Ma quello spot serve veramente?

«Credo che la comunicazione – scrive Rosa Mauro, riflettendo sullo spot trasmesso dalla RAI in occasione della Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo del 2 Aprile – per essere efficace debba essere corretta, anche se meno bella, e perciò, per il prossimo anno, vorrei uno spot meno bello, ma che rappresentasse persone vere, bambini e adulti, e magari anche un po’ di sana realtà costruttiva, perché come ogni anno il rischio è quello di fare della “retorica blu”»

Spot diffuso dalla RAI per la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell'Autismo del 2 aprile 2017

Un’immagine dello spot diffuso dalla RAI per la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo del 2 aprile

Bello, poetico, lo spot diffuso dalla RAI in occasione della Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo del 2 Aprile, ma anche destinato a far sorgere alcune domande, per un puro e semplice motivo: così come è formulato, quello spot serve o no?

Prima una breve descrizione. Un bambino – perché, lo si sappia, l’autistico è sempre un bambino…, anzi è sempre un cartone animato, chissà perché… -, lancia delle stelle che scendono nel mondo degli “uomini”. Una stella càpita nelle mani di una bambina che, guardando in su, vede il bimbo nel suo mondo capovolto e volando attaccata alla stella lo raggiunge. Rimane con lui e guardano insieme le stelle salire, mentre appare la scritta «Autismo, conoscere vuol dire comprendere».
Chiarito il contenuto dello spot, vediamone i limiti.

Mi è stato detto che ha un bel tratteggio [Rosa Mauro è persona con disabilità visiva, N.d.R.] e ne sono felice, ma non sono qui per giudicare la qualità del disegno.
Prima di tutto, dunque, mi chiedo perché un disegno animato. Mi risulta infatti che quando si devono “sponsorizzare” le persone con altre condizioni, come ad esempio quelle con sindrome di Down, si usino le persone stesse e non i disegni animati. Questo perché niente e nessuno si puà comprendere, se non ci si identifica: gli esseri umani non sono cartoni, perché quindi dovrebbero identificarsi in un cartone?

Il cartone animato rappresenta un bambino. In un mondo pieno di persone con autismo adulte e spesso senza diritti, sembra dunque che l’unico che dobbiamo comprendere sia il bambino…
Carissimi creativi, credete forse che dopo i 18 anni passi una “fata” che trasforma le persone con autismo in persone “normali”? Una specie di Cenerentola al contrario? E allora, visto che le persone con autismo adulte vivono tra di noi, se anche volete usare il cartone animato, almeno mostrate adulti e bambini, visto che un bimbo con autismo diventa poi un adulto con autismo e non guarisce.

E ancora, il bambino è solo, perché notoriamente noi genitori lo lasciamo sempre solo, per giunta su un pianeta a parte… I caregiver, i genitori e i fratelli che vivono e lottano accanto alla persona con autismo da sempre e per sempre, sentitamente ringraziano!
Quel bambino solo, poi, butta stelle verso la terra, ma chi le raccoglie? Una bambina, perché i maschi, accanto al ragazzo con autismo, non ci sono mai… Padri, fratelli, amici dei ragazzi con autismo, sappiatelo, voi non esistete! L’operatore di Giovanni [il figlio con autismo di Rosa Mauro, N.d.R.], che era con me, lo ha sottolineato subito, con una certa rabbia anche, e ha perfettamente ragione. La donna non é la delegata della società a comprendere le persone con autismo, quello possono e devono farlo tutti.

Splendido infine, dopo i rilievi già espressi lo scorso anno, il fatto che sia la bambina a salire dal bambino il quale non scende. Rimane nel suo mondo a parte, tanto una “vittima” l’ha già fatta e quindi si coccola la bambina che si è fatta “pescare”, e si guarda le stelle salire, ben sapendo che giù, per lui, non ci sarà nulla…

Credo che la comunicazione, per essere efficace, debba essere corretta, anche se meno bella, e perciò, per il prossimo anno, vorrei uno spot meno bello, ma che rappresentasse persone vere, bambini e adulti, e magari anche un po’ di sana realtà costruttiva, perché come ogni anno il rischio è quello di fare della “retorica blu”. E della retorica, blu o meno, non sappiamo che farcene, e men che meno i nostri figli, fratelli, cugini e amici che convivono con una realtà che a 18 anni scompare in una bolla di sapone. Al punto da non poter nemmeno essere rappresentata in uno spot. Perché i fantasmi in pellicola non si vedono!

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