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Sclerosi multipla e altre malattie autoimmuni: un’ipotesi di cura

Valerio Chiurchiù

Il ricercatore Valerio Chiurchiù, che ha coordinato lo studio sulle possibili valenze terapeutiche delle molecole “resolvine”, per la sclerosi multipla e altre malattie autoimmuni

Sono trascorsi solo pochi anni da quando nei laboratori dell’Università statunitense di Harvard, presso Boston, il gruppo di ricercatori del Centro di Terapie Sperimentali diretto da Charles Serhan ha individuato le molecole che regolano la fase conclusiva di un processo infiammatorio acuto, riparando i tessuti danneggiati e ripristinando quindi lo stato di buona salute del nostro organismo. Da allora lo studio di quelle molecole, le cosiddette resolvine, è proseguito, per capire sempre meglio il loro funzionamento.
Tre anni fa, poi, un ricercatore italiano, Valerio Chiurchiù  della Fondazione Santa Lucia IRCCS e dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, ha bussato alla porta del professore Serhan a Boston con un’idea nuova: «L’ipotesi che proposi in quell’occasione – racconta egli stesso – fu di verificare la possibile efficacia delle resolvine non solo nel chiudere a tempo debito un normale processo infiammatorio, ma anche nel correggere quei processi immunitari difettosi che portano a uno stato infiammatorio cronico e perfino all’autoaggressione dei propri tessuti, come nel caso di diverse malattie infiammatorie croniche o autoimmuni».

Ebbene, i risultati di tale studio – nato proprio da quel colloquio a Boston e che ha ricevuto tra l’altro il supporto economico della FISM, la Fondazione che opera a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) – sono stati pubblicati ora dal periodico scientifico «Science Translational Medicine» e hanno dimostrato l’effettiva capacità delle resolvine di ristabilire un corretto equilibrio del sistema immunitario in modelli di laboratorio. «Ora – spiega Chiurchiù – stiamo iniziando a replicare gli esperimenti su campioni ematici di pazienti affetti da sclerosi multipla e se registreremo analoghi risultati, saremo in grado di proseguire con studi che, dalla fase uno in laboratorio fino alla fase tre su soggetti umani, potrebbero condurre in tre anni allo sviluppo di un nuovo protocollo terapeutico».
Il trattamento di patologie come la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico (LES) e più in generale di malattie provocate da stati infiammatori cronici e disfunzioni del sistema immunitario potrebbe dunque giovarsi degli effetti delle resolvine. «I risultati ottenuti – commenta infatti Charles Serhan – permetteranno ora a noi e ad altri ricercatori di tradurre i risultati degli studi con mediatori lipidici della risoluzione dell’infiammazione (pro-resolving mediators) in nuovi trattamenti e nuove strategie terapeutiche».

Ma come si esplica esattamente l’azione delle resolvine sul sistema immunitario? «Nelle infiammazioni che non si risolvono o che risultano incontrollate e sono alla base di tutte le più comuni malattie infiammatorie croniche o autoimmuni – spiega Valerio Chiurchiù – il problema principale è dato dai linfociti [cellule presenti nei globuli bianchi del sangue, specializzate nella funzione immunitaria, N.d.R.]. Si verifica infatti un’alterazione dell’equilibrio tra i linfociti chiamati a distruggere le cellule estranee all’organismo, come ad esempio i Th1 e i Th17, e i linfociti regolatori Treg, che inibiscono l’azione dei primi alla fine dell’azione immunitaria, impedendo reazioni eccessive una volta che il danno è stato eliminato. Gli esperimenti che abbiamo condotto hanno dimostrato che se iniettiamo resolvine in un sistema che presenta questo squilibrio, dopo poco tempo l’attività dei linfociti autoreattivi viene soppressa, mentre quella dei linfociti regolatori viene potenziata, spostando così l’equilibrio a favore delle “cellule buone”».
«Una carenza di resolvine nell’organismo – prosegue Chiurchiù – potrebbe quindi confermarsi in futuro un fattore coinvolto nella genesi di infiammazioni croniche e malattie autoimmuni e se così fosse, le resolvine potrebbero non solo risultare utili per lo sviluppo di nuove terapie, ma anche come marcatori biologici per la prevenzione di questo tipo di patologie».

Da dire in conclusione che i risultati dello studio confermano anche gli effetti benefici di una dieta ricca di Omega 3. Le resolvine sono prodotte infatti dal nostro organismo attraverso il metabolismo degli acidi grassi Omega 3. «Sono molecole importanti – sottolinea Chiurchiù – che per la loro origine dal metabolismo degli Omega 3 evidenziano ancora una volta l’utilità di un’alimentazione ricca di pesce». E questo fa ben sperare anche per i tempi di sviluppo di una loro possibile applicazione farmaceutica: essendo infatti molecole presenti nel metabolismo di un organismo sano, non si presenta il pericolo di effetti collaterali nel caso di un loro uso terapeutico. (B.E. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti:
° Barbara Erba (Ufficio Stampa AISM), barbaraerba@gmail.com
° Stefano Tognoli
(Ufficio Stampa Fondazione Santa Lucia IRCCS), s.tognoli@hsantalucia.it

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