Scuola: vogliamo tornare agli anni dell’“inserimento selvaggio”?

«Se il nuovo Decreto sull’inclusione scolastica verrà definitivamente approvato così com’è – scrive Flavio Fogarolo – la scuola rimarrà da sola a gestire l’inclusione degli alunni con disabilità, con il rischio di tornare agli Anni Ottanta, al tempo del cosiddetto “inserimento selvaggio”. Succederà questo? Speriamo di no, ma di sicuro non basta cambiare i nomi e parlare oggi di inclusione, anziché di inserimento o integrazione, per cambiare la sostanza»

Alunna con disabilità in una classe di scuolaSe verrà approvato definitivamente il nuovo Decreto sull’inclusione scolastica [lo “Schema di Decreto Legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”, Atto del Governo n. 378, è stato approvato lo scorso 14 gennaio e sottoposto successivamente al Parere Parlamentare, N.d.R.], cambieranno radicalmente le funzioni dell’Azienda Sanitaria che verrà coinvolta solo nelle fasi iniziali di certificazione e redazione della cosiddetta “valutazione diagnostico-funzionale”, mentre avrà compiti molto vaghi, senza obblighi specifici, nel successivo processo di inclusione. In particolare non avrà più alcun ruolo nella definizione del PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Secondo la Legge 104/92, attualmente in vigore, entrambi i documenti di programmazione individualizzata, PDF (Profilo Dinamico Funzionale) e PEI, devono essere redatti «congiuntamente» dalla scuola e dall’équipe psicopedagogica, con la collaborazione dei genitori; gli obblighi delle Aziende Sanitarie vengono ben definiti nel successivo Atto di Indirizzo del 1994 (DPR del 24 febbraio 1994). Il Legislatore di allora aveva ben chiaro che l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità non poteva essere affidata esclusivamente alla scuola – come era purtroppo avvenuto nei primi anni dell’inserimento – ma che andava garantito un contesto di reale condivisione tra i diversi soggetti coinvolti, da formalizzare in atti condivisi, come appunto il PDF e il PEI, nonché nella sottoscrizione di Accordi di Programma a livello locale.

Chi scrive è stato insegnante di sostegno negli Anni Ottanta, prima della Legge 104, e ricorda bene come funzionavano (o “non funzionavano”) le cose allora: senza nessun supporto da parte delle Aziende Sanitarie e con scarse competenze professionali nelle scuole (gli insegnanti di sostegno specializzati erano molto rari), spesso si improvvisava, cercando di fare meno danni possibile, tra tentativi ed errori. I genitori non protestavano, o protestavano poco, perché a loro sembrava già una grande concessione che i figli fossero accolti nella scuola del loro quartiere o paese, ma i risultati erano spesso davvero penosi.
Se nei successivi Anni Novanta le cose sono effettivamente cambiate – anche se non ovunque – molto lo si deve al diverso ruolo assunto finalmente dalle Aziende Sanitarie le quali, sulla spinta della Legge 104 e dell’Atto di Indirizzo del 24 febbraio ’94, hanno rivisto profondamente la loro organizzazione per svolgere i nuovi compiti assegnati, adeguando gli organici e le professionalità.
Negli ultimi anni, purtroppo, i Servizi delle ASL sono stati messi in grave difficoltà dall’aumento delle certificazioni, non solo di disabilità, a cui hanno dovuto far fronte con gli stessi organici di prima, se non ridimensionati, e hanno fatto sempre più fatica a svolgere efficacemente la funzione di supporto prevista dalla Legge 104. E così già da tempo viene segnalato che in diversi casi gli specialisti non partecipano agli incontri, o vengono a parlare di alunni che non vedono da anni, o convocano la riunione di mattina, presso la loro sede, cosicché, in pratica, solo l’insegnante di sostegno può partecipare, accentuando ulteriormente il processo di delega esclusiva nei suoi confronti. I tre incontri all’anno previsti dal DPR del febbraio ’94 per la definizione, il monitoraggio e la verifica del PEI nessuno li propone più da un pezzo, ma sempre più spesso salta anche l’unico incontro annuale.

Il problema c’è, è innegabile, e una riorganizzazione del supporto della ASL andava messa sul tappeto, ma la soluzione adottata dal Ministero con il nuovo Schema di Decreto è terribilmente semplicistica: la scuola si deve arrangiare; il PEI (il PDF è scomparso, com’è noto) diventa di competenza esclusiva della scuola, come il PDP (Piano Didattico Personalizzato) per i DSA (persone con disturbi specifici di apprendimento); viene di fatto abolito il GLHO (Gruppo di Lavoro Handicap Operativo) e agli operatori socio-sanitari si riserva un ruolo di “collaborazione”, com’è adesso per i genitori.
Ecco infatti cosa dice il primo comma dell’articolo 11 (Piano Educativo Individualizzato) dello Schema di Decreto: «Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, come modificato dal presente decreto, è elaborato ed approvato dai docenti contitolari o dall’intero consiglio di classe, tenuto conto della certificazione e della valutazione diagnostico-funzionale e del progetto individuale. La redazione avviene all’inizio dell’anno scolastico con la collaborazione dei genitori o del soggetto con responsabilità genitoriale, delle risorse professionali specifiche assegnate alla classe nonché degli operatori socio sanitari».
Da notare che gli operatori socio-sanitari non sono necessariamente gli specialisti dell’équipe: possono infatti essere anche gli addetti alla comunicazione all’assistenza che in certe Regioni si chiamano proprio OSS, Operatori Socio Sanitari. Di psicologi, neuropsichiatri infantili… sembra non serva più neppure la collaborazione.
Il radicale cambio di rotta è sottolineato poi dall’esplicita abrogazione (tramite l’articolo 5, comma 1, punto b dello Schema di Decreto) del comma 7 dell’articolo 12 della Legge 104/92, che prevedeva l’Atto di Indirizzo per definire i compiti delle Aziende Sanitarie. Non serve più, evidentemente.

A questo punto va precisato come non sia possibile equiparare le procedure di definizione del PEI a quelle del PDP, perché per gli alunni con DSA e per gli altri BES (alunni con Bisogni Educativi Speciali) si interviene quasi esclusivamente sugli aspetti metodologici e didattici, mentre i contenuti delle discipline rimangono sostanzialmente gli stessi. Non è così nel PEI: la personalizzazione, infatti, è alla base di ogni intervento e può essere, come è noto, anche estremamente spinta, ma in nessun sistema scolastico al mondo – sia esso basato su scuole speciali o sull’inclusione – è concepibile che gli obiettivi di un percorso personalizzato, quindi senza riferimenti a programma standard, siano definiti e valutati esclusivamente da chi ha anche il compito di perseguirli, senza nessuna condivisione, o supervisione, di soggetti esterni.
Affidare tutta la gestione solo alla scuola allontana sempre più l’obiettivo di “garantire” ovunque una vera inclusione di qualità, lasciando ancora spazio enorme alla fortuna: se trovi gli insegnanti bravi (e ce ne sono tanti) tutto funziona a meraviglia, se ti va male… peccato! Ritenta e sarai più fortunato, come con il Gratta e Vinci.

L’esclusione delle ASL, tra l’altro, è in contraddizione anche con l’articolo 2, comma 2 dello stesso Schema di decreto che dice: «Per gli alunni e gli studenti di cui al comma 1 [con disabilità certificata ai sensi dell’articolo 3 della Legge 104/92, N.d.R.] l’inclusione scolastica è attuata attraverso la definizione e la condivisione del Piano Educativo Individualizzato di cui all’articolo 11 parte integrante del progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, come modificato dal presente decreto». Ma di quale condivisione si parla, se secondo il citato articolo 11 il Piano Educativo Individualizzato è redatto esclusivamente dalla scuola? In altre parole, come si fa a dire che il PEI sia «parte integrante del progetto individuale di cui alla Legge 328/00», se sono due documenti redatti da soggetti distinti (la scuola da una parte, l’ente locale dall’altra) e nessun momento di confronto o condivisione è sostanzialmente previsto? Ma poi, quanti alunni con disabilità che frequentano le nostre scuole hanno un progetto individuale di questo tipo?
Il risultato, alla fine di questo percorso, è purtroppo che la scuola rimane da sola a gestire l’inclusione degli alunni con disabilità: torniamo agli Anni Ottanta, al tempo dell’“inserimento selvaggio”? Speriamo di no, ma di sicuro non basta cambiare i nomi e parlare oggi di inclusione, anziché di inserimento o integrazione, per cambiare la sostanza.

Formatore. Componente del Gruppo Scuola della FISH Veneto (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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