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Non l’impossibile, ma “solo” che le buone Leggi vengano attuate

Particolare di volto di uomo anziano, con espressione pensierosa e mani sulla boccaMeritano un commento le recenti mozioni discusse al Senato sulla sindrome di Down e presentate da diversi Senatori in maniera del tutto trasversale. Senza entrare nel merito dei testi, alcuni apprezzabili, altri scritti proprio male (anche a Palazzo Madama, ad esempio, si continua a dire e a scrivere «persone affette da sindrome di Down», quando ormai si dovrebbe ben sapere che la sindrome non è una malattia), ci auguriamo naturalmente che le enunciazioni riportate in tutti i documenti non restino lettera morta, ma si trasformino in atti legislativi concreti entro la fine di questa Legislatura.
Qualcuno ci risponderà che è impossibile, visti i tempi e soprattutto l’incertezza, e allora a cosa servono queste mozioni?

Personalmente avremmo preferito qualcosa di concreto, minimo e realizzabile a saldi di bilancio invariato, come ad esempio una semplice norma che obbligasse i nostri Comuni a predisporre il progetto personalizzato (alcuni lo chiamano “progetto individuale”, “progetto di vita” ecc.), dando concreta attuazione all’articolo 14 della Legge 328/00 e alla Legge 112/16 (“Dopo di Noi”), al quale quest’ultima fa espressamente riferimento, ma che di fatto rappresenta uno strumento quasi del tutto sconosciuto ai Servizi Sociali dei Comuni, a differenza di quanto avviene in àmbito scolastico con il PEI (Piano Educativo Individualizzato), la cui redazione è obbligatoria e che soprattutto è costruito assieme alla famiglia e alle figure educative che ne sono coinvolte.
Infatti, il PEI è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l’alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione, di cui ai primi quattro commi dell’articolo 12 della Legge 104/92. Il PEI viene redatto – ai sensi del comma 5 del predetto articolo 12 – congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dall’ASL (Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) e dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola e, ove presente, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell’alunno (atto di indirizzo: DPR del 24 febbraio 1994, articolo 4).

Ma cosa prevede l’articolo 14 della Legge 328/00 di cui tanto si parla? La norma esiste da diciassette anni, ma la procedura non è obbligatoria, in quanto si realizza «su richiesta dell’interessato» e «nell’ambito delle risorse disponibili».
Ecco nel dettaglio il testo: «Articolo 14 (Progetti individuali per le persone disabili). 1. Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale, secondo quanto stabilito al comma 2.
2. Nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare [grassetti dell’Autore, N.d.R.]».

La polemica di questi giorni, sul fallimento o sui reali benefici della “Legge sul Dopo di Noi” sconta un reale “buco” alla base delle effettive responsabilità dell’avvio delle procedure necessarie a poter concretamente esercitare i propri diritti, soprattutto in àmbito di progettazione del futuro della vita di persone con fragilità. In altre parole: i Servizi Sociali dei nostri Comuni sono tecnicamente e culturalmente preparati a lavorare su questi temi?
Se provassimo a fare una verifica sull’effettiva attuazione di questa norma, scopriremmo che sono pochissimi i Comuni oggi in grado di dare risposte a quelle famiglie che in questi giorni hanno voluto esprimere sulla stampa tutto il loro disagio, nonostante le risorse pubbliche e private non manchino.
Quello che dunque riteniamo sia fondamentale è che si creino le condizioni per la nascita di un “patto di corresponsabilità” tra i soggetti pubblici e le famiglie, dove ad ognuno siano chiari i compiti e gli impegni da assumere nel medio e lungo periodo, con progetti che devono durare per sempre, per tutta la loro vita.
Alle Associazioni il compito di accompagnare il processo, sostenendo le famiglie e le persone con disabilità, allo Stato quello di garantire le risorse, poche o tante che siano, ma stabili nel tempo, agli Enti Locali di investire maggiormente sulla formazione degli operatori sociali affinché sappiano affrontare questa sfida di civiltà cambiando prospettiva, puntando più all’investimento sulla persona e meno alla sua mera assistenza come in passato.
E ai nostri Parlamentari non chiediamo l’impossibile, ma almeno che facciano in modo che le Leggi, quelle buone, quelle efficaci, possano poi essere concretamente attuate e non restino solo norme di principio.

Presidente nazionale del CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down).

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