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FAND e FISH: questo chiediamo al Governo

Vincenzo Falabella e Franco Bettoni

Da sinistra: Vincenzo Falabella, presidente nazionale della FISH e Franco Bettoni, presidente nazionale della FAND

Le Federazioni FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità) e FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), oltre a distinguersi per essere le organizzazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità, si connotano per la loro disponibilità al confronto dialettico e collaborativo con le Istituzioni a tutti i livelli: locale, nazionale e internazionale.
Convinte che la partecipazione delle persone con disabilità all’elaborazione delle politiche che le riguardano non sia solo una mera indicazione di principio della Convenzione ONU  sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma debba essere una modalità pretesa, garantita ma anche doverosamente praticata, le Federazioni ricercano costantemente il confronto propositivo con i decisori politici.
È in questo solco che esse intendono rilanciare il dialogo con il Governo che attualmente è chiamato a gestire il Paese e a rispondere alle molte, annose o nuove, emergenze e sfide insolute anche in campo sociale.
Memori del recente passato, di esperienze, confronti positivi e costruttivi, ma anche di elaborazioni condivise e tuttavia incompiute, oltreché di istanze ancora inevase, mettiamo innanzitutto a disposizione le nostre ricostruzioni al fine di poter riannodare quei fili che possono essere proficuamente mantenuti e per poter aprire nuovi percorsi.

La prima indicazione è l’attuazione del Decreto del Presidente della Repubblica del 12 ottobre 2017 che reca Adozione del secondo programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità.
Il Programma di Azione costituisce il risultato di un’elaborazione comune di organizzazioni delle persone con disabilità, Ministeri, Regioni, Istituzioni Pubbliche che si sono confrontate con impegno per due anni, all’interno dell’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità, con l’obiettivo di attuare anche in Italia la Convenzione ONU.
Il Programma reca indicazioni operative (linee di azione) su moltissimi àmbiti che interessano direttamente o indirettamente la qualità della vita delle persone con disabilità: dalla revisione dei criteri per il riconoscimento della stessa, alla vita indipendente, alla salute, al lavoro, allo studio e alla mobilità. Senza tralasciare temi quali lo sviluppo del sistema statistico e del monitoraggio dell’attuazione delle politiche o la cooperazione internazionale.
Il Programma in sé è molto articolato e indica azioni specifiche, soggetti attuatori e coinvolti, sostenibilità economica, ma la sua concreta applicazione dipende dalle reali volontà politiche, organizzative e amministrative.
Ora dovrebbe iniziare l’articolata fase applicativa che vede interessati, con responsabilità diverse, Governo, Ministeri, Parlamento, Regioni ed Enti Locali, oltre ad Istituzioni ed organismi pubblici.
Su questo richiamiamo l’impegno della Presidenza del Consiglio e il nuovo Ministero per la Famiglia e le Disabilità, ricordando che quel Programma non è l’espressione politica di una precedente maggioranza, ma la sintesi condivisa prodotta dalla società civile e dalla parte migliore della Pubblica Amministrazione.
Abbiamo allora necessità di comprendere se l’Esecutivo e i Ministeri competenti intendano o meno dare attuazione a quelle indicazioni oppure se dobbiamo riprendere tutti gli elementi contenuti nel Programma di Azione e farne nuovamente oggetto di confronto, elaborazione, sintesi.
Questo transita anche attraverso il rilancio dell’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità, luogo ideale e utile di elaborazione ma anche di consultazione.

Il Programma di Azione reca anche indicazioni per il miglioramento dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, un focus su cui le istanze sono molto forti.
Favorire l’occupazione delle persone con disabilità significa sottrarle a situazioni assistenziali, di marginalità di dipendenza, e promuoverne, al contrario, la realizzazione personale, l’indipendenza economica, la partecipazione alla società con eguali diritti e doveri e con pari opportunità.
Su quel fronte vi sono anche esigenze immediati e ancora pendenti. Una per tutte, l’emanazione delle Linee guida in materia di collocamento mirato, previste come fondamentali dal Decreto Legislativo 151/15, da emanarsi già entro il mese di marzo del 2016, ma ancora lettera morta. Il che è piuttosto grave.
Manca all’appello anche la Banca dati del collocamento mirato, prevista dallo stesso Decreto, ma ancora inattuata, anche se sarebbe uno strumento determinante nella programmazione di politiche e servizi fondate sui dati reali.
E tuttavia, ancora più urgente e strategica è la realizzazione della profonda riorganizzazione dei Servizi per l’Impiego anche per le persone con disabilità. I Servizi per l’Impiego – è utile rammentarlo – sono stati recentemente oggetto di attenzione e di riflessioni politiche prima e di produzioni normative poi, ma per ciò che qui ci interessa, l’espressione di intenti anche condivisibili è lontana dall’essere attuata. Ciò si riverbera in modo ancora più negativo nelle aree del Paese ove i tassi di disoccupazione hanno raggiunto livelli gravissimi tanto da generare situazioni di discriminazione multipla.

La mancanza di un lavoro è correlata alla questione della povertà e dell’impoverimento. Non ci sfugge come su questi aspetti si sia voluto intervenire nella precedente Legislatura e anche come il tema della povertà sia centrale e prioritario nel Contratto del presente Governo. Ciò che andiamo vanamente sottolineando da anni è che è comprovato che la disabilità sia uno dei primi determinanti dell’impoverimento. L’apprezzabile sforzo per costruire lo strumento del Reddito di Inclusione – vuoi per la sua veste sperimentale, vuoi per la limitazione delle risorse – non ha purtroppo tenuto nel debito conto la rilevanza del costo della disabilità sulle famiglie.
Se il confronto per il contrasto alla povertà si riaprirà, ribadiremo ancora una volta la doverosa necessità di considerare la disabilità come elemento di maggiore rischio di impoverimento.

Un altro àmbito che è rimasto in sospeso è quello noto come non autosufficienza.
Dopo anni di battaglie, anche molto aspre e serrate, esiste un Fondo strutturale attestato a 450 milioni. Dalle organizzazioni, dalle Regioni e da gran parte degli analisti è condiviso che si tratti di una destinazione insufficiente a garantire le necessità e le urgenze di un numero di persone purtroppo sempre più ampio. Al contempo si conviene che efficaci politiche per la non autosufficienza rappresentino un investimento e non già una spesa a perdere, soprattutto se l’obiettivo è il contenimento della sanitarizzazione, del ricovero in struttura.
Per questo ribadiamo al Governo che non è sufficiente rilanciare quegli investimenti, ma è quanto mai urgente e necessario riprendere il confronto per la definizione condivisa di un Piano per la Non Autosufficienza. Il precedente Governo aveva istituito anche con questa finalità uno specifico Tavolo presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Chiediamo dunque di riattivarne il funzionamento, anche perché rappresenta l’unico spazio condiviso in cui garantire il monitoraggio sugli interventi regionali realizzati con il Fondo di cui sopra. E non ci riferiamo solo al monitoraggio in funzione di un’ineludibile trasparenza, ma anche all’analisi di impatto delle politiche e dei provvedimenti. Un’azione da molti di noi ritenuta strettamente necessaria anche per i recenti provvedimenti in materia di “Dopo di Noi”, settore su cui molto si è investito in termini di confronto, dibattito e produzione normativa. Comprendere se quegli interventi stiano producendo gli effetti attesi, se siano stati correttamente incardinati nelle politiche regionali oppure se vi siano abusi, se vi sia la necessità di correggere e assestare le attuali norme, se il fabbisogno sia soddisfatto, sono imperativi che dovremmo mettere in comune e perseguire ognuno con le proprie competenze e dai propri angoli prospettici, giungendo a una sintesi che generi miglioramento del sistema e della qualità della vita.

Un tema contiguo, purtroppo finora mantenuto in seconda linea, è quello dei progetti per la vita indipendente, ancora mantenuti nell’alveo dello sperimentalismo, con fortissime disomogeneità regionali, ma con aspettative che aumentano parallelamente al successo delle esperienze maturate e della domanda di cittadinanza di tante persone con disabilità.
Poter costruire il proprio progetto di vita, anche con formule di assistenza personale autogestita, ancora una volta sottrae le persone all’assistenzialismo, all’istituzionalizzazione e traina con decisione l’inclusione e l’accesso alle pari opportunità.
Pur nel rispetto delle competenze regionali garantite dal Titolo V della Costituzione, il Governo e i Ministeri competenti possono – e a nostro avviso “devono” – appropriarsi del compito di indirizzo e di regìa, sino a fissare livelli essenziali di assistenza anche su questi aspetti.

Nella relazione fra Regioni e Stato si innesta anche la reale applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) Sanitari, aggiornati, dopo lunghi anni, dal Decreto del Presidente del Consiglio del 12 gennaio 2017. Al tempo abbiamo espresso numerose riserve su quel provvedimento, a nostro avviso poco aderente sia in termini di linguaggi che di prospettive, rispetto ai princìpi e ai concetti così nitidamente espressi dalla Convenzione ONU: libertà di scelta, promozione e sostegno dell’autonomia personale, empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.] nei processi sanitari e riabilitativi, sono i grandi assenti. Il provvedimento, complesso e corposo, è stato approvato e pubblicato dopo un lungo confronto in Conferenza Stato-Regioni. Le Regioni esprimevano riserve sulla reale copertura finanziaria degli interventi previsti, in particolare quelli più innovativi.
A quasi due anni di distanza molte parti dei LEA risultano ancora disattese o solo parzialmente attuate. In particolare, i ritardi più significativi riguardano proprio le prestazioni protesiche, cioè quegli ausili che riguardano sia la quotidianità di molte persone che la loro autonomia personale. Nella quasi totalità delle Regioni ci si continua a riferire al vecchio Nomenclatore Tariffario del 1999, con quello che ne discende in termini di nocumento per i diretti interessati. Di fatto oggi è patente una violazione del diritto alla salute. È verosimile, anzi, che a breve la conflittualità quotidiana si trasformi in vero e proprio contenzioso contro la Sanità Pubblica.
Su questo versante è urgente un intervento che renda palesi le lacune e individui le soluzioni o le eventuali ulteriori coperture finanziarie.

Il focus dei caregiver è centrale nelle istanze delle famiglie che afferiscono alle nostre Federazioni e, rileviamo, è anche un elemento evidenziato dal già citato Contratto di Governo.
Ciò è positivo: il contesto potrebbe essere favorevole a superare gli ostacoli che hanno impedito, nella precedente Legislatura, di approvare una norma sulla materia, nonostante vi fossero Proposte di Legge sottoscritte da un numero straordinariamente elevato di Parlamentari. Il Testo Unificato che era in prossimità di approvazione in Commissione Lavoro al Senato non raccoglieva il nostro apprezzamento né quello di gran parte del movimento. Né, a onor del vero, di moltissimi Parlamentari. Appariva un testo declaratorio, di indirizzo, ma che non avrebbe introdotto né nuovi diritti, né avrebbe risposto alle reali esigenze concrete di centinaia di migliaia di famiglie. Rimanevano, ad esempio, scoperte tutte le necessità di natura previdenziale o assicurativa.
Una norma che davvero cambi le prospettive e le condizioni dei caregiver familiari necessita, a nostro avviso, di un serio investimento, di una larga condivisione già dalle fasi di elaborazione iniziale, di un consenso bipartisan, poiché è una norma di civiltà che travalica le appartenenze partitiche o associative.
In questo caso chiediamo una mutua condivisione delle ipotesi di eventuali testi di Disegni di Legge già da prima che questi vengano depositati alle Camere. Se, al contrario, le Proposte di Legge saranno quelle di iniziativa parlamentare, è vincente comunque un confronto con il Governo.

Il diritto costituzionale allo studio è un settore che le nostre Federazioni da anni hanno eletto a terreno di particolare impegno politico, e anche tecnico, spesso affiancando – quando se ne sono offerte le giuste disponibilità – anche le strutture ministeriali in sede di elaborazione tecnica o di soluzione di alcuni problemi.
In seno al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca esiste un Osservatorio cui partecipiamo con intensa attenzione e anche con competenze tecniche riconosciute. Pur tuttavia rimangono aperte questioni strategiche complessive che vanno oltre il Ministero specifico e che sono spesso connesse alle risorse o alla loro congrua allocazione.
La riforma delle Province, vantaggiosa per molti aspetti, conserva ancora alcune ombre nella distribuzione di altrettante competenze che riguardano proprio l’istruzione e le persone con disabilità: si pensi al trasporto scolastico e agli assistenti educativi e alla comunicazione. Queste incertezze sono state affrontate e risolte temporaneamente con finanziamenti statali spesso frutto di emendamenti sul filo di lana di Leggi di Bilancio o di altri provvedimenti. Non si è ancora trovata la soluzione di sistema che individui con certezza le competenze e le risorse. Sarebbe l’occasione anche per meglio definire e comprendere il valore (e la funzione) di figure come quelle degli assistenti educativi e alla comunicazione, anche per una maggiore appropriatezza dell’azione di sostegno e, quindi, dell’inclusione scolastica.

Al nuovo Governo, tragicamente, si è posta l’evidenza e l’urgenza di manutenere e mettere in sicurezza le infrastrutture del nostro Paese.
Da cittadini aderiamo senza riserva alcuna alla volontà di intervenire e come persone con disabilità esprimiamo ulteriori raccomandazioni che già avevamo formulato all’indomani della costituzione del Fondo per finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese (Legge 232/16, articolo 1, comma 140).
Come previsto anche dal più recente “Codice Appalti”, le opere finanziate dallo Stato devono rispettare gli standard e i criteri di progettazione universale. È quindi un elemento di trasparenza e di correttezza garantire che gli interventi che riguarderanno edifici, spazio costruito, stazioni aeroporti, mezzi di trasporto siano finalmente, già dall’inizio, accessibili ed usabili da tutti, anche dalle persone anziane o con disabilità.
Non è sufficiente una condivisione ideale di questo principio: è necessario attivare presso i Ministeri e le Autorità competenti processi di verifica, di indirizzo, di formazione che rendano impossibile costruire ancora barriere architettoniche e percettive che impediscono il pieno esercizio del diritto di cittadinanza.

Le nostre Federazioni, come detto inizialmente, ritengono doveroso cercare il confronto attivo con i decisori politici a tutti i livelli, con un atteggiamento di collaborazione, ma anche di consapevolezza del proprio diritto e dovere di partecipazione e del proprio impegno a tutelare e promuovere sempre il diritto all’inclusione delle persone con disabilità.

La FAND è la Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità, la FISH è la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap. Il presente testo riprende i contenuti di un documento presentato dai rappresentanti delle due Federazioni il 14 settembre scorso a Trieste, nel corso di un incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

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