Il male subdolo della nostra società

«La lotta contro il bullismo e il cyberbullismo – scrive Maria Pia Amico – tanto più quando a subire sono persone con disabilità, riguarda tutti, perché coinvolge i nostri figli e nipoti. Nessuno, dunque, si senta escluso, e finché ci sarà questo fenomeno, vorrà dire che non si sarà fatto abbastanza e che avremo costruito una società malata»

Nuvola di parole centrata sul termine bullismoNon si sa bene quando sia nato il bullismo, forse c’è sempre stato, ma solo negli ultimi anni si è reso visibile come problema sociale, soprattutto grazie ai mass-media che l’hanno portato a conoscenza del grande pubblico.
La parola bullismo deriva dal verbo inglese to bull, che significa usare prepotenza e infatti si tratta di una forma di prepotenza da parte di uno o più soggetti nei confronti di altri individui più deboli.
Ci sono in generale due tipi di bullismo: quello diretto, fatto di violenze fisiche e psicologiche, quello indiretto, che si manifesta per lo più a livello psicologico, con insinuazioni, maldicenze ed esclusione dal gruppo.
La dinamica è nota. Si prende di mira un soggetto, sicuramente il più fragile del gruppo, e si comincia a vessarlo con percosse, calci, insulti, minacce, per giorni, mesi e anche anni. La vittima può reagire o subire passivamente, nel qual caso dovrà sopportare le angherie. Le conseguenze di tutto ciò possono variare da persona a persona e portare addirittura al suicidio.
Gli ambienti sociali dove si sviluppa maggiormente sono la scuola, le caserme e anche i posti di lavoro. Un nuovo tipo di bullismo è il cyberbullismo, sviluppatosi in questi ultimi anni e che riguarda principalmente il mondo dei social network e i giovanissimi. È sostanzialmente una forma di prepotenza psicologica fatta di ricatti, insulti, intimidazioni, foto rubate, tutto costruito tramite internet, le piattaforme chat e i telefonini.

Ovviamente ogni forma di prevaricazione è condannabile, ma ce n’è una che ancor meno può essere ammessa o giustificata ed è quella sulle persone con disabilità, fisica, intellettiva o psichica che sia, perché esse sono doppiamente penalizzate, in quanto incapaci di difendersi verbalmente e/o fisicamente e impossibilitate a reagire per motivi oggettivi. E prendersela con chi è più vulnerabile è sin troppo facile, tanto più se ciò viene ammesso e supportato da altri membri del gruppo, che diventano a propria volta complici, quando non denunciano il fatto a chi di dovere. Denunciare, però, vuol dire esporsi a rischi di ritorsioni e non tutti sono disposti a rischiare.
Purtroppo molto, troppo spesso, si tende a minimizzare, a sottovalutare un episodio di violenza e a prendere sottogamba le reazioni delle vittime, riducendo a “ragazzata” un’azione lesiva che può danneggiare anche permanentemente chi ne è colpito. Quando invece si assiste o si subisce una scena di bullismo è essenziale non minimizzare, né lasciar correre, ma avvertire le autorità preposte e competenti, per risolvere la questione in modo risolutivo, adottando metodi severi, ma non coercitivi, e cercando di istituire dei percorsi formativi di supporto psicologico sia per le vittime, sia per chi è autore di queste azioni esecrabili.

Vari studi sono stati svolti, altrettante teorie sono state formulate, ma nulla è inconfutabile. Si crede comunemente che il bullo provenga da un ambiente povero, degradato, violento, che abbia subìto a sua volta percosse e angherie, che sia un insicuro e un narcisista. Non è proprio così, perché anche ragazzi benestanti, senza particolari problematiche, diventano bulli, e quindi, evidentemente, esiste un malessere interiore o una tendenza caratteriale che porta a questi eccessi di violenza e protagonismo.
La lotta contro il bullismo riguarda tutti, perché coinvolge i nostri figli e nipoti. Nessuno, dunque, si senta escluso, e finché ci sarà questo fenomeno, vorrà dire che non si sarà fatto abbastanza e che avremo costruito una società malata.

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