Diritto all’abitare: nove princìpi in cui credere

Nove princìpi in cui credere, scrive Fausto Giancaterina, «per sorreggere la cultura e i valori ispiratori dell’azione di accompagnamento delle persone con disabilità in un progetto del diritto all’abitare». A partire dal fatto di credere «nella centralità della persona, piuttosto che nella centralità del budget» e «che siano i diritti ad avere la priorità rispetto ai bisogni», ovvero che sia «l’esigibilità dei diritti stessi a determinare l’organizzazione dei servizi»

Giovane con disabilità che ride, seduto presso un tavolo di cucinaPer sorreggere la cultura e i valori ispiratori dell’azione di accompagnamento delle persone con disabilità in un progetto del diritto all’abitare, noi crediamo:
1. Nella centralità della persona piuttosto che nella centralità del budget; che siano i diritti ad avere la priorità rispetto ai bisogni, e che sia l’esigibilità dei diritti stessi a determinare l’organizzazione dei servizi, attraverso risposte co-progettate, co-prodotte e seguite da un’attenta e continua “manutenzione”, alimentate dalla responsabile partecipazione di risorse pubbliche, risorse di impresa sociale e di risorse della comunità locale.
Siamo fortemente parte di tale comunità e quindi abbiamo la consapevolezza di fare azione politica a servizio delle città e dei suoi cittadini, per costruire, in sintonia con il proprio contesto sociale, economico, culturale e di senso, un sistema di garanzia all’esigibilità dei diritti di cittadinanza e in particolare del diritto all’abitare nei normali contesti di vita.

2. Che accompagnare l’esistenza delle persone, sia questo il nostro lavoro e non la ricerca di un paradigma astratto di normalità. La nostra azione ha quindi un duplice obiettivo: vogliamo da una parte, con competenza, contribuire a fare evolvere le potenzialità delle persone e dall’altra aiutare i contesti di vita – gli altri – a riconoscere pienamente le loro identità e ad interagire positivamente con loro, ben consapevoli che solo in tal modo possiamo costruire opportunità con quel giusto clima di accoglienza, di serena convivenza e di rispetto, che escluda mondi finti e decontestualizzati.

3. Che, pertanto, la dimensione territoriale sia la dimensione dove la persona vive, dove gioca la sua socialità e la sua salute e che le decisioni delle Istituzioni debbano rispettare tale dimensione, sempre e comunque garantendo i diritti costituzionalmente garantiti alla persona, come i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).

4. Che sia necessaria la consapevolezza di una nuova cultura della salute, riconoscendo prima di tutto l’importante distinzione tra sanità e salute: tra cura delle malattie e costruzione del benessere personale e sociale, compresi i desideri e il diritto alla loro realizzazione.
Il diritto alla salute, pur variando con il tempo, l’età, il contesto sociale, economico, lavorativo e relazionale, ha bisogno di un sistema fortemente integrato di servizi sanitari e sociali (integrazione obbligatoria per legge: articolo 3 septies  del Decreto Legislativo 229/99), in grado di garantire continuità e appropriatezza nelle azioni, richiedendo, per questo, un percorso inclusivo che si sviluppi in una dimensione temporale prolungata, che parta dalle fasi preventive e attraversi il “durante” e sostenga adeguatamente tutti i “dopo”.

5. Che sia indispensabile, per un’effettiva inclusione delle persone, un lavoro di rete, per costruire progetti di vita personalizzati, sempre sostenuti da servizi integrati: sociali e sanitari, educativi, formativi, lavorativi e di inclusione sociale.
Vogliamo attuare il protagonismo delle persone, costruendo insieme i singoli progetti personalizzati alla cui produzione partecipino le persone interessate, le loro famiglie, le loro comunità, facendo massima attenzione a una visione multidimensionale degli interventi, strutturandoli, se necessario, nella modalità di un contratto vero e proprio.

6. Che sia un dovere promuovere la salute (benessere) di tutti, inclusi gli operatori. Operatori sempre più impegnati, prima di tutto, nel rispetto dell’umanità delle persone e del loro diritto di cittadinanza e poi nel dovere di orientare, in tal senso, l’organizzazione e le scelte quotidiane del loro luogo di lavoro, rompendo la tendenza verso pratiche di standardizzazione degli interventi, con il pericolo di istituzionalizzazione, abbandonando la sicura cinta del servizio e il rassicurante ed esclusivo rapporto duale o le pratiche di intrattenimento laboratoriale, per avventurarsi in progetti inclusivi ed essere “tessitori di relazioni” che li impegnino ad immergersi nei contesti reali di vita, accompagnando le persone nei diversi luoghi in cui la comunità vive.
Questi operatori hanno diritto alla massima attenzione della loro salute, che richiede un forte investimento organizzativo a tutela del loro bene-essere.

7. Che vogliamo contribuire alla costruzione di un welfare diverso da quello attuale, pericolosamente incanalato verso una prospettiva residuale di sola emergenza. Un welfare comunitario che si muova con la logica dell’investimento e non con la logica del costo; che vada oltre la concezione di uno sviluppo e di un uso individualista delle competenze.
Vogliamo alzare gli occhi e riaffermare l’imprescindibile nostra natura di persone positivamente interdipendenti che, assecondando la nostra natura collaborativa, possano contaminare il nostro contesto di vita, accettando la “diversità” come valore e non come stigma, favorendo lo sviluppo e il riconoscimento multidimensionale di capacità e competenze, al servizio di azioni condivise di benessere personale e della comunità.

8. Che vogliamo essere attori di un processo di cambiamento culturale della sussidiarietà: rendere possibile, necessario e ragionevole affidare al livello più prossimo alle persone la realizzazione di interventi che valorizzino le risorse informali di cura dei propri contesti di vita e che promuovano il cambiamento e l’evoluzione di quel microcontesto sociale e culturale in cui vive la persona, elemento determinante per un possibile suo bene-essere.

9. Che vogliamo creare opportunità di inclusione, di partecipazione, di cittadinanza attiva, orientate nella duplice prospettiva di diritti esigiti, ma anche di doveri di restituzione alla comunità dei benefici ricevuti e quindi di messa a disposizione delle comunità delle proprie capacità, per allargare la costruzione del benessere.

Già dirigente dell’Unità Operativa Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale. Il presente testo coincide con i contenuti di un documento adottato dai gestori del “Progetto Residenzialità” di Roma Capitale, riuniti nell’Associazione Casa al Plurale.

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