Solo così la scuola potrà diventare realmente inclusiva

«L’attenzione alle differenze individuali di ciascun alunno da parte di tutta la comunità scolastica – scrive Gianluca Rapisarda -, e non solo del docente di sostegno: è questa la vera discriminante, lo spartiacque tra la vecchia dimensione integrativa della scuola italiana e la nuova cultura dell’inclusione per tutti. Solo in questo modo la scuola, come d’incanto, potrà finalmente riscoprirsi come un’istituzione realmente inclusiva e capace di offrire risposte efficaci ed efficienti ai bisogni educativi di tutti e di ciascuno»

Ragazzi con varie disabilità davanti a una scuola

Ragazzi con varie disabilità davanti a una scuola

Prendo spunto dall’articolo di Giovanni Maffullo, intitolato La rete sfilacciata dell’inclusione scolastica, pubblicato nei giorni scorsi su queste stesse pagine. Secondo Maffullo, infatti, il neonato Decreto Delega sull’inclusione poco (se non addirittura niente) avrebbe stabilito, per ovviare alle attuali gravi criticità del sistema inclusivo italiano e cioè: la scarsa e modesta formazione specifica di tutto il personale scolastico (ma anche delle famiglie) sulle singole disabilità e, conseguentemente, la deresponsabilizzazione degli insegnanti curricolari che, unitamente ai genitori dei ragazzi con disabilità, tendono a considerare i docenti specializzati dei veri e propri “tuttologi”, ovvero gli unici responsabili su cui “scaricare” il processo di inclusione scolastica.

Ebbene, anche a causa di tali lacune dello Schema di Decreto n. 378, che non mi sembrano sanate pienamente dalla mancata previsione di: 1. un’adeguata formazione iniziale specifica dei futuri docenti di sostegno della scuola secondaria di primo e secondo grado; 2. l’obbligo di formazione generalizzata di tutto il personale sulla didattica inclusiva e sulla pedagogia speciale; 3. un’effettiva continuità didattica e di un piano strutturale di assunzione e di stabilizzazione dei 37.500 docenti specializzati precari, ebbene, dicevo, in un mio recente articolo avevo definito la suddetta Delega sull’inclusione come «un topolino partorito dalla montagna».
La convinzione della giustezza e dell’appropriatezza di tale mio non lusinghiero epiteto affibbiato allo Schema di Decreto n. 378 si è rafforzata in questi giorni, dopo avere ripreso, per motivi di lavoro, i dati di un’indagine scientifica che, su volontà di Luciano Paschetta (mio predecessore alla Direzione dell’IRIFOR dell’UICI), l’IRIFOR aveva condotto tre anni fa sullo stato dell’arte dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità visiva. Effettivamente, constato con rammarico e amarezza che da allora non è cambiato pressoché nulla.
I risultati di quella ricerca, infatti, sono stati davvero sconfortanti e preoccupanti e ci dicono che, a fronte di un massiccio intervento in termini di numero di ore di sostegno garantite negli ultimi anni ai ragazzi ciechi e ipovedenti, anche con disabilità plurime, ciò non ha assolutamente prodotto un elevamento della qualità del loro processo di inclusione, anzi…
Basti pensare che, all’inizio degli Anni Novanta, le ore medie settimanali erogate ad ogni 100 alunni con disabilità visiva frequentanti la scuola erano già considerevoli (1.290), ma nel 2012 tali ore per il medesimo numero di studenti erano salite addirittura a 2.510 (1.630 svolte dai docenti per il sostegno, 420 dagli assistenti alla comunicazione e 460 dagli assistenti domiciliari), senza che tale aumento abbia favorito una loro migliore inclusione.

A mio avviso, le cause di tale grave stato di cose sono da individuare e rintracciare:
1) nell’insufficiente preparazione e formazione specifica sulla minorazione visiva da parte degli insegnanti specializzati e degli assistenti alla comunicazione. Sempre dalla sopracitata indagine dell’IRIFOR, ad esempio, è emerso che meno del 50% degli operatori scolastici conosce il Braille, che il 77,7% di loro non possiede competenze tiflodidattiche e tiflopedagogiche e che soltanto il 41,5% dei docenti per il sostegno e degli assistenti ha avuto esperienze pregresse con alunni non vedenti e ipovedenti;
2) nella crescente delega al solo docente specializzato degli studenti con disabilità visiva: solo uno su quattro degli alunni minorati della vista svolge la lezione prevalentemente in classe, mentre più del 13% di essi sono “emarginati” e “ghettizzati” nella cosiddetta “aula di sostegno”;
3) infine, nell’ormai cronica “distorta” percezione, da parte della stragrande maggioranza delle famiglie, dei princìpi pedagogici e didattici dell’autentica cultura dell’inclusione.

Per avviare una virtuosa controtendenza all’odierno sistema, indipendentemente dall’indifferibile riforma del sostegno, è necessario quindi un radicale cambio di approccio e di mentalità da parte di certi genitori e degli insegnanti per il sostegno, che dovrebbero finalmente cessare di rincorrere i “totem” di un passato che faceva ritenere e per certi versi fa ancora ritenere da una parte l’insegnante specializzato (spesso poco qualificato e preparato), dall’altra il maggior numero di ore possibile di sostegno, quali uniche e “ineccepibili” garanzie del successo formativo dei loro figli.
Non è invece il solo docente specializzato a garantire la qualità del sostegno, ma la scuola nel suo complesso, se ben valorizzata e opportunamente stimolata. Solo questa moderna prospettiva culturale e professionale, ancor più di mille Decreti sull’inclusione, potrà ridare dignità di ruolo e funzione ai docenti specializzati.
Infatti, in una realtà scolastica così strutturata, il “nuovo” docente per il sostegno non dovrà né insegnare agli alunni/studenti con disabilità, né occuparsi della valutazione del loro profitto (restituendo una volta per tutte tali prerogative esclusivamente agli insegnanti curricolari), ma potrà “riqualificarsi” come esperto di progettazione, capace di supportare adeguatamente il collega titolare della disciplina, il Consiglio di Classe, i Dipartimenti Disciplinari, il Collegio Docenti, i CTS (Centri Territoriali di Supporto), i CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione) e ovviamente l’intera “rete” scolastica, nella stesura, realizzazione e valutazione di un Piano Annuale per l’Inclusività (PAI), quale premessa imprescindibile e parte integrante di un Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) finalmente e realmente per tutti.

Solo frequentando Istituti scolastici davvero inclusivi e “autonomi”, caratterizzati da ambienti, materiali e strumenti didattici e tecnologici accessibili, il bambino/ragazzo con disabilità non sarà più soltanto l’alunno di questo o quel docente per il sostegno, ma della scuola tutta, potendo partecipare in condizioni di pari opportunità, insieme ai compagni, ad attività integrative e laboratoriali scolastiche ed extrascolastiche, a percorsi personalizzati e individualizzati di insegnamento-apprendimento, per classi aperte e parallele, per gruppi omogenei ed eterogenei, a materie facoltative, aggiuntive e opzionali, a stage efficaci di alternanza scuola-lavoro e così via.
Da questo punto di vista, oltre a recepire le necessarie modifiche allo Schema di Decreto n. 378 suggerite dalle Federazioni FAND e FISH [rispettivamente Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità e Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.], dovrà essere particolare cura del Ministero mettere finalmente tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado nelle reali condizioni di sfruttare al meglio tutti gli strumenti che la normativa già esistente sul sostegno e sull’autonomia loro consente (fino alla recentissima e criticatissima Legge 107/15, meglio nota come La Buona Scuola), per implementare e migliorare la qualità del processo di inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità, creando strutture organizzative flessibili e più confacenti alle effettive esigenze formative dei diversi alunni e utilizzando in modo funzionale l’organico potenziato per la progettazione e la realizzazione di una didattica autenticamente all’insegna dell’UDL (Universal Design for Learning [“Progettazione dell’apprendimento per tutti”, N.d.R.]).
Come d’incanto, in tal modo, la scuola si riscoprirà finalmente un’istituzione inclusiva e attenta alle differenze individuali e capace di offrire risposte efficaci ed efficienti ai bisogni educativi di tutti e di ciascuno.
L’attenzione alle differenze individuali di ciascun alunno da parte di tutta la comunità scolastica, e non solo del docente di sostegno alle necessità speciali degli allievi con disabilità: è questa la vera discriminante, lo spartiacque tra la vecchia dimensione integrativa della scuola italiana e la nuova cultura dell’inclusione for all.

Direttore scientifico dell’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), direttorescientifico@irifor.eu.

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