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Il bon ton del disabile

Copertina del "Galateo" di Giovanni Della Casa, con autore cambiato da Gianni Minasso (Giovanni Della RSA)Qualcuno l’ha pure affermato a chiare lettere: i disabili parcheggiano già dove vogliono, nelle code passano davanti a tutti e non pagano il biglietto ai concerti, ma devono anche essere per forza maleducati? Quindi, per accogliere quest’accorato lamento e censurare la non infrequente malacreanza dei miei colleghi “esenti C02”, ho avvertito la necessità di ricorrere all’aiuto dell’espertissimo monsignor Della Casa che, fin dal lontano 1558, ci martella col suo Galateo. Consultando tale opera, ho estrapolato alcuni titoli e asserzioni, approntando, con gli opportuni adattamenti, una breve versione dedicata ai portatori di handicap. Leggete e, soprattutto, applicate. (G.M.)

1. Ideale di vita: i buoni costumi sono utili alla società
…e, come i piacevoli modi e gentili hanno forza di eccitare la benivolenza di coloro co’ quali noi viviamo, così per lo contrario i zotichi e rozzi incitano altrui ad odio et a disprezzo di noi

È indiscutibile: rispetto ai sani i disabili, nella società, occupano una posizione privilegiata perché il welfare li indennizza e li coccola, scatenando i risentimenti di chi invece gode di buona salute. Quindi, per continuare a rotolarsi in questi vantaggi, è bene che pure chi poggia le natiche sull’antidecubito di una carrozzina impari a coniugare correttamente il verbo controllarsi.

2. Cose laide da non fare o nominare
Percioché non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice

In questo campo il gentiluomo disabile possiede ampi margini d’azione. Non sapendo bene da dove incominciare, buttiamola subito sullo scatologico, esortando i destinatari di questo manualetto a comunicare al proprio caregiver, nel modo meno traumatico possibile, che purtroppo la pupù a lungo trattenuta ha finalmente visto la luce sì, ma… nei pantaloni! Restando ancora col caregiver, non bisogna cazziarlo a sangue per l’alito aromatizzato all’aglio e poi, per favore, prima di andare a trovare gli amici residenti in alloggi tirati a lucido, si provveda a staccare lo strato di palta disseccata che ormai da mesi alberga sotto alla carrozzina elettrica. Vale anche il principio di limitare i comizi con le descrizioni dettagliate di bave respiratorie, performance epilettiche, sedute sudaticce di fisioterapia e afrori post-operatori.

3. A tavola: modi dei commensali e dei servitori
…coloro che noi veggiamo talora a guisa di porci col grifo nella broda tutti abbandonati non levar mai alto il viso e mai non rimuover gli occhi, e molto meno le mani, dalle vivande

Per chi ha perso l’autosufficienza, si apre qui uno dei millanta capitoli dolorosi. Già è disdicevole dover sottostare a limitazioni dietetiche o a difficoltà di ingestione-assimilazione-digestione del cibo. Figurarsi poi riuscire a seguire uno straccio di compostezza al desco familiare o a tavole extramoenia quando un morbo cronico ci azzanna le caviglie costringendoci a pasteggiare con le medesime, delicate movenze di un cinghiale appenninico… Occorrerà allora circoscrivere gli inevitabili danni d’immagine. L’ideale sarebbe andar a pranzare in un atollo disabitato o cassare gli inviti, tuttavia, per risparmiare i quattrini dei biglietti aerei o non diventare impopolare, sarà preferibile adottare particolari strategie, come scegliere posizioni defilate dietro eventuali colonne, farsi volutamente impallare da altri commensali, occultarsi con ventagli, sincronizzare i propri gesti sgraziati con l’attenzione altrui oppure (a mali estremi) digiunare, accampando scuse di fin troppo logica cattiva salute. Si renderà così il prossimo felicemente ignaro di dita unte d’olio, musi nel piatto-trogolo, sonori rigurgiti, sputacchi polimaterici a parabola, indecenti patacche sugli abiti e maldestri imboccamenti dei badanti.

4. Utilità della ritrosia, ma senza eccessi
Non istà bene di essere maninconoso né astratto là dove tu dimori

Non essere sempre polemico, non arroccarti dietro ai pregiudizi come un qualsiasi deambulante, non ricorrere a rudezze e volgarità (anche per evitare di essere etichettato come “diversamente educato”), non miniaturizzare le esigenze degli altri, non assumere atteggiamenti maninconosi (appunto), non diventare invidioso (hai sempre la tua pensioncina d’invalidità) e prova a silenziare la tua infermità. C’è da restare sbigottiti, ma la carrozzina non è un passaporto valido per il Buzzurristan e se quanto appena detto è valevole anche per i sani, non importa, comincia ad essere beneducato tu, caro disabile.

5. Non si devono usare modi vezzosi come quelli delle donne
L’esser tenero e vezzoso anco si disdice assai, e massimamente agli uomini

Capito? Tenerezza e fragilità lasciamole ai lattanti, noi disabili (maschi e femmine) siamo immersi nel guano fino al collo, i normodotati lo sanno e si aspettano schiene diritte e sguardi fieri. Accontentiamoli, servirà anche a noi. E già che ci siete, perdonate pure l’antico maschilismo del nostro cinquecentesco Monsignore.

6. Evitare argomenti che non interessano o temi sottili
…a noi non istà bene di contristare gli animi delle persone con cui favelliamo
Come già affermato poco fa, conviene tenere sotto controllo le vibrazioni delle corde vocali. Divulgare gli eventi accaduti nelle personali stazioni della via crucis annoia, piagnucolare serve solo a inumidire le spalle delle giacche altrui, recriminare bestemmiando le varie divinità (da Thor a Manitù) riesce solo a impressionare le beghine, e quindi è meglio disquisire sulla produzione di soia del Basso Maceratese. Non interesserà a nessuno, come del resto la nostra disgrazia, ma almeno non si sarà costretti ad ascoltare di rimando pietose e sterili frasi di circostanza.

7. Sui motti di spirito
E dèi oltre acciò sapere che alcuni motti sono che mordono et alcuni che non mordono

Lo so che faresti ingurgitare volentieri un minestrone di chiodi a chi ti definisce «diversamente abile» o una padellata di Boletus Satanas a chi invece ti chiama «handicappato», ma devi portare pazienza e archiviare codesti insulsi arzigogoli nel più inoffensivo cassetto delle espressioni spiritose. Non guardare il risultato, bensì ammira i pur patetici sforzi di chi, in piedi davanti a te, sprofondato in carrozzina, cerca goffamente di risarcire in qualche modo la tua disabilità. Del resto tu stesso, talvolta, lo qualifichi con impudenza come «Quel cavolo di un deambulante».

8. La bellezza femminile: convenevole misura
Ma tu dèi sapere che gli uomini sono molto vaghi della bellezza e della misura e della convenevolezza, e, per lo contrario, delle sozze cose e contrafatte e difformi sono schifi

Ho già pochissime fan (mia mamma, la zia Pina e, forse, la mia prima fidanzata) e per non deluderle, alienandomi nel contempo l’intero universo delle ladies, ho deciso di non pubblicare quanto concepito riguardo le mie compari a mobilità ridotta. Chi non dovesse proprio reggere il peso della curiosità mi mandi un’e-mail e provvederò a renderlo edotto. E mannaggia all’autocensura…

9. Fuggire vizi come lussuria, avarizia, crudeltà
Per che innanzi ad ogni altra cosa conviene a chi ama di esser piacevole in conversando con la gente il fuggire i vitii e più i più sozzi

Finora non sono state risparmiate le critiche, anche feroci, ai destinatari del presente Bon ton. Ma adesso, di fronte a questo trio di vizi, mi arrendo perché non annovero tra i miei hobby anche quello di sparare sulla Croce Rossa della disabilità. Andiamo per ordine.
Lussuria: provate voi a patire quotidianamente una qualsiasi forma d’inabilità grave (e le conseguenti frustrazioni sessuali) e poi a dover soggiacere a insaziabili libidini esclusivamente virtuali…
Avarizia: provate voi a pagare assistenza, ausili, fisioterapia, trasporti eccetera, mentre il welfare è alla canna del gas (e lo sta già aspirando), e poi a essere accusati di piccole tirchierie…
Crudeltà: provate voi a vivere alla mercé di badanti più o meno extracomunitari che parlano come il traduttore di Google, oppure a consolare un palestrato giù di morale giacché è lunedì… Quindi, cari disabili, tralasciate pure questo capitoletto, siete (siamo) tutti assolti perché i tre “vitii” non costituiscono reato.

10. Ancora norme di comportamento
Ora, che debbo io dire di chi l’una delle gambe mette in su la tavola? E di chi si sputa in su le dita? E di altre innumerabili sciocchezze?

Ci sarebbe ancora parecchio da sviscerare riguardo le buone maniere a cui dovrebbero sempre riferirsi i disabili, ma a questo punto la maggior parte di chi ha iniziato questo articolo starà già dormendo e dunque terminiamo sintetizzando.
Allora, dal basso della nostra carrozzina, ricordiamoci di: non enfatizzare davanti a terzi assistenti i rumori corporei inerenti le nostre diverse prassi di evacuazione; non umiliamo i badanti perché ci hanno sistemato i pantaloni del pigiama con un’inclinazione di 0.5 gradi sud sud est; non urliamo ordini improvvisi ai volontari anziani fragili di coronarie; non pestiamo con la carrozzina i piedi dei nostri vicini poco agili; non sfrecciamo sui marciapiedi davanti alle porte d’ingresso; non sorpassiamo le code deridendo chi attende in fila; non gemiamo ininterrottamente sul destino cinico e baro; non chiediamo la sostituzione a Nomenclatore di un ausilio ancora seminuovo; e infine non scriviamo mai, per nessun motivo, lacrimevoli autobiografie.
E perbacco, ogni tanto moduliamo in quest’ordine le sei lettere G-R-A-Z-I-E!

Giovanni Della RSA

Nella colonnina qui a fianco a destra, riportiamo l’elenco di tutti i contributi pubblicati da Gianni Minasso, per la sua rubrica intitolata A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia).

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