La disabilità nelle carceri

Erano 628, secondo la più recente rilevazione, i detenuti con disabilità, distribuiti in 16 diverse Regioni e molti dei quali con problemi nella locomozione, nelle funzioni della vita quotidiana o nella comunicazione. Una recente Lettera Circolare, prodotta dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, individua gli interventi che andrebbero attuati, per garantir loro la massima autonomia possibile, favorendone al tempo stesso l’accesso ai servizi sociosanitari

Sbarre all'ingresso del corridoio di un carcereCon la Lettera Circolare n. 0089149 del 14 marzo scorso, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia ha affrontato il tema della condizione di disabilità motoria nell’ambiente penitenziario.
Il documento, riprendendo il concetto di disabilità introdotto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e l’approccio basato sulla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), fornisce i dati del monitoraggio sulle persone con limitazioni funzionali detenute, realizzato nell’agosto dello scorso anno dalla Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento.

Alla data della rilevazione, dunque, negli istituti penitenziari erano presenti 628 detenuti con disabilità, pari a circa l’1% della popolazione penitenziaria. Si tratta di 528 italiani (26 donne) e 100 stranieri (8 donne), distribuiti in 16 Regioni. 191 di loro (18 donne) hanno difficoltà nelle funzioni della vita quotidiana (lavarsi, vestirsi, spogliarsi, mangiare, avere cura della persona, sedersi, alzarsi dal letto e dalla sedia), 153 (5 donne) nella mobilità corporea (ad esempio a uno degli arti), 232 (11 donne) hanno limitazioni nella locomozione e 52 (1 donna) hanno problemi nella comunicazione (vedere, sentire, parlare).

A livello generale, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Ufficio Statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al 31 maggio del 2016 erano presenti complessivamente negli istituti penitenziari italiani 53.873 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare pari a 49.697 posti. Più volte, va ricordato a tal proposito, l’Italia è stata censurata dal Consiglio d’Europa e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per il sovraffollamento degli istituti penitenziari, ma anche per una non adeguata tutela della salute dei detenuti.
L’articolo 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, la cosiddetta CEDU, prevede l’obbligo positivo dello Stato di garantire che, nel corso della reclusione, ogni persona sia detenuta in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana e che le condizioni di esecuzione della misura detentiva non sottopongano la persona stessa a un disagio o a una prova di un’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza insita nella detenzione. Infine, sempre la CEDU impone che, tenuto conto delle esigenze pratiche della prigionia, siano assicurati adeguatamente la salute e il benessere del detenuto, specialmente attraverso la somministrazione tempestiva delle cure necessarie.
È quasi superfluo ricordare come la cogenza dell’articolo 32 della nostra Costituzione in materia di salute («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…») non sia intaccata dallo stato di reclusione.

In questo quadro, le accertate violazioni dell’articolo 3 della CEDU impongono una più attenta e operativa sensibilità alle condizioni delle persone con disabilità recluse.
Il nostro ordinamento prevede che possa essere richiesta, accertata e riconosciuta, con specifici procedimenti, l’incompatibilità della carcerazione con gravi motivi di salute. In tali casi deriva la concessione, su ordinanza del giudice competente, degli arresti domiciliari.
Si tratta, in ogni caso, di casi estremi e connessi a situazioni di salute e non di disabilità nel suo significato più corretto. In realtà, sarebbe necessario monitorare l’effettiva accessibilità delle strutture penitenziarie, non solo rispetto alla presenza di stanze di pernottamento attrezzate e alla più complessiva accessibilità di tutti gli ambienti di cui possono fruire i detenuti, ma anche in relazione alle generali condizioni di vita degli stessi, per quanto concerne la detenzione e la possibilità di fruire, al pari degli altri reclusi, di pene alternative.
Per altro queste esigenze sono state rilevate negli anni (già nel 1999) dall’Amministrazione Penitenziaria, che ha indicato l’intento di individuare all’interno degli istituti penitenziari celle e ausili adeguati al soggiorno di persone «con deficit motorio permanente».
In conformità quindi con la normativa nazionale e internazionale, la Lettera Circolare del marzo scorso individua gli interventi specifici di competenza dell’Amministrazione Penitenziaria, con l’obiettivo di garantire la massima autonomia possibile della persona con disabilità e di favorirne l’accesso ai servizi sociosanitari.
In particolare, nel rispetto dell’articolo 3 della CEDU e dell’articolo 15 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, per cui nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti, oltreché nel rispetto delle Sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Lettera affronta le questioni relative a: l’accessibilità delle strutture e gli “accomodamenti ragionevoli”; la presa in carico della persona con disabilità e il programma di trattamento rieducativo individualizzato (si ricordi qui l’articolo 27 della Costituzione, ove si dice che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»); l’assistenza sanitaria; la formazione di altri detenuti al lavoro di caregiver sul modello di quello familiare; la raccolta dei dati e il monitoraggio.

Responsabile del portale «Condicio.it – Dati e cifre sulla condizione delle persone con disabilità», spazio di comunicazione che è il frutto di un progetto della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e nel quale il presente contributo è già apparso (con il titolo “La condizione di disabilità nelle carceri”). Viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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