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“Eroi in corso” ovvero Elogio delle fragilità

Statua con una lacrima sul viso (Verona) (particolare)

Statua al Museo degli Affreschi Giovanni Battista Cavalcaselle alla Tomba di Giulietta (Verona) (particolare)

Essere forti ed eroici è l’aspirazione comune, di uomini e donne in costruzione, dei giovani e dei giovanissimi. È all’origine di lotte e sfide nel tentativo di imboccare il sentiero giusto, di percorrere una strada, di aprire una via, tutta personale, alla vita e al mondo.
Tutti questi sforzi meritano parole che li raccontino, conservandone il senso. Le nostre vite prendono valore nell’essere narrate, con parole, colori, suoni, gesti, ragionamenti… Tutte le vite e le vite di tutti. In particolare un ragazzo, una ragazza con disabilità non si possono definire solo con le parole, avare e fredde, di una diagnosi medica. Hanno bisogno, per essere compresi, di raccontarsi con parole sensibili.
Potremmo definire questi/e ragazzi/e “eroi in corso” e, così facendo, poniamo le loro esperienze di vita nel solco di un grande tema: il viaggio dell’eroe/eroina, così come ci viene raccontato nelle fiabe, nei miti, nelle arti.
Rifarci a queste rappresentazioni e a tali racconti rende più potente la riflessione sull’“eroismo del quotidiano” che questi/e giovani, facendo i conti con una disabilità, vivono tutti i giorni. Affrontare gli studi, puntare sulle proprie qualità presenti e potenziarle, vedere nella propria differenza un valore positivo, un’addizione, piuttosto che una sottrazione, saper costruire intorno a sé una rete di contatti e di ausili, proporsi e farsi apprezzare per quel che si è, dare il proprio originale contributo al mondo, sono tutte imprese a loro modo eroiche!

Ma come si svolge tradizionalmente il percorso dell’eroe? Vale la pena di guardarlo meglio.
Il percorso dell’eroe si dipana in cinque tappe fondamentali:
1) La premonizione, che si situa nell’infanzia, ovvero quando e come ho percepito la mia diversità, rispetto alla maggioranza delle persone.
2) La chiamata, che di solito avviene nell’adolescenza o nella prima giovinezza. È il momento in cui ho sentito che la mia diversità poteva diventare, comunque, un’avventura umana densa di significati. È ciò che, in modo mirabile, Italo Calvino, nella prefazione alla raccolta delle Fiabe italiane del 1956, definisce come «il farsi di un destino».
3) La partenza per l’impresa, ovvero il distaccarsi dal mondo conosciuto, l’allontanarsi da ciò che è noto, l’oltrepassare il limite.
4) L’impresa vera e propria, che nei racconti varia all’infinito, ma che riguarda sempre e comunque l’affrontare le proprie paure, il superare i propri rassicuranti confini. È interessante notare che qui l’eroismo al maschile e quello al femminile si tingono di coloriture diverse. L’eroe sfida se stesso e affronta una volta per tutte in combattimento, l’antagonista, il drago di turno. L’eroina si cimenta in prove impossibili, che richiedono costanza, pazienza, astuzia, tempo, e che riparano una perdita, un’assenza, un distacco.
5) Il ritorno, ovvero quando, conclusa l’impresa, si deve riportare nella vita di tutti i giorni il significato dell’avventura vissuta.

In ogni racconto di impresa eroica, accanto al/alla protagonista ci sono dei valenti collaboratori, quelli che Vladimir Propp definì gli «aiutanti magici». Tali sono i compagni di classe di studenti e studentesse con disabilità, coetanei che vivono, a loro modo, un’avventura umana significativa, mettendosi a disposizione. E, così facendo, ampliano le loro competenze, il loro sapere, sapere essere e sapere fare, affinano la loro sensibilità e implementano la capacità di mettersi nei panni di un altro. Così, se lo studente con disabilità è il “giovane cavaliere”, ecco che il compagno o la compagna che gli dà una mano, sarà il suo “fidato scudiero”, ovvero colui o colei che appronta ogni cosa per bene, che striglia il destriero, lucida e affila la lama, che fa di tutto perché l’altro studente riesca nella sua impresa eroica: intraprendere e concludere il percorso di studi.

Le motivazioni dei giovani con disabilità, e di quanti si sentono vocati a condividere con loro queste “eroiche imprese”, possono essere sostenute e implementate grazie all’arte terapia.
Nata negli Anni  Quaranta e Cinquanta del Novecento in Inghilterra e negli Stati Uniti, l’arte terapia si basa sulla constatazione che l’immaginazione è una parte fondamentale della nostra vita, e che gli individui possono proiettare il loro mondo interno nelle immagini.
Creare un’immagine propria, relativamente ad un certo tema o problema, aiuta a conoscerci meglio. Dare forma ad un pensiero, ad un’emozione, ad un sentimento, consente di farli più nostri e crea un collegamento con gli altri. Rappresentare e comunicare il nostro mondo interno, è un modo per uscire dall’isolamento, dal disagio, dal dolore.
L’arte terapia è utilizzata con successo nei contesti sanitari, scolastici e formativi. Si è rivelata di grande efficacia nel sostenere quanti vivono situazioni esistenziali impegnative, quasi o del tutto al limite, come può esserlo convivere con una disabilità, e quanti (familiari, amici, insegnanti, operatori e animatori sociali, animatori-educatori, volontari) si offrono loro come fidati sostegni, come risonanze emotive, come oasi, approdi, o rifornimenti in volo.
I giovani “eroi” e le giovani “eroine”, ovvero i ragazzi e le ragazze e con disabilità, ci ricordano che siamo tutti/e un miscuglio di risorse e di fragilità.
In un libro uscito nel 2013, dal titolo Le lacrime degli eroi, l’Autore, Matteo Nucci, ci mette a contatto con una realtà che la retorica della cultura classica spesso sfuma o dimentica: gli eroi piangono. E, come ci ricorda lo scrittore, «piange Odisseo, piange Agamennone, piange Ettore, piangono Menelao, Telemaco, Patroclo, Priamo. A viso aperto. Senza risparmiarsi. Tranne in rarissime occasioni e per precise ragioni, gli eroi piangono e non se ne curano. Singhiozzano, gridano, si accasciano, tremano, lasciano fluire lacrime calde, sentono strozzarsi in gola lacrime fredde, piangono fino a rischiare la fame, piangono per saziarsi del pianto. In quelle lacrime si annidava il germe di un coraggio capace di superare qualsiasi altro coraggio».
Possiamo, come quegli eroi, trarre la nostra forza dalle nostre fragilità, perché solo chi è capace di piangere può sondare i limiti della propria umanità.

Un eroe e un’eroina sono fatti di coraggio e di paura, di bellicosità e di lacrime, di ardimento e di esitazione, di slancio e di blocco. E alla chiamata, al richiamo dell’impresa eroica, tutti e tutte rispondiamo per quel che siamo, mettendo ali ai piedi, ma anche gravati da pesanti catene alle caviglie… E tuttavia, come ci insegna il libro di Nucci, solo a partire dalle nostre parti fragili possiamo evocare la potenza della nostra forza. Anche se la realtà che ci circonda privilegia smaccatamente successi, trionfi e vincite senza sforzo e senza storia. Dimenticando che la luce senza l’ombra è insopportabilmente noiosa e accecante, dimenticando la bellezza della penombra, così romantica, così autentica. E, a partire da questo elogio delle fragilità, delle ombre, delle sfumature, propongo ufficialmente un passaggio da fare insieme, da fare nella nostra testa e nel nostro cuore, nel nostro pensare e nel nostro sentire: è tempo di cambiare mentalità rispetto alla disabilità, è tempo di viaggiare, e il percorso si deve lasciare alle spalle la commiserazione e puntare dritto altrove, ad altro, all’ammirazione…

Psicoterapeuta, formatrice, giornalista-pubblicista, docente a La Cittadella Formazione. Arte Terapia e counselling (Assisi), consulente di CBM Italia (tiziana.luciani@tiscali.it).

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