Atleti di ogni tipo: li riuniamo?

«Non esiste – scrive Rosa Mauro – un tipo di uomo unico, ma diverse tipologie che a volte usano degli ausili per esprimersi o che necessitano di un linguaggio diverso per comprendersi e comprendere. Lo sport deve servire a indicarlo, attraverso percorsi comuni, non sempre differenziati, attraverso la comprensione reciproca, non viaggiando su rette parallele destinate a non incontrarsi mai. Per questo credo che la via giusta sia quella di far competere e allenare in comune atleti e paratleti»

Federico Morlacchi con la medaglia d'oro conquistata a Rio 2016

Federico Morlacchi con la medaglia d’oro conquistata nei 200 misti di nuoto (categoria “SM6”) alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro

Guardare le Olimpiadi e le “Olimpiadi parte seconda”, come le chiamo io – perché il termine “Paralimpiadi” mi pare proprio non renda bene – è sempre una buona idea. Ma commentarle su Facebook è ancora meglio, perché spesso possono davvero saltare fuori posizioni originali e, in questo caso, oltre che condivisibili, davvero auspicabili.
E così, quando Walter, un amico di Facebook, mi ha suggerito di fare competere atleti e paratleti, ho subito pensato: perché no?
Già allo stato attuale alcune discipline potrebbero essere praticate insieme, e di fatto alcuni paratleti partecipano anche alle “Olimpiadi parte prima”: è il caso del tiro con l’arco ad esempio.
Tennis tavolo, tiro con l’arco, tiro con la carabina potrebbero vedere riuniti atleti e paratleti, ovviamente in categorie che li rendessero paritari. Ma non sarebbe bello vedere anche Cecilia Camellini e Federica Pellegrini [rispettivamente campionessa paralimpica e campionessa olimpica del nuoto, N.d.R.] riunite in un’unica gara, non competitiva, che permettesse di vedere espresse le reciproche qualità e individualità? Si potrebbero fare degli allenamenti in comune per permettere di sinergizzarsi meglio uno con l’altro, e certo non farebbe male, a tutti gli atleti, poter acquisire abilità che sono tipiche di una o dell’altra categoria.

La preparazione atletica, infatti, non è tutto: in una gara è importante anche la tenacia, il non arrendersi quando il corpo sembra stanco. Alle “Olimpiadi parte prima” mi è rimasta impressa la frase di una nostra nuotatrice che aveva detto: «A un certo punto il corpo sembrava non rispondere più, mi sono sentita stanca e in pratica mi sono arresa». È qualcosa che nessun paratleta direbbe mai: una medaglia d’argento nella corsa ha confessato di essere stata fino a pochi giorni prima in ospedale sotto morfina per i dolori, e la stessa nostra lanciatrice di disco e peso è stata operata da poco di ernia al disco, ma è a Rio a gareggiare!
Allenarsi insieme potrebbe insegnare a quella nuotatrice – per altro molto nota e indubbiamente dotata – l’unione corpo/mente/spirito che caratterizza i paratleti. Il corpo è solo uno degli elementi da usare durante una gara, e non necessariamente quello più importante.
E finalmente anche chi snobba le Paralimpiadi – magari solo perché deve spostarsi di canale per seguirle (che fatica, passare da Raidue a Raisport…), non avrebbe più scuse e conoscerebbe tutti i nostri atleti.
Si potrebbe anche cominciare ad investire di più negli atleti paralimpici, magari aumentando le strutture disponibili, perché è questo che spesso ostacola la pratica sportiva. Tra l’altro, nei Paesi anglosassoni allenarsi insieme è una prassi comune.

Inutile parlare di inclusione se poi non la si pratica davvero e, per farlo, credo che questa sia la via. Passa infatti attraverso queste esperienze l’insegnamento a sportivi e non che la diversità funzionale non implica una diversità di dignità, impegno e risultati nella vita, e, mi si permetta una frecciatina da cittadina romana, lo sport non è una questione di “poteri forti” o “deboli”, ma è una palestra di vita che ci si dovrebbe sentire onorati ad ospitare. Sopratutto quando insegnano – attraverso una presenza non ancora contemporanea, ma di pari dignità di atleti con funzionalità diverse – a costruire un mondo uguale per tutti. Capito, detrattori di Roma 2024?

È necessario però osare di più, creare davvero queste sinergie, anche prima delle competizioni internazionali, andando al cuore della definizione di sport e di espressione corporea: non esiste un tipo di uomo unico, ma diverse tipologie che a volte usano degli ausili per esprimersi o che necessitano di un linguaggio diverso per comprendersi e comprendere. Lo sport deve servire a indicarlo, attraverso percorsi comuni, non sempre differenziati, attraverso la comprensione reciproca, non viaggiando su rette parallele destinate a non incontrarsi mai.
Evviva lo sport per tutti e ricordatevi: guardatela tutta l’Olimpiade, finisce il 18 Settembre!

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