintesi occorre distinguere quattro casi diversi di intervento:
° totale infermità di mente, con atteggiamento oppositivo e irragionevole: le scelte di cura saranno demandate, per una maggiore protezione, previa interdizione del soggetto, al tutore individuato dal Giudice Tutelare;
° disabilità fisica che non incide sulle facoltà mentali in un soggetto maggiorenne: le scelte di cura spetteranno esclusivamente all’interessato, anche se espresse per il tramite dell’amministratore di sostegno;
° disabilità parziale delle facoltà mentali del soggetto: i trattamenti verranno consigliati dall’amministratore di sostegno affinché siano condivisi – per quanto possibile nel caso concreto – dall’assistito;
° totale impedimento psico-fisico dell’interessato: le scelte di cura spetteranno esclusivamente all’amministratore di sostegno, con la precisazione che, ove la persona abbia in precedenza espresso la propria volontà (ad esempio il rifiuto di un determinato trattamento), l’incarico conferito all’amministratore di sostegno potrà essere condizionato al rispetto di tale volontà.

Da ultimo è il caso di accennare al ruolo dei familiari rispetto al consenso e alla manifestazione.
Si ricorda ancora una volta che in presenza di un soggetto maggiorenne cosciente e in grado di intendere e volere, l’unico ad avere il diritto ad esprimere il consenso è il paziente stesso e sarà sempre il paziente a dare rilevanza alle figure dei parenti, attraverso un suo consenso a informarli sulla sua condizione.
Nel caso di un paziente incapace, anche temporaneamente, o anziano con problemi cognitivi, il medico dovrà necessariamente interpellare i familiari, ma questi comunque non avranno potere decisionale legale o vincolante per il medico.
L’unico caso in cui i familiari possono manifestare un consenso è quello del trapianto di organi da cadavere. La legge in questo caso prevede che in assenza di un consenso all’espianto, da parte del soggetto deceduto, questo potrà essere prestato dal coniuge non separato, dal convivente di fatto o dai figli maggiorenni, dai genitori o dall’amministratore di sostegno.

Avvocato, esperta in responsabilità professionale medica e diritto sanitario, consigliera dell’Associazione di Promozione Sociale InCerchio per le Persone Fragili (Milano).

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