Gabriella e Maria Teresa: la nostra Strada assieme

Si chiama infatti proprio La Strada l’Associazione fondata a Verona da Maria Teresa Bosco, insieme a Casa Laboriosa, Centro Diurno che attualmente ospita tredici persone in età adulta post-scolare, con problematiche per lo più afferenti l’area intellettiva e in alcuni casi con compromissioni motorie, dando a tutti la possibilità di sperimentare varie esperienze e di imparare ad esprimere al meglio la propria personalità. Tutto è nato in parallelo allo stretto e lungo rapporto di Maria Teresa con la sorella Gabriella, persona con sindrome di Down. Ne percorriamo anche noi i vari momenti

Maria Teresa e Gabriella Bosco

Maria Teresa Bosco con la sorella Gabriella

Verona, 20 settembre, Maria Teresa Bosco, classe 1938, presidentessa dell’Associazione La Strada, mi aspetta in cucina in compagnia di Annamaria Girelli, collaboratrice dell’Associazione dal 1991 ed educatrice-coordinatrice di Casa Laboriosa.
Le due signore mi fanno accomodare in soggiorno, un ambiente curato e accogliente. Ci sediamo e mi sento subito a mio agio. Sì, perché le mie parole e le loro si mescolano subito, si sovrappongono e si incastrano in un puzzle perfetto, fatto di tante cose da dirsi.
Le due donne mi colpiscono: sono appassionate, amano ciò che fanno. Nessuna delle due nasconde le difficoltà, ma entrambe comprendono che queste fanno parte di un percorso: quello che le ha portate a creare un Centro Diurno che permette alle persone con disabilità del territorio di staccarsi dalle famiglie ed essere autonome.
Ma l’Associazione non è solo il frutto di una passione, bensì di un’esigenza. «Lei è Gabriella, mia sorella, ha 58 anni», spiega infatti Maria Teresa. Gabriella ha la sindrome di Down e una grande voglia di vivere. Indossa un pigiama colorato, mi mostra le sue unghie dipinte con lo smalto e mi racconta della sua passione per la rivista «TV Sorrisi e Canzoni». Le due sorelle si abbracciano e, scherzosamente, discutono per avere la meglio sulla decisione del menù del pranzo del giorno successivo. Maria Teresa Bosco vive con lei da molti anni. Gabriella frequenta il Centro gestito dalla sorella e mi indica una foto, quella del viaggio a Roma del 1981.

All’inizio aveva paura
«È da lì che tutto è partito», afferma Maria Teresa. Annuisco e mi preparo a immergermi nei loro ricordi, a viaggiare pur stando seduta in quel soggiorno veronese. Senza fare domande, questa mia intervista si scrive da sola, nutrendosi dei progressi di Gabriella, che una volta aveva paura della gente, mentre oggi adora uscire e divertirsi e tutti la conoscono in paese.
«Gabriella è nata nel ’58 ed io, all’epoca, non sapevo nemmeno cosa fosse la disabilità. L’ho sempre considerata normale, e quando dico “normale”, intendo che non notavo la differenza, non so, forse perché in quegli anni se ne parlava poco, si vedevano poche persone disabili in giro».
Mi tornano in mente le parole di Cinzia Gozzo dell’Associazione veronese Amici Senza Barriere, un gruppo che cinquant’anni fa bussava alle porte delle famiglie di persone con disabilità per convincerle a fare uscire di casa i figli o i parenti e partecipare alle loro attività. Erano anni difficili, in molti cacciavano via i volontari, tanti provavano vergogna, ma, finalmente, le cose stanno cambiando e oggigiorno le persone in carrozzina o con disabilità intellettiva escono allo scoperto e vivono la loro vita anche fuori dalle mura domestiche.
Maria Teresa prosegue e mi racconta con molta franchezza che Gabriella le è sempre piaciuta. «Non ho mai voluto che fosse perfetta perché l’ho accolta così com’era. Quando lei è nata, io mi sono sposata e mi sono trasferita in un’altra casa per diciannove anni. Nel frattempo a sei anni è stata inserita in un centro a Ponton [frazione di Sant’Ambrogio di Valpolicella a una ventina di chilometri da Verona, N.d.R.], ma dopo tre anni abbiamo deciso di riportarla a casa perché non aveva imparato un granché. Successivamente l’abbiamo iscritta a una scuola speciale in Borgo Roma [quartiere di Verona, N.d.R.], ma, anche lì non ha imparato molto e spesso restava sola nei corridoi. Poi nel 1976 mi sono trasferita a casa dei miei genitori. Mio padre all’epoca avvertiva un terribile senso di angoscia per ciò che riguardava il futuro di Gabriella del quale mi sono occupata a pieno ritmo anche e soprattutto dopo la sua morte».

Gabriella Bosco

Gabriella Bosco alla sua scrivania

L’inizio del cambiamento
«La portavo sempre con me – prosegue Maria Teresa – per farla sentire parte del mondo, una missione che ha preso corpo dopo il 1981, in seguito al nostro viaggio a Roma, ma soprattutto grazie all’Associazione e alla frequentazione del Centro».
A questo punto facciamo un passo indietro per capire meglio com’è nata l’idea e Bosco mi spiega che l’Associazione La Strada risale proprio al 1981, idea nata in seguito a un pellegrinaggio a Roma al quale aveva preso parte per mantenere una promessa fatta alla sorella. «Gabriella mi aveva chiesto di portarla a Roma per fare la comunione. A quel tempo, infatti, le persone con disabilità non avevano accesso ai sacramenti religiosi, un’ingiustizia che la Chiesa ha protratto per lunghi anni [ che in alcuni casi protrae tuttora, N.d.R.]. Al ritorno dal viaggio mi sono attivata per effettuare una ricerca sul territorio, nelle scuole, nelle famiglie, e sono entrata in contatto con moltissimi disabili che non potevano contare su alcun tipo di servizio e quindi su nessuno spazio o centro di socializzazione. E così ho deciso di proporre per un giorno alla settimana un servizio di trasporto e formazione dei volontari, inaugurando poco dopo l’Associazione, dapprima in un locale della Parrocchia di Cadidavid [frazione di Verona, N.d.R.], poi spostandomi in un seminterrato di ampio spazio messo a disposizione dal Comune di Verona e arrivando a gestire un Centro Diurno pomeridiano, grazie all’aiuto di tre figure professionali e dei nostri volontari. Il tutto cercando di essere presenti e contribuendo al sostegno della nostra comunità», chiarisce Maria Teresa.
Nel 1996, quindi, l’Associazione si sposta in Borgo Roma a seguito dello sfratto, per poi tornare a Cadidavid fino al 2004, quando si dà vita alla già citata Casa Laboriosa, Centro Diurno collegato all’Associazione di volontariato e da quel momento in regime di convenzione con l’odierna ULSS 9.
Oggi il Centro si avvale della collaborazione di personale educativo e assistenziale e di numerosi volontari. Attualmente ospita tredici persone in età adulta post-scolare, con problematiche per lo più afferenti l’area intellettiva e in alcuni casi con compromissioni motorie, dando a tutti la possibilità di sperimentare varie esperienze e di imparare a esprimere al meglio la propria personalità.
Negli anni la struttura ha attivato laboratori di lettura, scrittura, atelier, design, manualità, attività di economica domestica e corsi ludico-motori, oltre a curare l’organizzazione di eventi e mostre.

Associazione La Strada, Verona

Foto di gruppo per l’Associazione La Strada di Verona

L’autonomia prima di tutto
«Anche Gabriella – illustra Maria Teresa – ha partecipato alle attività del Centro e posso dire che questo percorso l’ha aiutata a staccarsi da mia mamma, a discernere e soprattutto a decidere. Ricordo che una mattina iniziò anche a diventare autonoma nella scelta dei vestiti; può sembrare una banalità, ma questo è indubbiamente un segnale di crescita, dettato dal bisogno di prendere le distanze dalle decisioni dei propri genitori, un sintomo che tutti i giovani del mondo provano».
Occuparsi di Gabriella, per altro, non vuol dire solo essere presente bensì rivoluzionare la percezione del tempo e dello spazio, apprendere a stare ai suoi tempi senza correre, riscoprire un tempo più lento, ma anche più vero.
«Ho capito le difficoltà di mia sorella molto tardi – conclude Maria Teresa -, e oggi mi pongo delle domande, le stesse che si poneva mio padre molto tempo fa, anche se mi sento serena perché mi sento completa con lei e so che anche lei sta bene con me. Non credo di aver fatto nulla di speciale, ho sempre considerato questo mio percorso come qualcosa di assolutamente normale, perché per me la normalità è proprio questo: impegnarsi affinché le persone possano vivere la loro vita anche al di fuori delle mura di casa. Credo anche che prima di prendere qualsiasi decisione sul futuro del proprio fratello o della propria sorella con disabilità, bisognerebbe pensare bene cosa sarebbe se quella decisione o proposta fosse fatta a me, sorella o a me, fratello: ci si dovrebbe quindi mettere nei panni dell’altro, per decidere con coscienza, senza scegliere la via più comoda. Per quanto mi riguarda, ho lottato molto prima di riuscire a far capire ai miei genitori che Gabriella non poteva vivere sotto una campana di vetro e alla fine ce l’ho fatta. Mi auguro dunque che in futuro nascano piccole strutture volte a fornire alloggio alle persone non autosufficienti che non hanno una famiglia alle spalle che possa intervenire e aiutare i figli e i parenti con disabilità».
E a giudicare dai risultati ottenuti, dalla “strada” percorsa dall’Associazione e dalle due sorelle, non possiamo che sperare che il desiderio di Maria Teresa Bosco si avveri e raggiunga tutti coloro che aspettano una chance per trovare il loro posto nel mondo.

Giornalista, scrittrice, autrice del documentario “Vorrei ma non posso: quando le barriere architettoniche limitano i sogni”.

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