È questa nostra società che va “riabilitata”, non le persone con disabilità!

«C’è la preoccupazione – scrive Gianluca Rapisarda – che spenti i riflettori sulla Giornata del 3 Dicembre, la disabilità torni ad occupare il solito e desolante ruolo marginale e settoriale. Manca infatti, nel ”sistema Italia”, una visione capace di programmare a medio e lungo termine in favore delle persone con disabilità. Per questo credo che non sia la persona con disabilità, ma la nostra società, a dover essere “riabilitata”, perché disabili non si nasce, ma lo si diventa ogniqualvolta si viene esclusi, emarginati, discriminati nell’esercizio dei propri inalienabili diritti»

Realizzazione grafica con logo disabile che al megafono dice: «non sono un cittadino di Serie B. Basta!»È appena trascorsa la “nostra” Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità e in Italia è stato indubbiamente un pullulare incessante e senza sosta di iniziative e manifestazioni dalle Alpi alle pendici dell’Etna.
Spenti però i riflettori della festa, chi scrive ha la forte preoccupazione che la disabilità, da priorità dell’agenda politica e sociale del nostro Paese, torni invece ad occupare il solito e desolante ruolo marginale e settoriale. E tutto ciò con buona pace del mainstreaming* tanto decantato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, di cui tra qualche giorno celebreremo l’11° anniversario.
A tal proposito, è opportuno rammentare che nell’esaminare il Rapporto Ufficiale dell’Italia sull’attuazione dei princìpi e delle disposizioni contenute nella Convenzione, il Comitato ONU preposto a tale compito, lo scorso anno si è espresso così: «È  necessario ancora fare un cambio di paradigma, in modo che le persone con disabilità siano considerate come persone uguali nella società e non un peso o qualcuno che drena risorse del welfare state».

Il problema è che, nonostante la nostra nazione si vanti di avere una legislazione “inclusiva” avanzatissima, accade che quella stessa normativa, tanto all’avanguardia da esserci invidiata e copiata in Europa e nel mondo, troppe volte, purtroppo, rimane inapplicata o “ingessata” e imbrigliata dai vincoli di bilancio.
Manca cioè, nel ”sistema Italia”, una visione strategica e organica sulla disabilità, che spesso si concretizza nell’incapacità cronica di leggere in modo strutturale i bisogni delle persone con disabilità, di programmare in loro favore a medio e lungo termine.
Di fronte alla manifesta necessità di garantire quotidianamente e in maniera permanente diritti fondamentali quali quelli delle pari opportunità, della piena partecipazione, della progettazione, dell’accessibilità universale e dell’inclusione, spesso i nostri interlocutori istituzionali rispondono con interventi solo “emergenziali” ed episodici. L’unica cosa che sanno fare molto bene, al contrario, è trincerarsi dietro l’ormai troppo tristemente nota logica dell’“austerity” imposta dalla crisi economica, e della “spending review”, ovvero del “comanda-e-taci” proveniente dall’Europa.
È come se i costi venissero prima dei diritti. Ma un Paese che antepone il contenimento della spesa ai diritti fondamentali dell’uomo è un Paese “malato”, che dimentica colpevolmente la recente Sentenza “spartiacque” della Corte Costituzionale n. 275/16, la quale ha stabilito in modo inequivocabile che «sono i diritti incomprimibili della persona ad incidere sull’equilibrio di bilancio e non quest’ultimo a condizionare la loro doverosa erogazione».
E proprio a causa di tali gravi e ricorrenti criticità dello Stato italiano, mi permetto di affermare che quella “sbagliata” non è la persona con disabilità, ma è la nostra società che deve essere “riabilitata” e rieducata, perché disabili non si nasce, ma lo si diventa, ogniqualvolta si viene esclusi, emarginati, discriminati nell’esercizio dei propri inalienabili diritti.

Pertanto, in vista dell’ormai imminente 11° anniversario della Convenzione ONU e delle prossime decisive tornate elettorali (nazionale e regionali) che interesseranno il nostro Paese, l’auspicio è che la classe dirigente che verrà si riappropri del primato della politica rispetto a quello dell’economia, rimettendo al centro della scena le persone con disabilità con i loro diritti fondamentali, in quanto un Paese civile è soltanto quello che riesce a rendere i cittadini più deboli “protagonisti” della collettività.
Solo così facendo, riusciremo, anche in Italia, a far realizzare a tutte le persone con disabilità un progetto di vita realmente indipendente, a riconoscere effettivamente i loro sacrosanti diritti all’autodeterminazione e alla cittadinanza attiva, ma, soprattutto, ad assicurare a tutti e a ciascuno, ora e sempre, la dignità di essere umano a trecentosessanta gradi, indipendentemente dalle “Giornate” a loro dedicate e dalle loro abilità.

*Per “mainstreaming della disabilità” si intende il fatto che le questioni legate alla disabilità debbano essere prese in considerazione tanto nella pianificazione quanto nell’esecuzione di tutte le politiche che abbiano un certo impatto sulla società.

Direttore scientifico dell’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) (direttorescientifico@irifor.eu).

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