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La lunga marcia delle persone con sindrome di Down

Brian Skotko con Kristin Skotko

Il medico genetista americano Brian Skotko, intervenuto al corso-convegno dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, qui fotografato con la sorella Kristin, giovane donna con sindrome di Down

Fare il punto sulla sindrome di Down a centocinquant’anni dalla sua scoperta, avvenuta nel 1861 ad opera del medico inglese John Langdon Down: è stato questo il senso del corso-convegno intitolato appunto Sindrome di Down: 150 anni di cammino (se ne legga anche la nostra presentazione), organizzato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in collaborazione con l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), appuntamento svoltosi all’insegna di un duplice registro, ovvero da una parte un prezioso aggiornamento sulle più recenti scoperte in àmbito genetico, dall’altra gli sviluppi che nel corso degli ultimi trent’anni si sono avuti rispetto al riconoscimento delle persone con sindrome Down e al miglioramento delle loro capacità e autonomie.

Tra l’altro, dal corso-convegno è stato anche lanciato un appello da parte di Paolo Virgilio Grillo, presidente nazionale dell’AIPD, che ha puntualizzato: «È vero che la sindrome di Down non è una malattia rara, ma è sicuramente una patologia complessa e in tal senso riteniamo sia stato un errore escluderla dai nuovi LEA Sanitari (Livelli Essenziali di Assistenza). Stiamo dunque combattendo perché essa sia nuovamente tutelata come tante altre sindromi che necessitano di attenzioni particolari».
Grillo ha voluto sottolineare inoltre come sia importante fare corretta informazione sugli studi relativi alla sindrome di Down e sulla ricaduta nella pratica clinica:«Non  bisogna illudere le famiglie – ha dichiarato infatti – sull’esistenza di farmaci miracolosi».

Dal canto suo, Brian Skotko, medico genetista del Massachusetts General Hospital (Stati Uniti), si è soffermato sulle più recenti tecniche di diagnosi prenatale e in particolare sulla comunicazione dei risultati e sull’influenza che le modalità di essa hanno sulla scelta di interrompere o meno la gravidanza. In tal senso Skotko ha voluto evidenziare la necessità « che il personale addetto conosca le persone con sindrome di Down e segua un accurato protocollo». Ha ricordato anche che negli Stati Uniti esiste l’obbligo per gli ospedali di seguire tali procedure.

Ad aprire i lavori della giornata era stato il genetista Bruno Dallapiccola, direttore del Comitato Scientifico dell’Ospedale Bambino Gesù, che ha ripercorso la storia della sindrome di Down dal punto di vista medico e scientifico.
Successivamente, Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’AIPD, ha illustrato soprattutto il lavoro svolto dalla propria Associazione, in trentasette anni di attività, sull’educazione all’autonomia e sulla consapevolezza delle persone con sindrome di Down, nel loro essere ormai adulte, con aspettative e desideri uguali a quelli di tutti gli altri. «Molto è stato fatto – ha affermato – nel riconoscimento di queste persone,  non appiattendole sulla sindrome, né considerandole malate. L’aumento dell’aspettativa di vita, inoltre, ha portato a rispondere a una necessità di adultità per chi  vive tale condizione, guardando all’inserimento nel mondo del lavoro, a una vita realmente autonoma e a relazioni affettive . Alcuni successi sono stati certamente raggiunti, ma c’è ancora da lavorare, per rispondere ai bisogni di tutti».

Sempre in àmbito di ricerca, Renata Bartesaghi dell’Università di Bologna ha illustrato i risultati finora ottenuti dalla sperimentazione (non ancora sull’uomo) di una terapia farmacologica perinatale e neonatale, volta a migliorare lo sviluppo neuronale e le capacità cognitive delle persone con sindrome di Down, mentre Diletta Valentini e Rita Carsetti dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma si sono soffermate sugli studi riguardanti le alterazioni del sistema immunologico e sulle possibile cure di esse, ciò che potrebbe portare a notevoli miglioramenti della qualità di vita dei bimbi con sindrome di Down.
Marzia Perluigi, infine, dell’Università La Sapienza di Roma, ha presentato una ricerca sulla correlazione tra alcune caratteristiche molecolari di persone con sindrome Down e persone affette da malattia di Alzheimer.

Nella fase conclusiva del corso-convegno, si è passati al settore clinico, con alcuni interventi dedicati rispettivamente ai bisogni assistenziali nell’età pediatrica e adulta, alle complicanze metaboliche ed epatiche, al percorso esistenziale e all’organizzazione dei servizi su base regionale.
Particolarmente significativo, infine, che alla tavola rotonda conclusiva abbiano partecipato quattro persone con sindrome di Down, per portare la loro testimonianza diretta di sport, lavoro e vita di coppia, certamente il modo migliore, questo, per concludere un incontro volto a disegnare un futuro migliore per le quasi 40.000 persone con sindrome Down che vivono oggi nel nostro Paese. (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampaaipd@gmnail.com (Marta Rovagna).

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