Questa società che ci rende disabili

«Oggi – scrive Simone Fanti, riflettendo sul recente convegno di Torino, intitolato “Senza pietà: compassione e ipocrisia? Più pericolose delle barriere architettoniche” – voglio essere anch’io “senza pietà”, e dire – provocatoriamente – che se la disabilità fa schifo, sono il contesto, l’ambiente e la società a renderla tale, mettendoci in condizione di dover trovare escamotage per fare qualsiasi cosa»

Realizzazione grafica con un crepaccio che divide una persona con disabilità da tutte le altre«Nel mio ufficio hanno assunto un’handicappata: adesso mi toccherà lavorare anche per lei!». Oppure: «Ma i disabili fanno sesso?». E ancora: «Il compito è insufficiente, ma è disabile. Regaliamogli la sufficienza». E infine il classicissimo: «Ma sei mongoloide?».
Sono solo alcune delle frasi che si sentono pronunciare sovente dalla gente. Le hanno raccolte in un video gli organizzatori del convegno-dibattito intitolato Senza pietà: compassione e ipocrisia? Più pericolose delle barriere architettoniche, svoltosi il 3 dicembre a Torino, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, a cura della CPD del capoluogo piemontese (Consulta per le Persone in Difficoltà) [dell’evento si legga già ampiamente anche nel nostro giornale, N.d.R.].
Tra gli altri ospiti, Iacopo Melio, Max Ulivieri, Danilo Ragona, Fabrizio Marta… un concentrato di persone dalla lingua tagliente, schiette e dirette, che hanno sempre espresso la loro opinione mettendoci la faccia. Una nuova generazione di stakeholder, “portatori d’interesse” capaci di alzare l’asticella delle battaglie per la cultura della disabilità. Oggi allora li provoco un po’ e con loro anche i Lettori. Oggi sarò scorretto, stando “al gioco” del convegno. Senza pietà dirò la mia.

La disabilità fa schifo? Oggi dico di sì. Badate bene, non è per la condizione, tutt’altro, ho incontrato persone con disabilità gravi che affrontavano la vita con una dignità tale da meritare ammirazione. Piuttosto è il contesto, l’ambiente e la società a renderla tale.
Già, perché è schifoso dover attendere fuori da un negozio e non potervi accedere per un semplice gradino. È indecoroso a 40 anni dover chiedere alla propria moglie «mi prendi un paio di jeans perché non riesco a entrare o non posso provarli per mancanza di camerini adeguati». Quanto costerebbe abbattere un gradino? Quanto costerebbe una semplice rampa di legno amovibile? Ma, forse, noi non siamo clienti e l’accesso ci viene negato.
E forse non siamo nemmeno cittadini, perché oltre all’accesso in molti luoghi pubblici e della Pubblica Amministrazione, spesso ci viene negata anche un’adeguata formazione (le scuole sono per metà poco accessibili e per tre quarti non attrezzate adeguatamente, per non parlare della mancanza cronica di insegnanti di sostegno).
Dalle barriere fisiche a quelle culturali: è disgustoso che al bancone di un albergo l’addetto, con me presente, chieda a mia moglie: «Ma suo fratello può fare qualche passo?». Oppure che al momento di riportare il resto del conto, questo venga dato alla persona che mi accompagna. «Poverino, è disabile, magari non sa far di conto». È indegno che debba chiedere a un passante di spostarmi l’auto perché l’idiota di turno ha parcheggiato il motorino sulle strisce gialle che delimitano il parcheggio per disabili. O quando devo chiedere aiuto per scavalcare il marciapiede perché qualcuno ha parcheggiato di fronte allo scivolo.
Oppure ancora quando incontri una persona che ti vede in carrozzina, ti chiede la tua storia e con fare candido ti risponde: «Non so come fai, al posto tuo mi sarei suicidato». Beh, invece che compatirmi puoi iniziare a portarmi rispetto, a favorirmi con piccoli gesti, lasciando magari sgombro il marciapiede da motorini o altro, evitando di usare il parcheggio disabili anche «solo per cinque minuti», aiutandomi se mi vedi in difficoltà a caricare la spesa in macchina. Non protestando se rallento la corsa dell’autobus perché per salire con la sedia a rotelle il bus si ferma più tempo.

È questione di civiltà e di rispetto. Sono l’ambiente e la società a renderci disabili. I traumi e le malattie fanno il resto. Ma nessuno toglierà a me e ad altri la voglia di vivere.
I Lettori trovano queste riflessioni molto differenti da altre in cui ero stato più positivo? Beh, “giocare al disabile” non è affatto divertente: si devono trovare escamotage per fare qualsiasi cosa. Chiunque ti risponderebbe che preferirebbe non essere disabile, lasciarsi alle spalle quelli che qualcuno crede ancora siano privilegi: il parcheggio disabili, la legge del collocamento obbligatorio (che continua a non dare i suoi frutti), i 400 euro dell’accompagnamento. La mia disabilità mi costa molto più di 400 euro, le limitazioni che mi impone spesso non hanno prezzo. Faccio volentieri a cambio. Chi si offre?

E ora sarò indicato come il solito “disabile rabbioso”. Beh, un po’ di rabbia me la si conceda in occasione della Giornata Internazionale. Almeno quella! Mentre le persone continuano ad essere indifferenti agli altri, ai “diversi”, a coloro che “stonano” nel periodo delle compere natalizie. Sì, quelli che imporrebbero di fare i conti con la propria educazione civica, quelli che i bambini indicano per porre domande a cui non si sa rispondere onestamente. Quelli come me, Iacopo, Max, Danilo e Fabrizio. Che si ostinano a non stare a casa, che non smettono mai di fare da specchio a una società a tante velocità, incapace di cogliere le ricchezze che le persone con disabilità possono dare.
Siate voi senza pietà e considerateci concorrenti su un campo dove finalmente si possa giocare ad armi pari!

Riflessioni pubblicate da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Una riflessione… Senza Pietà (e provocatoria)”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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