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Quando prevale la cultura dell’esclusione

Foto di spalle a una donna in carrozzina in ombra davanti a una porta-finestra apertaL’Italia è spesso il Paese delle verità capovolte. Quello in cui convivono dipendenti pubblici che si imboscano, timbrano cartellini a colleghi in vacanza o fanno carte false per ottenere permessi d’invalidità, e rarissimi casi di lavoratori che arrivano addirittura ad aprire un contenzioso con lo Stato che vuole impedir loro di esercitare la propria professione, pur mantenendone stipendio e privilegi.
È il caso di Stefania (nome di fantasia), maestra delle elementari di una scuola del profondo Sud del nostro Paese, malata di sclerosi multipla. Tutte le mattine si sveglia sognando il suono della campanella, il registro di classe, il saluto affettuoso dei suoi alunni. Un sogno, forse meglio dire un incubo, che da circa cinque anni accompagna i suoi risvegli mattutini. Per lei, infatti, il Dirigente Scolastico ha chiesto una visita in CMV (Collegio Medico di Verifica), giustificando la domanda perché «la maestra continua ad assentarsi dal lavoro in quanto affetta da malattia degenerativa».
Un colpo al cuore per Stefania, 45 anni, che da oltre dieci anni svolge la sua professione con amore e dedizione, ostacolata solo dalle barriere architettoniche che impediscono alla sua sedia a rotelle di muoversi come gli altri, e da una malattia neurologica degenerativa che l’ha colpita nel fiore della sua gioventù, a 24 anni.
Una storia singolare che ci restituisce una fetta di mondo della professione degli insegnanti, alle prese con mille difficoltà, ma che non vuole mollare e con coraggio affronta la sfida più difficile. Una sfida che, stando alle parole degli alunni e delle famiglie, Stefania avrebbe già vinto a mani basse, per la passione e la bravura dimostrata nei suoi anni di insegnamento. Ma la burocrazia e l’ottusità umana hanno deciso di giocarle un altro brutto scherzo, forse più amaro della già difficile malattia con cui deve convivere a fatica ogni giorno.

Stefania non ha molta voglia di parlare, ma a raccontare la sua storia sono alcuni fatti che spiegano come ancora nel 2017 nel nostro Paese non solo manchi una “cultura della disabilità”, ma l’handicap resti un ostacolo di cui nessuno vuole parlare, anche di fronte a casi di incredibile discriminazione.
Il calvario di Stefania comincia nel 2010, quando supera il primo accertamento medico per l’idoneità. Col tempo fruisce della Legge 104, e negli ultimi tre anni resta a casa in malattia per circa ventiquattro giorni all’anno. Troppi, per il Dirigente Scolastico, che decide di richiedere una nuova visita in CMV, adducendo i motivi precedentemente ricordati.
La Commissione Medica accerta dunque che rispetto al 2010 non è cambiato molto, ma ritiene opportuno formulare il giudizio di «inidoneità temporanea all’insegnamento con idoneità ad altre mansioni», pur essendo sempre conservate e integre le funzioni cognitive e psichiche della donna.
La domanda è lecita: perché di fronte a un quadro clinico stabile e con la soddisfazione dell’utenza, la dirigente invia Stefania in CMV e i medici optano per l’inidoneità all’insegnamento, aggravando, tra l’altro, la situazione lavorativa della donna?

Per Stefania questa notizia è un mattone troppo pesante da digerire. L’idea di stare lontana da quella cattedra e da quei ragazzi la distrugge psicologicamente, ma le beffe non finiscono qua.
Per lei resta l’obbligo di timbrare le trentasei ore di cartellino a settimana, quindi più delle ore di insegnamento scolastico, una soluzione che complica anche e soprattutto la gestione della sua malattia. Ma il coraggio e la forza non le mancano. Vuole ricorrere contro quel giudizio di inidoneità che non riesce a comprendere. E qui inizia l’altro calvario, quello causato da una burocrazia ministeriale che inspiegabilmente, forse in nome di una spending review che tocca sempre i più deboli, ha ridisegnato una norma, grazie all’intervento nel 2014 dell’allora ministro dell’Istruzione Stefania Giannini.
Fino a quel momento, infatti, come ci spiega il dottor Vittorio Lodolo D’Oria, che assiste i docenti alle prese con malattie da stress lavoro correlato, «ciascun insegnante poteva sottoporsi, o essere mandato d’ufficio, ad accertamento medico in Collegio Medico di Verifica (CMV) presso il Capoluogo di Regione. Fare ricorso avverso il giudizio adottato dalla suddetta CMV era possibile solo appellandosi alla Commissione Militare Ospedaliera (CMO) di seconda istanza, ma di queste ve n’erano solo quattro per tutta Italia (Milano, Roma, Napoli, Taranto) ed era già piuttosto disagevole raggiungere quelle poche sedi dalla propria residenza. Il ministro Giannini deve avere tuttavia pensato che quattro CMO fossero davvero troppe per i docenti che godevano di una salute di ferro, pertanto era d’uopo ridurle a una soltanto, accentrando tutti i ricorsi alla sola CMO di Roma».
La beffa e il danno sono fatti. Per Stefania il ricorso alla Sentenza che le impedisce di tornare a insegnare diventa ora una vera e propria corsa a ostacoli. Una corsa in cui serviranno tanti soldi, persone che la accompagnino e la assistano fino a Roma. Un calvario senza fine, una storia di giustizia e diritti negati che continueremo a seguire e a raccontare perché Stefania possa tornare ad esercitare la professione che ama, e i suoi ragazzi a riavere in classe la loro maestra “sospesa” dalla burocrazia italiana e dall’inidonea, quella sì, sensibilità di certi Dirigenti Scolastici.

Testo già apparso nel magazine online «Ofcs Report – La percezione della sicurezza», con il titolo “La cultura dell’esclusione: il calvario di un’insegnante in carrozzina” e qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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