Docenti con disabilità: la cecità collettiva dell’ambiente e delle Istituzioni

«La realtà dei docenti con disabilità – sottolinea Marco Condidorio, coordinatore della Commissione Nazionale per l’Istruzione e la Formazione dell’UICI – è “invisibile” per chi della scuola parla senza esserci dentro o, peggio, che, pur vivendola da amministratore, come taluni dirigenti scolastici, pensa che i docenti con disabilità rappresentino solo dei costi maggiori. Nello specifico, poi, dei docenti non vedenti, essi godono del “dono” dell’invisibilità soprattutto riguardo al diritto di avere strumenti e materiali per la didattica disciplinare, che siano accessibili e fruibili»

Marco Condidorio

Marco Condidorio è docente incaricato di Tiflologia all’Università del Molise e coordinatore della Commissione Nazionale per l’Istruzione e la Formazione dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti)

«Per il Ministero i docenti ciechi sono considerati dei “poveretti”, un costo per lo Stato, una realtà “invisibile”, che non ha diritto di poter usufruire delle pari opportunità rispetto al resto del corpo insegnante»: a dirlo è il professor Marco Condidorio, docente incaricato di Tiflologia all’Università del Molise, coordinatore della Commissione Nazionale per l’Istruzione e la Formazione dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e “firma” spesso presente anche sulle pagine di «Superando.it».

Professor Condidorio, recentemente, su queste stesse pagine, abbiamo parlato di un vero e proprio “esercito” di 100.000 docenti con diverse forme di disabilità – causate dai più svariati motivi – che il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca non censisce: dal professore non vedente a quello con la sclerosi multipla, quando si parla di disabilità, nessuno ha mai pensato di guardare dietro la cattedra. Che idea si è fatto di questa realtà “invisibile”?
«È una realtà “invisibile” per chi della scuola parla senza esserci dentro o, peggio, che pur vivendola da amministratore, come taluni dirigenti scolastici, pensa che il docente con disabilità rappresenti solo dei costi maggiori. I docenti non vedenti godono del “dono” dell’invisibilità soprattutto riguardo al diritto di avere strumenti e materiali per la didattica disciplinare, che siano accessibili e fruibili».

Può farci qualche esempio concreto?
«Mi riferisco, ad esempio, ai libri di testo fruibili che ancora oggi non sono concessi, pur essendo previsti dalla Legge 4/04 – la cosiddetta “Legge Stanca” del 2004 – ma anche alla LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), che per il docente cieco è assolutamente inaccessibile, nonostante il Ministero abbia lanciato il 27 ottobre 2015 il Piano Nazionale Scuola Digitale. Stesso discorso per il cosiddetto “registro elettronico”, totalmente inaccessibile per noi. Ma quello che rende l’invisibilità ancor di più dolorosa è quando i docenti ritengono che il collega cieco o ipovedente sia il “poveretto” della situazione. Conosco situazioni in cui docenti ciechi assoluti sono stati oggetto di scherno e maleducazione, non solo da parte di qualche alunno un po’ troppo “goliardico”, ma da parte dei colleghi stessi. Una sorta di “bullismo per adulti”».

In Italia si parla spesso di inclusione sociale o di abbattimento delle barriere architettoniche e culturali, ma poi non si dà troppa voce alle tante storie di successo, come quelle di chi ha dovuto compiere davvero un’odissea per entrare nel mondo del lavoro. Quanti sono i non vedenti ad avere un impiego e quali mansioni svolgono nel pubblico e nel privato?
«Le lavoratrici e i lavoratori ciechi assoluti o ipovedenti gravi sono molti, difficile fare una stima. Ogni persona cieca o ipovedente grave oggi può decidere di intraprendere diverse attività lavorative, ma è indispensabile il buon senso, per orientarsi verso una scelta lavorativa di cui si possano gestire strumenti, ambiente e situazioni. L’ambiente di lavoro talvolta rischia di trasformarsi in un “agone” da cui quasi sempre la persona in situazione di minorazione visiva esce fortemente provata. Ciò non è sempre da imputare alla condizione sensoriale in cui si trova, piuttosto la causa va ricercata nella cecità collettiva in cui versa l’ambiente lavorativo, nel quale spesso manca il dialogo, la predisposizione all’ascolto e alla comunicazione».

Nel mondo della scuola ci sono tantissimi insegnanti non vedenti: è in grado di raccontarci quanti sono e quali difficoltà incontrano ogni giorno nell’esercitare questa professione?
«La professione del docente è sempre di più un lusso specie per chi abbia una qualche minorazione visiva e questo per colpa dell’impossibilità di sentirsi ed essere alla pari dei propri colleghi. Mi riferisco, per fare un esempio, alla scelta dei libri di testo, che per via della violazione della citata “Legge Stanca” non possiamo consultare autonomamente. L’altra sfida sempre legata all’accessibilità e fruibilità è rappresentata dalle piattaforme dei registri elettronici. Lo Stato e lo stesso Ministero dell’Istruzione dovrebbero imporre sanzioni severe a tutela del diritto del lavoratore cieco, affinché i costruttori delle piattaforme digitali fossero tenuti a realizzare registri accessibili per tutti, dunque anche per il docente cieco o ipovedente. Il registro elettronico, tra l’altro, non è utilizzato solo dal corpo docenti, ma anche dagli alunni, dagli studenti ciechi e ipovedenti, da genitori che potrebbero essere in situazione di minorazione visiva. Si tratta di uno strumento di controllo amministrativo e giuridico a cui debbono, per diritto e per legge, poter accedere tutti. E visto che nella scuola italiana vi sono anche dirigenti scolastici ciechi o ipovedenti gravi, gli stessi debbono avere il sacrosanto diritto di poter lavorare anche sulle impostazioni della piattaforma digitale».

E con i ragazzi come ci si rapporta?
«L’ambiente classe rappresenta il contesto emotivamente più forte. L’autonomia del docente è rappresentata dalle capacità di stare in aula solo con i propri alunni, di interessarli e di dimostrare di non avere alcun potere speciale, ma, al più, carattere e competenze disciplinari. Gli alunni ti guardano, ti seguono con lo sguardo, tu no. In aula ci sei tu e il loro silenzio, c’è la sfida della preparazione, la tua, e la creatività per tenere alta l’attenzione. Ci sono le loro voci, c’è l’istante in cui li interroghi e loro attuano le strategie per non farsi trovare impreparati, qualcuno di nascosto dà il morso al panino, c’è chi è perso nei pensieri suoi. Altri che – perché interessati realmente alla lezione – faticano a seguire ciò che stai spiegando e però ti seguono».

Le barriere sono un ostacolo fisico e anche culturale per un disabile. Qual è la reale situazione in Italia e quanto manca al nostro Paese per essere davvero uno Stato accessibile e inclusivo?
«Lo Stato inclusivo dovrebbe dedicare attenzione ai temi dell’accessibilità e fruibilità dei siti internet, delle piattaforme digitali dove ormai si svolgono corsi e concorsi, addirittura decisivi talvolta per la propria professione lavorativa futura. Lo Stato dovrebbe “pensare” prima d’agire, ascoltare prima di progettare. Lo Stato, gli Enti Regionali, i Comuni e le Aree Metropolitane hanno il dovere civico, morale e costituzionale di agire per conto e in nome di ogni cittadino, qualunque sia la sua condizione sociale e fisica».

Quale messaggio si sente di lanciare alle Istituzioni per rendere la scuola una realtà davvero accessibile a tutti?
«La scuola realmente accessibile è quella pensata, progettata e realizzata per tutti: priva di barriere sensoriali, fisiche e materiali, strumentali e tecnologiche. Credo che il messaggio possa essere questo: pensare la scuola come luogo di pensiero, di confronto e crescita, come luogo di scambio e incontro tra persone di idee e culture differenti».

Intervista già apparsa nel magazine online «Ofcs Report – La percezione della sicurezza», con il titolo “Docenti disabili, Unione ciechi contro Miur: ‘Non abbiamo nessuna tutela’”, e qui ripresa, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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