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La mia lotta per la libertà

Elisa Volontieri

Una foto di Elisa Volontieri, tratta dalla sua pagina Facebook “Un respiro in più”

Vivere con una malattia genetica non è semplice, ma se si ha una grande determinazione, ecco che perfino gli ostacoli più difficili non appaiono poi così insormontabili. Lo racconta Elisa Volontieri, affetta da fibrosi cistica, di cui ci piace raccontare la storia oggi, 8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, svelando anche il momento che le ha cambiato la vita.

Grazie, innanzitutto, per averci concesso questa intervista. Parlaci un po’ di te: chi è Elisa Volontieri?
«Elisa Volontieri… non saprei come descriverla… È una ragazza di 19 anni, 20 a maggio, non tanto alta, anzi piuttosto bassina, ma con la grinta e la forza di un uragano. Sono una ragazza molto introversa, che non sa esprimere i propri pensieri a voce, ma solo con carta e penna. Amo gli animali, amo la fotografia, amo la mia Ohana [con questo nome Elisa chiama la sua famiglia allargata, quella che ha creato non badando ai legami di sangue, N.d.R.] e amo la mia vita così com’è. La amo anche se ha avuto delle lacune enormi, ma che con un sorriso e una risata è sempre tornata in superficie. Potrei riassumere la mia vita con un biglietto da visita carico e ricco, ma con l’aggiunta di un particolare: la mia malattia genetica».

Quando e come è avvenuto il tuo incontro con la fibrosi cistica?
«La fibrosi cistica mi è stata diagnosticata quando mi operarono di urgenza, dopo ventiquattr’ore di vita, per un’occlusione intestinale neonatale causata dal meconio compatto – è questo un primo segno clinico della malattia – oltre al test del sudore che mi fecero successivamente per confermare la diagnosi. Da quel momento cambiai completamente l’esistenza dei miei genitori e di mio fratello».

Ma in che modo la malattia influenza la tua vita sociale, affettiva e “professionale”?
«Fino a un po’ di mesi fa la fibrosi cistica influenzava molto la mia vita sociale. Passavo la maggior parte del tempo in casa, sul divano o a letto, facevo poco movimento e il poco che facevo mi richiedeva un sacco di energie. Nell’arco della mia carriera da studentessa penso di aver fatto il possibile per riuscire a stare al passo con i miei coetanei, perché nonostante tutti i ricoveri ospedalieri e i mesi di assenza, in qualche modo mi arrangiavo. Per quanto riguarda la vita sociale, mi sono creata una cerchia di amicizie che sta sulle cinque dita della mano, e se ci si riferisce anche all’uscire al sabato sera o comunque al fare cose da ragazza della mia età, beh non le ho fatte, non le faccio e credo proprio che non le farò mai».

Hai recentemente subito un trapianto bipolmonare: come è cambiata la tua vita da quel momento in poi?
«Ebbene sì, il 23 ottobre dello scorso anno ho fatto il trapianto bipolmonare, un intervento durato tante ore, ma che mi ha cambiato la vita per sempre. Le emozioni che si possono provare possono essere davvero tante e tutte diverse tra loro, possono andare dalla paura e dal terrore alla felicità e alla commozione, però io non ho provato nulla di tutto ciò. Non ricordo nulla prima dell’intervento, non ho assistito alla chiamata fatidica dell’arrivo degli organi, so e ricordo solo che ero in terapia intensiva attaccata a un polmone artificiale perché i miei due non funzionavano più. La mia vita è ricominciata il 26 ottobre 2015, quando mi sono risvegliata: da quel momento ogni cosa, anche la più scontata, era nuova».

Hai una pagina Facebook (Un respiro in più) e sei impegnata attivamente anche su altri fronti, sempre relativi alla fibrosi cistica…
«Sì, nel maggio di due anni fa ho deciso di aprire una pagina Facebook e di chiamarla appunto Un respiro in più. Avevo bisogno di esprimere i miei pensieri e di far conoscere la fibrosi cistica, non solo come malattia genetica rara, ma anche come stile di vita. Insieme ad altri ragazzi sono anche la testimonial della Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica».

Fibrosi cistica e mass-media: credi ci sia un’informazione adeguata al riguardo?
«Far conoscere questa malattia attraverso i mass-media penso sia un ottimo mezzo, in quanto le persone che ne sono affette sono davvero tante e tutte, anche se in piccolo, diverse tra loro. Su Facebook, ad esempio, ci sono vari gruppi, dove ci si aiuta e ci si scambiano opinioni e consigli».

Un messaggio per le altre persone con la fibrosi cistica?
«So per certo che è difficile questa vita “da schiavi”, ci sono passata anch’io e sono tuttora in ballo, nonostante il trapianto. Ma una cosa la so… Non bisogna arrendersi, neanche quando non c’è più niente che va per il verso giusto. Tanti sono i nostri angeli che la “bestia” si è portata via, ma è anche per loro che la nostra lotta per la libertà deve andare avanti».

La presente intervista è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Ricomincio da qui” e viene qui ripresa, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

Fibrosi cistica
Si tratta di una rara malattia genetica, potenzialmente letale, che colpisce circa 75.000 persone tra Nordamerica, Europa e Australia, tra cui circa 6.000 in Italia. Per esserne affetti, i bambini devono ereditare due geni CFTR difettosi – uno da ogni genitore – e ad oggi sono più di 1.900 le mutazioni note del gene stesso, alcune delle quali – individuabili tramite un test genetico – portano alla fibrosi cistica determinando un numero inferiore al normale di canali della proteina CFTR sulla superficie cellulare, o di canali non funzionanti.
L’assenza di una proteina CFTR funzionante comporta un ridotto flusso ionico all’interno e all’esterno della cellula in una serie di organi; in conseguenza di ciò, si accumulano secrezioni mucose spesse ed eccessivamente viscose, bloccando i passaggi in molti organi e in particolare nei polmoni, causando vari sintomi, tra cui infiammazione polmonare cronica, infezioni ricorrenti e danni progressivi ai polmoni stessi. (S.B.)

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