Riflessioni sulla continuità

Secondo Flavio Fogarolo, «la discontinuità del sostegno agli alunni con disabilità ha effetti terribili per bambini e genitori, ma non si ostacola con visite fiscali, o norme restrittive di vario tipo: serve invece un contesto realmente inclusivo, una chiara condivisione delle responsabilità, sistemi di supporto per gli insegnanti in difficoltà, formazione seria e rete di competenze a livello territoriale. Tutte cose di cui non vi è traccia nel recente Schema di Decreto applicativo della Legge 107/15 sulla “Buona Scuola”»

Uomo di profilo con espressione pensierosaIl nodo della continuità del sostegno agli alunni e studenti con disabilità è uno dei più complicati da sciogliere e le posizioni emerse in queste settimane di discussione sugli Schemi di Decreto applicativi della Legge 107/15 (La Buona Scuola) appaiono nettamente diverse tra loro, se non contrastanti. Mentre per altre questioni il fronte anti-MIUR [Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, N.d.R.] risulta compatto e uniforme (la validità dell’esame di licenza; il limite degli alunni per classe portato da 20 a 22…), o “quasi” compatto e “abbastanza” uniforme (l’abolizione dei GLI-Gruppi di Lavoro d’Istituto; l’esclusione delle ASL dal PEI-Piano Educativo Individualizzato; l’insufficiente presenza della famiglia nelle scelte cruciali…), sulla continuità le posizioni anche di chi è contrario divergono in modo sostanziale.

Vediamo intanto cosa dovrebbe cambiare in questo àmbito con gli Schemi di Decreto recentemente licenziati dal Consiglio dei Ministri:
° il tempo di permanenza nei posti di sostegno, prima di poter chiedere il passaggio a quelli comuni, passa da 5 a 10 anni: vengono conteggiati anche eventuali anni di sostegno prima dell’assunzione in ruolo, purché fatti con la necessaria specializzazione (Atto del Governo n. 378, articolo 12, comma 2);
° il dirigente scolastico può proporre ai docenti di sostegno a tempo determinato di prolungare il contratto anche l’anno successivo, valutando l’interesse dell’alunno con disabilità e ignorando le graduatorie, purché il posto non venga occupato da personale a tempo indeterminato e rimanga da assegnare con contratto annuale (Atto del Governo n. 378, articolo 16, comma 3);
° nella scuola secondaria vengono istituite carriere nettamente separate tra insegnamento disciplinare e sostegno: i futuri insegnanti di sostegno non saranno più abilitati a insegnare una disciplina e pertanto per loro il passaggio di cattedra su posto comune non sarà più possibile, neppure dopo i 10 anni, e questa opzione sarà di fatto praticabile solo per gli insegnanti della primaria e dell’infanzia che hanno già una laurea che abilita all’insegnamento in classe. Non solo: il nuovo sistema di reclutamento della secondaria prevede, al posto del TFA [Tirocinio Formativo Attivo, N.d.R.], corsi di specializzazione all’insegnamento a tempo pieno, incompatibili con un’attività lavorativa, per cui l’insegnante di sostegno potrà conseguire una specializzazione aggiuntiva e passare al posto comune solo vincendo un altro concorso e licenziandosi dal posto coperto precedentemente (Atto del Governo n. 377).

È noto che varie Associazioni non sono rimaste soddisfatte per queste novità e chiedono soluzioni più restrittive, insistendo in particolare sul fatto che la continuità debba essere sull’alunno, e non sul posto di sostegno, forti anche del mandato previsto dal comma 181 della Legge 107/15 che, ricordiamolo, dà queste indicazioni per la delega: «Revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno didattico, al fine di garantire la continuità del diritto allo studio degli alunni con disabilità, in modo da rendere possibile allo studente di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione».
In particolare la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), per quanto riguarda gli insegnanti a tempo indeterminato, chiede:
– di eliminare la possibilità di conteggiare anche quelli pre-ruolo nei 10 anni di sostegno necessari al passaggio su posto comune;
– di prolungare ulteriormente i 10 anni, se l’alunno con disabilità seguito da un insegnante di sostegno non ha finito il ciclo di studi, finché egli non arriva all’ultima classe e non esce da quella scuola;
– analogamente, di impedire i trasferimenti di sede degli insegnanti di sostegno se l’alunno con disabilità da essi seguito non ha finito il ciclo di studi, finché egli non arriva all’ultima classe e non esce da quella scuola.

Per quanto poi riguarda invece gli insegnanti a tempo determinato, sempre la FISH chiede:
– di inserire tra le condizioni necessarie per il prolungamento del contratto non solo l’interesse dell’alunno, come nel Decreto, ma il consenso della famiglia, che acquisterebbe così una specie di “diritto di veto” sul rinnovo del contratto dell’insegnante di sostegno;
– in questo caso l’insegnante a tempo determinato sarebbe obbligato a prolungare il contratto presso la stessa scuola e non potrebbe rifiutare. Il vincolo vale anche per gli anni successivi finché l’alunno non completa il ciclo.

Le famiglie hanno ragione quando protestano per i vergognosi caroselli di insegnanti di sostegno che vediamo nelle scuole, ma a parere di chi scrive, è preoccupante che si arrivi a richieste di questo tipo, vessatorie e punitive verso un’intera categoria di professionisti quali sono gli insegnanti di sostegno, trasformati quasi in “precettori privati” dei quali disporre a piacimento, decidendo se siano all’altezza di lavorare (pagati dallo Stato, però) per insegnare ai propri figli.
Curiosa l’idea di poter disporre anche di persone che lo Stato ha assunto un anno e poi licenziato, che non hanno più quindi nessun vincolo verso l’Amministrazione e che possono chiedere la volta dopo di lavorare presso la scuola che vogliono e insegnare la materia che vogliono; se si sono trovati bene, torneranno volentieri a fare l’insegnante di sostegno in una scuola, ma in caso contrario possono andare altrove.
In altre parole, secondo questa richiesta gli insegnanti di sostegno che sono andati d’accordo con i genitori dovrebbero essere obbligati a tornare, quelli che hanno litigato potrebbero andare dove vogliono. Ottimo sistema per incentivare la collaborazione con le famiglie e la qualità dell’inclusione, non c’è dubbio!
Tra l’altro, l’idea di bloccare gli insegnanti di sostegno finché l’alunno non abbia concluso il ciclo appare di sicuro impraticabile, perché essi, in maggioranza, lavorano su più alunni, di classi diverse ovviamente, e se si porta in quinta uno, poi si deve attendere anche per l’altro. Nel frattempo, però, se ne prende in carico un terzo e così via. Meglio dire subito che gli insegnanti di sostegno devono “prendere i voti”, come i frati e le suore, che facciamo prima.

In questo modo, però, ritengo sia tutto l’impianto dell’inclusione ad essere messo in crisi, accentuando la delega da parte dei docenti curricolari verso l’insegnante di sostegno, proprio il contrario di quello che, a parole, le Associazioni dicono di perseguire. Se infatti l’insegnante di sostegno è considerato il protagonista indiscusso di tutta l’inclusione, l’unico soggetto che la famiglia considera in grado di rispondere ai bisogni del figlio con disabilità, i rischi di disservizio per mancata continuità vengono accentuati al massimo e ogni interruzione, a cominciare dalla breve assenza, può avere effetti devastanti.
Mi trovo spessissimo a ricevere segnalazioni o quesiti da parte dei genitori di alunni con disabilità e mi sono fatto abbastanza un’idea, penso ragionata, sulla questione della continuità. Diciamo intanto che è un argomento molto sentito dai genitori, ma non un valore assoluto: quelli che chiedono come sostituire un insegnante di sostegno ritenuto inadatto – a torto o a ragione non so – sono più o meno quanti quelli che protestano per la discontinuità, di sicuro dello stesso ordine di grandezza.
In ogni caso tra le principali cause della discontinuità che lamentano i genitori non ci sono i passaggi di ruolo. Quelle di gran lunga più frequenti sono di due tipi: le prime sono legate al precariato, con cambi continui di anno in anno e caroselli di insegnanti, soprattutto nei mesi iniziali, per effetto delle graduatorie provvisorie, delle nomine fino ad aventi diritto e di altre diavolerie del genere. Questo problema, con la novità introdotta dal Decreto, dovrebbe essere finalmente risolto e portare indiscussi benefìci soprattutto nelle Regioni dove ci sono pochi insegnanti di sostegno specializzati e quindi tanto precariato.
La seconda causa di discontinuità non è stata assolutamente presa in considerazione dal Decreto: riguarda le assenze, lunghe o brevi, legate al disagio professionale, al senso di impotenza di chi deve rapportarsi con bambini difficili, in solitudine, senza avere competenze adeguate, alla scuola che isola, in stanzette apposite, i bambini complicati, emarginando con essi anche i loro insegnanti di sostegno, all’incapacità di riconoscere ogni successo in questi bimbi, con la conseguente frustrazione di un lavoro vissuto come inutile e senza senso…
La vera causa è, in sostanza, un’inclusione gestita male di cui bambino e insegnante di sostegno sono entrambi vittime: il piccolo reagisce come può, spesso con comportamenti-problema, mentre l’adulto manda certificati medici. Poi arriva il supplente che resiste un po’ e quindi scappa, poi un altro supplente e così via. Se arriva uno che, miracolosamente, ci sa fare, dopo un po’ di tempo torna il primo insegnante e la giostra riprende.
Questa discontinuità ha effetti terribili per bambini e genitori, ma non si ostacola con visite fiscali, o norme restrittive di vario tipo: serve un contesto realmente inclusivo, una chiara condivisione delle responsabilità, sistemi di supporto per gli insegnanti in difficoltà, formazione seria, rete di competenze a livello territoriale (penso alle bellissime esperienze degli Sportelli Autismo che lavorano in questa direzione). Tutte cose di cui non c’è traccia nel Decreto, mentre quel tipo di continuità forzata che emerge dalle richieste della FISH non fa che rafforzare il processo di delega verso l’unico “addetto ai lavori” che dovrà prendersi carico di tutto, vincolandolo al suo posto con il lucchetto per anni e anni. Sperando non siano anni di tensione, insoddisfazione (anche per l’alunno, purtroppo) e di tanti certificati medici.

Invito dunque caldamente a rivedere in modo veramente inclusivo, con un’ottica di responsabilità condivisa, la questione spinosa della continuità, senza atteggiamenti inutilmente punitivi verso gli insegnanti di sostegno.
Avendo per altro constatato le diverse posizioni, di merito e di metodo, su queste e altre questioni, chi scrive si è dimesso dal Gruppo Scuola Nazionale della FISH di cui faceva parte come rappresentante della FISH del Veneto.

Formatore.

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