Deve diventare normale, l’accessibilità alla cultura

«La “normalizzazione dell’accessibilità alla cultura” – scrive Stefano Pierpaoli – è il passaggio imprescindibile attraverso il quale operare quel salto di qualità di cui abbiamo bisogno in Italia in tema di inclusione e di integrazione. Un obiettivo raggiungibile solo grazie a un nuovo e diverso approccio, che porti a un tipo di confronto più costruttivo tra le diverse parti in causa e che trasformi l’evento dedicato in prassi consueta, affrontandolo in modo universale e senza mai cadere nella categorizzazione»

Collage che rappresenta le varie forme di arte e cultura

Un collage che rappresenta le varie forme di arte e cultura

In riferimento a La resa accessibile è un’altra cosa, testo di Paolo De Luca da voi pubblicato nei giorni scorsi, vorrei segnalare che il primo festival a vocazione popolare con un’intera programmazione accessibile alle persone con disabilità sensoriale è stato il RomaFictionFest 2009, stesso percorso realizzato nell’edizione successiva della medesima rassegna e nelle edizioni della Festa del Cinema di Roma dal 2010 al 2013. Tali iniziative furono ideate, promosse e organizzate da chi scrive, insieme all’Associazione Blindsight Project di Laura Raffaeli.
Anche in quelle occasioni la prima proposta fu quella di offrire una sola proiezione accessibile. Ci opponemmo con forza a questa ipotesi, perché una simile soluzione avrebbe prodotto un chiaro esempio di ulteriore discriminazione, dal momento che, di fatto, un’esperienza “esclusiva e dedicata” non fa altro che creare altre barriere e distanze.
I percorsi delle due rassegne romane hanno subìto tuttavia una sistematica neutralizzazione da parte delle Istituzioni e delle strutture organizzative dei festival.
Stesso destino per le proiezioni Friendly Autism Screening, realizzate anch’esse da chi scrive, dal dicembre 2014 al maggio 2015 presso il Filmstudio di Roma. In questo caso le Istituzioni non sono minimamente intervenute né si sono interessate a quella che ha rappresentato la prima esperienza di programmazione nel tempo fatta in Italia per le persone con disturbi dello spettro autistico, ma nonostante ciò, abbiamo ottenuto un discreto successo.

Voglio sottolineare che quando parlo di “successo”, mi riferisco a un traguardo che va ben al di là della specifica partecipazione all’appuntamento culturale ed è su questo obiettivo che ho da sempre affrontato il mio impegno a favore dell’accessibilità alla cultura.
La “normalizzazione dell’accessibilità alla cultura”, che ho spesso proposto in molti dei modelli culturali da me elaborati, è il passaggio imprescindibile attraverso il quale operare quel salto di qualità di cui abbiamo bisogno in Italia in tema di inclusione e di integrazione. Un obiettivo raggiungibile solo grazie a un nuovo e diverso approccio, che porti a un tipo di confronto più costruttivo tra le diverse parti in causa e che trasformi l’evento dedicato in prassi consueta. Ritengo infatti che la fruizione e i modelli che determinano i consumi culturali siano i nodi cruciali che attraversano l’intera società e riguardano tutti noi. Ed è una questione che dev’essere affrontata in modo universale, senza mai cadere nella categorizzazione e senza aspirare, come scrive giustamente Paolo De Luca, alla “coccardina per le allodole”.

Operatore culturale.

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