Parliamo di sperimentazioni cliniche pediatriche

Secondo i più recenti dati prodotti nel Registro Europeo delle Sperimentazioni Cliniche, sono attualmente 965, nel nostro Paese, quelle pediatriche, rivolte cioè a persone con meno di 18 anni, delle quali 403 per malattie rare. Ma approfondiamo meglio questo importante settore, ricordando anche l’importanza di distinguere con esattezza le diverse fasce d’età dei minori, specie quando si parla di sperimentazioni di tipo interventistico, la cui indagine ha come oggetto un farmaco, una procedura per la diagnosi o l’utilizzo di un dispositivo che esulano dalla normale pratica clinica

John Bond Francisco, "Il bambino malato", 1893

John Bond Francisco, “Il bambino malato”, 1893

Nel linguaggio quotidiano vengono chiamati tutti “bambini” o “ragazzini”, ma la scienza ha la necessità di distinguere i minori in diverse fasce d’età, utili soprattutto per la partecipazione alle sperimentazioni cliniche loro dedicate. Nemmeno la definizione di “minore”, per altro, è univoca: se infatti per la pediatria europea il limite è di 18 anni, negli Stati Uniti è di 16.
Gli enti regolatori hanno quindi individuato diverse fasi nella vita di un minore, che variano però a seconda dell’area geografica: in Italia, dal momento della nascita fino al ventottesimo giorno si parla di neonati; fino ai sei mesi, poi, e cioè nel periodo dello svezzamento, sono chiamati lattanti, mentre fino alla pubertà (circa 11 anni) si definiscono bambini e dagli 11 ai 18 anni diventano adolescenti. I pediatri americani adottano una terminologia diversa: oltre ai newborns, che coincidono con i nostri neonati, i bambini da due mesi a un anno di vita sono infants, mentre dai 12 ai 36 mesi si impara a camminare e si entra quindi nella fase dei toddlers, i cosiddetti “gattonatori”.

Come detto, si tratta di distinzioni importanti quando si parla di trial a livello regolatorio, specialmente quelli di tipo interventistico, la cui indagine ha come oggetto un farmaco, una procedura per la diagnosi o l’utilizzo di un dispositivo che esulano dalla normale pratica clinica. E nonostante queste sperimentazioni si stiano spostando ultimamente nei Paesi emergenti e nell’Est Europa, l’Italia si posiziona decisamente bene nella classifica.
La norma principale che disciplina questo campo è il Regolamento Europeo relativo ai medicinali ad uso pediatrico, entrato in vigore in tutti i Paesi dell’Unione Europea il 26 gennaio 2007. L’interfaccia di questo strumento legislativo rivolta agli utenti è l’European Clinical Trial Register, che rende trasparenti i risultati delle sperimentazioni e che al 19 dicembre scorso mostrava 31.702 studi clinici, di cui 5.107 condotti con soggetti di età inferiore ai 18 anni.
Restringendo la ricerca ai trial italiani, quelli sugli adulti erano 5.713, dei quali 987 per malattie rare. Quelli pediatrici (intesi come trial con minori di 18 anni) erano invece 965, dei quali 403 per malattie rare (nel dettaglio: 768 studi sugli adolescenti, 630 sui bambini, 324 su infanti e toddlers, 137 sui neonati, 67 sui neonati pretermine e 18 trial in utero).

L’European Clinical Trial Register presenta anche informazioni su 18.700 studi più datati, nell’ambito dell’articolo 45 del Regolamento Pediatrico, il quale prevede infatti che qualsiasi studio pediatrico già concluso alla data di entrata in vigore del Regolamento e riguardante medicinali autorizzati nella Comunità Europea, venga presentato ai fini di una valutazione alle autorità competenti, ossia all’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) e alle Agenzie Regolatorie Nazionali.
«Si tratta di un’enorme mole di dati – sottolinea Francesca Rocchi del Dipartimento Pediatrico Universitario-Ospedaliero del Bambino Gesù di Roma -, relativa a studi vecchi e spesso condotti con metodologie non ineccepibili, oppure legati alle sperimentazioni non profit, non utilizzate quindi a scopo registrativo. Dati comunque utili per uniformare le indicazioni in pediatria e che non potevano andare persi».

Se si consulta quel Registro e si selezionano i trial che riguardano i bambini con una malattia rara e quelli che prevedono l’uso di un cosiddetto “farmaco orfano” [i farmaci utilizzati appunto perle malattie rare, N.d.R.], i numeri non coincidono. «I motivi – dichiara Rocchi – sono principalmente due: il primo è la variazione subìta, nel corso degli anni, dalla definizione di malattie rare e di farmaci orfani, e il secondo è che spesso, per curare una malattia rara, si utilizzano farmaci impiegati normalmente per tutt’altre indicazioni».

Il Regolamento Europeo prevedeva che dopo dieci anni dalla sua introduzione – ovvero lo scorso anno –  dovesse far seguito un report, risultato di un’analisi di tipo farmacoeconomico, per valutare l’impatto della norma stessa: tale documento è stato effettivamente pubblicato nell’ottobre scorso, ma nel frattempo al Parlamento Europeo è già stata approvata una mozione che chiede di modificare e aggiornare il Regolamento stesso: una risoluzione a firma, fra gli altri, dei due europarlamentari italiani Giovanni La Via ed Elena Gentile.
Da ricordare infine che nel nostro Paese è attivo a favore dei trial pediatrici il network INCiPiT, un accordo di collaborazione fra ospedali, del quale fa parte anche Francesca Rocchi. Tale rete conta ventuno partner, fra cui i principali Ospedali Pediatrici, gli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e altre Istituzioni.

L’OMAR è l’Osservatorio Malattie Rare.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa OMAR, Stefania Collet (ufficiostampa@osservatoriomalattierare.it) e Paola Perrotta (paola.perrotta@osservatoriomalattierare.it).

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