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Amore e sessualità ovvero vite che desiderano “vita”

Persona sfuocata sullo sfondo, dietro ai raggi di una ruotaPer illustrare lo spirito e i presupposti conoscitivi di una ricerca che sto conducendo, alla quale spero che tanti Lettori di «Superando.it» possano fornire il loro apporto esperienziale, prendo a prestito “emozioni, espressioni ed emozioni” suggeritemi da una cara amica.
Vite (“non degne di essere vissute”, secondo una frase tristemente nota a livello storico) che desiderano “vita”, che anelano a potersi abbeverare alla fonte dell’energia vitale, che sperano di potersi finalmente “buttare” nel mare delle possibilità, scegliendo anche di farsi male fisicamente (tanto al dolore la disabilità ci ha abituato, e si tratta di una disabilità che non fa sconti, dove la sofferenza, che spesso si trasforma in insofferenza, fisica ed emotiva, diviene, ahimè, carta fin troppo conosciuta), ma anche emotivamente.
Perché chi soffre sente e chi sente è vivo. E così può scegliere anche di cambiare strada, di nuotare in un’altra direzione nel mare “insidioso” dell’esistenza, o al contrario troppo piatto, e già scritto “dall’alto”, di verità e certezze che assumono la fisionomia di atteggiamenti pregiudiziali e stereotipi.

Questa possibilità di cambiare strada, di poter scegliere se restare in acque calme o avventurarsi in “mare aperto”, anche nella propria vita emotiva e sessuale, a costo di soffrire, prende il nome di principio di autodeterminazione. Scegliere per la propria vita e riuscire a sviluppare una consapevolezza tale che consenta di farlo davvero. Scegliere per incontrare l’altro da sé, e attraverso di lui/lei, se stessi. I se stessi dimenticati o mai conosciuti.
Sperimentare, attraverso il corpo dell’altro, i propri confini, le proprie geometrie, e anche i propri limiti, sia corporei che emotivi. Ma avere anche la possibilità di comprendere che è possibile imparare, o reimparare, a percorrere una strada sensoriale ed emozionale diversa, ognuno secondo il proprio sentire riscoperto, quella via che viene mostrata dal dialogo di corpi e anime.
Una possibilità di “sentire”, che sia possibile sperimentare “in solitaria” o scegliere di condividere e che, se agìta, può portare a vivere nuove opportunità di crescita e di adeguatezza sociale. Una legittima richiesta di appropriatezza di sensazioni e di esperienze, rispetto alla propria età biologica, ai propri spontanei desideri, alla vita che comunque si vorrebbe vivere, ma anche l’anelito a una maggiore libertà (una libertà che purtroppo attualmente a volte è nulla), rispetto alle pressioni di un contesto sociale di appartenenza che detta regole “tiranniche”, che esercitano pressioni e relegano le persone con disabilità all’angolo della compagine di consociati.

Perchè l’amore, innanzitutto per se stessi prima ancora che per un altro o un’altra, è un demone, un daimon, che si palesa grazie alla consapevolezza di sé, emotiva ma anche sessuale, che si può maturare solo attraverso il contatto e l’interazione con l’altro da sé.
Per dirla con le parole di Platone, esso nasce dall’incontro tra l’abbondanza (di stimoli e di esperienze, aggiungeremmo), che il filosofo chiama Poros, e la loro penuria, cioè la Penia.
Ma se l’amore – in senso lato – è costretto a nutrirsi solo di “mancanze”, ecco spuntare quel senso di inadeguatezza, “padre dell’handicap”, cioè dell’incapacità di rispondere adeguatamente alle aspettative di ruolo della società. Un’incapacità non ascritta e intrinseca, bensì frutto di un ambiente, fisico e sociale, ostile. Quel senso di inadeguatezza che poi genererà frustrazione crescente…

Chi scrive, come detto inizialmente, è impegnata in un viaggio di scoperta conoscitiva e scientifica su tali argomenti, nell’àmbito di una ricerca di dottorato condotta in collaborazione con l’Università Parthenope di Napoli (La sessualità delle persone con disabilità. Tra diritto alla salute e all’autodeterminazione. Riflessioni condivise per un percorso di scoperta e riscoperta), che tutti possono contribuire ad arricchire con le proprie opinioni ed emozioni, tramite il questionario, rigorosamente anonimo verso terzi, che è alla base del mio studio.

Sociologa, giornalista e dottoranda presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Parthenope di Napoli.

Accedendo a una specifica pagina web, gli interessati a collaborare con la ricerca di Tania Sabatino possono trovare una nota metodologico-esplicativa, contenente i presupposti e le istruzioni di compilazione del questionario, e naturalmente il questionario stesso.

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