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Legge 104: necessaria, ma non più sufficiente

Alunna con disabilità in una classe di scuolaQuando fu approvata venticinque anni fa, la Legge 104/92 costituì l’asse portante dell’integrazione scolastica (come allora si chiamava il processo di presenza massiccia degli alunni con disabilità nelle classi comuni), anche perché aveva recepito i princìpi fondamentali sui diritti degli alunni con disabilità, enunciati per la prima volta con chiarezza nella Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale. Essa, infatti, garantì il diritto alla scolarizzazione nelle classi comuni di alunni precedentemente ancora valutati dai medici come «non scolarizzabili» (articolo 12, comma 4); previde strategie didattiche, modalità organizzative e mezzi finanziari idonei a garantire l’attuazione di tali princìpi; sancì inoltre il diritto per gli alunni con disabilità – e non una semplice possibilità – a frequentare gli asili nido e la scuola materna, nonché le scuole di ogni ordine e grado sino all’Università (articolo 12, commi 1 e 2), oltre ad indicare gli obiettivi cui l’integrazione doveva mirare e cioè la crescita negli apprendimenti, nella comunicazione, nella socializzazione e nelle relazioni (articolo 12, comma 3).
Le norme applicative favorirono poi la realizzazione e l’esigibilità di tali diritti, chiarendone i soggetti pubblici tenuti a rispettarli e a farli rispettare e a fornire i mezzi finanziari e il loro coordinamento tramite gli accordi di programma e le intese (articolo 13, comma 1 lettera a).
E ancora, quella norma sancì criteri di valutazione degli alunni che riguardavano non solo i risultati apprenditivi, ma anche il processo e le modalità di apprendimento, distinguendo tra scuola elementare e media (in cui il progetto didattico personalizzato avrebbe dovuto essere formulato esclusivamente sulla base delle capacità dell’alunno e valutato positivamente se vi fossero stati dei progressi rispetto ai livelli iniziali degli apprendimenti) e la scuola superiore, dove pur potendosi avvalere di prove «equipollenti» e di altre agevolazioni, l’alunno, volendo conseguire il diploma, avrebbe comunque dovuto dimostrare di possedere gli elementi basilari delle discipline.

La Legge 104/92, però, è datata, risentendo innanzitutto di una visione statalistica, mancando ancora, nel momento in cui venne prodotta, l’autonomia scolastica e il trasferimento dei poteri dei Provveditori agli Studi dalle Province agli Uffici Scolastici Regionali.
Essa, inoltre, risente ancora di una prospettiva sanitaria legata alla disabilità come a una caratteristica essenziale della persona con disabilità che quasi si identifica con essa (articolo 3, commi 1 e 3), basandosi così su una visione statica ed egocentrica della disabilità stessa.
In realtà, anche la normativa successiva ha proseguito su questi orientamenti, ma a partire dai primi Anni Duemila, la cultura mondiale ha sviluppato i princìpi dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo i quali la disabilità dev’essere inquadrata dinamicamente nei diversi contesti di vita, che possono offrire condizioni favorevoli o sfavorevoli all’inclusione, termine odierno più idoneo a significare questo nuovo orientamento di prospettiva culturale; infatti, ad esempio per un alunno cieco è molto diverso trovarsi in una scuola in cui ci siano docenti preparati sulle didattiche specifiche per la cecità, in una classe poco numerosa e potendo avvalersi di nuove tecnologie elettroniche, rispetto a chi tutto ciò non può avere.

Sulla base di questi nuovi orientamenti culturali, nel 2006 è stata approvata la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia otto anni fa, con la Legge 18/09. Pertanto la Legge 104/92 dev’essere oggi applicata alla luce di questi nuovi princìpi, ai quali deve adeguarsi.
Va poi ricordato come – alla luce delle esperienze di buone prassi di consulenza alle scuole riunite in rete per migliorare la qualità inclusiva nei confronti di casi sempre più nuovi e complessi, come gli alunni con autismo – si siano sviluppati dal 2007 i CTS, ovvero i Centri Territoriali di Supporto all’inclusione a livello provinciale o più recentemente di “Ambito Territoriale”, che si suddividono a propria volta nei CTI, i Centri Territoriali per l’Inclusione a livello di reti di scuole che abbiano realizzato degli sportelli di consulenza per l’inclusione di alunni con autismo, contribuendo validamente al miglioramento della loro inclusione.
Sembrerebbe per altro corretto che tali Centri potessero gestire pure altri sportelli per particolari tipologie di disabilità (ciechi, sordi, gravi disabilità intellettive, autismo, disabilità motorie), che possono anch’esse essere compensate con appositi ausili tecnologici.
In modo meno organico e puntuale, tali consulenze venivano svolte dai GLIP (Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali), che però sono stati ormai depotenziati quando il potere decisionale dell’Amministrazione Scolastica si è spostato all’Ufficio Scolastico Regionale. Pertanto è necessario che i CTS e i CTI ricevano un definitivo riconoscimento ufficiale per l’aggiornamento della Legge 104/92, che negli ultimi anni è stato avvertito come non più differibile e che ha portato le Federazioni FISH e FAND [rispettivamente Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità, N.d.R.] a far presentare alla Camera la Proposta di Legge n. 2444, che recepiva queste richieste innovative.

E a proposito dell’istituzionalizzazione dei Centri Territoriali di Supporto, è da osservare che sino ad oggi essi sono stati costituiti presso gli Uffici Scolastici Provinciali, mentre la Legge 107/15  (cosiddetta La Buona Scuola) ristruttura il territorio di competenza degli Uffici Scolastici Regionali nei già citati “Ambiti Territoriali”, inferiori al territorio provinciale. Questo probabilmente in vista dell’abrogazione delle Province previste dalla Legge di Riforma Costituzionale che non ha però avuto la conferma referendaria del 4 dicembre scorso. Sarebbe pertanto opportuno che tali organismi rimanessero a livello provinciale e che anzi ad essi venissero devolute le risorse umane e finanziarie previste dall’articolo 15 della Legge 104 ai GLIP, destinati, come detto, a scomparire.

Per tutto ciò la Legge 107/15 ha dato delega al Governo di migliorare la normativa, ma come documentato anche dall’ampio dibattito accesosi sulle pagine di «Superando.it» [si veda a tal proposito nella colonnina a destra l’elenco dei contributi pubblicati dal nostro giornale, N.d.R.], le bozze dei Decreti Delegati presentati dal Governo alle Camere per il richiesto parere e che dovranno portare entro la metà di aprile a un’approvazione definitiva, non soddisfano assolutamente le Associazioni delle persone con disabilità, aderenti sia alla FISH che alla FAND, dal momento che non riportano le richieste di aggiornamento della Legge 104/92, né quelle di riconoscimento ufficiale dei CTS e dei CTI. È quindi in corso un forte dibattito interno e con il Ministero dell’Istruzione, perché i contenuti dei Decreti Delegati vengano notevolmente modificati, recependo numerosi emendamenti migliorativi, proposti dalle Associazioni.
Qualora ciò non dovesse avvenire, le due Federazioni hanno già minacciato di intraprendere iniziative di protesta anche radicali.

Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) della quale è stato vicepresidente nazionale. Le presenti riflessioni costituiscono il riadattamento dell’intervento pronunciato durante il convegno nazionale “Inclusione: conquiste, realizzazioni e prospettive”, Roma, 8-9 marzo 2017 (se ne legga la nostra presentazione).

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