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Chi sceglie il bastone bianco o il cane guida sceglie di vivere

Donna cieca con il bastone biancoPer le persone con disabilità il tema dell’autonomia è sempre un punto dolente, qualsiasi sia il tipo di disabilità o l’età della persona. Per i ciechi e gli ipovedenti, esso si manifesta in particolar modo nella mobilità: il rischio infatti di dipendere sempre dagli altri per i propri spostamenti è molto alto e ciò ha una ricaduta assai negativa sul proprio livello di benessere psicofisico e sulla propria autostima.
È per questi motivi che molte Sezioni dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) promuovono, oltre a soggiorni riabilitativi e a corsi di autonomia personale e domestica, corsi di orientamento e mobilità, il cui scopo precipuo è proprio quello di insegnare alle persone con nulla o ridotta capacità visiva a muoversi nello spazio, utilizzando i sensi residui, ascoltando il rumore del traffico e… utilizzando il bastone bianco!
Il bastone bianco rappresenta uno dei principali segni distintivi dei ciechi e proprio per questo motivo – nonostante sia, insieme al cane guida, lo strumento principe per acquisire o riacquisire la propria autonomia e libertà di movimento – è drammaticamente difficile avvicinarsi ad esso ed accettare di utilizzarlo, soprattutto per le persone ipovedenti, che lo evitano sino all’ultimo.

Chi scrive ha perso la vista a 20 anni nel giro di un paio di mesi e per molto tempo ha vissuto nell’attesa che la vista ritornasse (perché i medici mi avevano paventato tale possibilità) e così trascorreva un giorno dopo l’altro senza che facessi nulla… In pratica sopravvivevo e non vivevo!
Poi, dopo circa un anno e mezzo, ho capito che la vista un giorno avrebbe potuto anche tornare, ma io nel frattempo non potevo stare ferma in attesa, dovevo reagire, dovevo riprendere in mano la mia vita! Ho deciso quindi di iscrivermi all’università e ho conosciuto altri giovani che come me non vedevano; insieme a loro, nell’estate del 2001, organizzammo una vacanza in autonomia: dieci giorni in un appartamento in una località marina, insieme a due istruttori di orientamento e mobilità e autonomia personale che ci insegnavano a cucinare, fare le pulizie, fare la spesa e orientarci in un luogo sconosciuto.
Per me quella vacanza è stata un punto di svolta. In dieci giorni sono cambiata in maniera del tutto inaspettata: quelli sono stati i giorni in cui ho preso in mano per la prima volta in vita mia un bastone bianco!
Io, che fino a quel momento godevo per il fatto di passare inosservata quando camminavo a braccetto con qualcuno (mi muovo con naturalezza e nessuno, guardandomi in faccia, si accorge che non vedo), presi in mano quel simbolo di cecità: con il bastone bianco in mano, tutti si accorgevano che non vedevo… avevo finalmente – con il prezioso aiuto dell’istruttore – rotto il ghiaccio.
Non immediatamente, ma dopo circa un altro annetto ho iniziato a fare un corso di orientamento e mobilità… ormai ne ero convinta, non ero più preoccupata che gli altri si accorgessero della mia cecità! È stata una scelta di vita importante e, con il senno di poi, avrei dovuto farla prima e con maggiore convinzione.
Quindi, a ridosso del mio matrimonio, decisi che volevo passare al cane guida, per superare alcune difficoltà che, purtroppo, ho nell’utilizzo del bastone: e così nel 2006 è arrivata in famiglia Sidney, un bellissimo e coccolosissimo labrador nero e pian piano ho iniziato ad essere ancora più indipendente… Una soddisfazione indescrivibile!

Scegliendo di utilizzare il bastone bianco prima, e di farmi accompagnare da un cane guida poi, non mi sento di essere scesa a compromessi con la mia disabilità, ma sento di aver scelto di vivere liberamente e con dignità la mia vita di persona cieca!
Sono quindi rimasta sconcertata, quando, durante la puntata del 13 marzo scorso di Domenica Live, su Canale 5, ho sentito dire ad Annalisa Minetti che chi sceglie di muoversi con l’ausilio del bastone bianco o del cane guida scende a compromessi con la propria disabilità. Mi preoccupa che una persona famosa dica una cosa del genere in un programma televisivo così popolare, mi preoccupo per tutte quelle persone che a fatica stanno approcciandosi al bastone bianco, lottando aspramente con le proprie resistenze, che stanno cercando di percorrere quella faticosissima strada che porta all’accettazione della propria disabilità visiva. Penso anche a quei genitori che, sentendo quelle parole, potrebbero avere la tentazione di non far frequentare un corso di orientamento e mobilità al proprio figlio, ritenendo più utile e dignitoso per lui accompagnarlo ovunque, impedendogli di fatto di vivere pienamente la propria vita.

Decidere di utilizzare il bastone bianco o di essere accompagnato dal cane guida significa scegliere di vivere e di non farsi imprigionare dal proprio disturbo visivo.
Io rispetto la scelta di Annalisa Minetti di non utilizzare questi ausili, ma le chiedo di non giudicare coloro che lo fanno e, soprattutto, di non affermare che la disabilità non è un limite: volenti o nolenti, dobbiamo accettare che è così, poi, certo, è possibile attraverso tanti strumenti ridurre al minimo il proprio livello di disabilità… ma non si può negare che ci siano dei limiti con i quali fare i conti e che, in qualche caso, non è possibile superare, ma solo accettare.
Tra le altre cose, Minetti ha raccontato di essere stata additata come “falsa cieca”, e quindi sa benissimo cosa si prova ad essere accusati ingiustamente e sono certa che non intenda far sperimentare ad altri questa dolorosa esperienza (per altro sono perfettamente d’accordo con lei quando afferma con decisione la necessità di superare gli stereotipi e i pregiudizi, perché i ciechi e gli ipovedenti sono in grado di fare molte più cose di quanto la gente pensi e che siamo persone e non “soggetti prodotti in serie”, che hanno le stesse caratteristiche e che sanno o non sanno fare le medesime cose: ogni cieco e ogni ipovedente è una persona a sé, che, come chiunque altro, ha talune abilità e capacità e non altre).

Ha destato in me molta preoccupazione anche quanto Minetti ha detto relativamente alla possibilità di guarigione dalla retinite pigmentosa: lungi da me togliere le speranze a chi soffre di questa patologia (non è il mio caso), ma bisogna stare molto attenti quando si fanno in pubblico certe affermazioni.
Davanti alla televisione ci possono essere persone alle quali è stata appena diagnosticata la malattia o che stanno progressivamente perdendo il proprio residuo visivo; ci possono essere genitori con figli che stanno vivendo questo dramma, tutti soggetti estremamente vulnerabili che, pur di non cadere nel baratro della disperazione, si aggrappano con le unghie e con i denti a qualsiasi flebile speranza. Il problema è che ciò impedisce loro di vivere l’oggi, non consente loro di impegnarsi per vivere il proprio presente in maniera soddisfacente, facendoli invece vivere nell’attesa di una cosa che non si sa se e quando accadrà! Senza contare il rischio di iniziare – o di fare iniziare al proprio figlio – innumerevoli “viaggi della speranza” che, ancora una volta, impediscono di proseguire con la propria vita.
Ripeto, non si tratta di togliere tutte le speranze ai portatori di questa o di altre malattie, ma solo di impedire loro di vivere un’attesa perenne, facendosi scivolare via la vita dalle mani.

Ogni persona è unica e ha un proprio modo di affrontare la vita e le sue vicissitudini e, soprattutto, ha il sacrosanto diritto di essere rispettata per questo, anche quando fa scelte che non sono condivise o comprese. Nessuno si merita di essere giudicato perché fa delle scelte piuttosto che altre, perché decide di vivere in un modo piuttosto che un altro: dico queste cose pensando a tutti coloro che si sono sentiti feriti e giudicati dalle parole di Annalisa Minetti, che si sentono in colpa perché non hanno la forza di reagire o perché si sentono accusati di “scendere a compromessi con la vita”.
Io ho fatto il mio percorso, sono riuscita a fatica ad accettare la mia cecità, ma non tutti ci riescono e, sicuramente, non tutti i telespettatori in condizioni di fragilità sono nelle condizioni in questo preciso momento storico di affrontare i propri traumi.
Ognuno ha i propri tempi e quando si parla sapendo che milioni di persone stanno ascoltando, sapendo che le proprie parole saranno riprese dai giornali e dai social network e che il video della trasmissione sarà sempre disponibile sul web, tutto questo è da tenere in considerazione!

Io non ho l’abitudine di raccontare in pubblico aspetti così intimi della mia vita, ma dopo avere visto il video di Domenica live, mi sento, come cieca e come dirigente nazionale dell’UICI, in dovere di intervenire per tentare di arginare gli effetti potenzialmente devastanti delle parole della Minetti e, pur sapendo che non sarò ascoltata, prego gli autori e i conduttori di trasmissioni televisive di prestare maggiore attenzione quando trattano argomenti così delicati, pensando alle persone che ci sono dall’altra parte dello schermo piuttosto che all’audience.

*Componente della Direzione Nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti).

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