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Condannata per “normalità”

Foto in bianco e nero di uomo che rifletteTruffa ai danni dello Stato: condanna in primo grado ad un anno e due mesi di reclusione, oltreché a un’ammenda di 200.000 euro. Secondo gli inquirenti non sarebbe affatto cieca, tesi, questa, accolta dal Giudice di primo grado. In attesa di leggerne le motivazioni, che comprenderanno anche le valutazioni del Consulente Tecnico di Ufficio del Tribunale, non possiamo che serbare notevoli perplessità.
Già, perché la condannata è persona ben nota a chi scrive e delle cui situazioni si ha esatta contezza. Si tratta di Paola Morandi Treu (conosciuta come “Paula”), donna cieca assoluta, che tra l’altro è anche presidente dell’Associazione Vivi Vejo e rappresentante per l’Italia della rete continentale ERN Eye, che si occupa di malattie rare riguardanti la vista.
Immancabile il ricorso in appello. Qui attiriamo l’attenzione sul fatto in sé non solo per l’eclatante bizzarria dell’episodio, quanto piuttosto per riproporre una riflessione sul clima di stigma che si è consolidato in questi anni, complici luoghi comuni, pregiudizi, banalizzazioni, veicolati a livello politico e istituzionale, enfatizzati da certa stampa, esasperati dai social. Il tutto alimenta un campagna condita da aneddotica e filmati (sempre gli stessi), che si permettono di etichettare come “falso cieco”, o più in generale come “falso invalido”, chi semplicemente cerca di vivere in modo “normale”, nonostante la propria disabilità e lotta ogni giorno per conservare la sua dignitosa autonomia o ciò che ne rimane.
Con tutta evidenza ciò è figlio di quella “caccia alle streghe” che spesso non produce alcun effetto – giacché alla prova dei fatti la realtà viene disvelata – ma nei grandi numeri può anche generare errori, effetti imprevisti e imponderabili che diventano grotteschi prima ancora che drammatici.

A tal proposito riprendiamo alcune righe da noi pubblicate poco meno di un anno fa: «Non si vede che non vediamo. L’occhio rimane uguale, non ha gonfiori e non si può notare dall’esterno. E così partono le denunce e molti non vedenti si sono trovati, negli ultimi anni in Italia, coinvolti in interminabili e dolorosissime cause penali. Alcuni di loro sono stati sbattuti sulle pagine dei giornali o in televisione, magari perché fotografati mentre utilizzavano un telefonino (con la sintesi vocale) o mentre camminavano per strada senza bastone bianco, o ancora quando si provavano vestiti e magari si posizionavano davanti a uno specchio, atteggiamenti naturali che avevano sempre avuto e che non possono essere prove di trovarsi davanti a una persona che sta truffando lo Stato».
Ad esprimersi così era stata proprio Paula Morandi Treu, di cui avevamo pubblicato ed estremamente apprezzato il lungo racconto intitolato Vivere con una patologia che atrofizza il nervo ottico. In quel testo citava alcuni “casi limite” di persone con disabilità visiva duramente stigmatizzate nella vita quotidiana o nel lavoro, con esiti talora drammatici. Ora tocca purtroppo a lei essere tristemente al centro dei riflettori, ma crediamo anche che proprio questa sua vicenda giudiziaria possa diventare l’elemento scardinante di una certa incultura, di un malcostume che porta sin troppo spesso a “fare notizia” sulla pelle delle Persone.

Torneremo su queste colonne a trattare tali temi, evidenziando ancora quali siano gli effetti operativi e pratici, quando si adotta la logica che il cittadino sia comunque potenzialmente in mala fede. E ciò che ne derivi in termini di conflitto, in tribunale e fuori.
Per il momento, oltre a manifestare la nostra piena vicinanza a Paula, riprendiamo quanto dichiarato in una nota da UNIAMO-FIMR, la Federazione Italiana Malattia Rara, «nata – si legge – con la mission di rispondere ai bisogni trasversali dei Malati Rari e dei loro familiari su temi sociali, socio-sanitari, sanitari, di ricerca e di responsabilità sociale; a tale scopo portiamo avanti da sempre un’attività fortemente orientata alla sensibilizzazione e all’empowerment individuale [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.], organizzativo e di comunità. Per questo motivo, decidiamo oggi di schierarci con Paula Morandi Treu, persona affetta da neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), malattia rara metabolica mitocondriale di carattere genetico, ampiamente documentata e riconosciuta anche dall’INPS, che pure le ha fatto causa per truffa ai danni dello Stato italiano, accusandola di avere indebitamente percepito l’indennità di legge, nonostante siano state prodotte molte certificazioni da parte dei maggiori esperti mondiali di questa patologia».

«UNIAMO e altri organismi internazionali a supporto della comunità dei Malati Rari – prosegue la nota – intendono dunque ribadire la loro vicinanza alla signora Paula, perché il suo caso si pone ad emblema della sfida che la Federazione considera un obiettivo principale delle proprie azioni: cambiare la percezione del Malato Raro da incapace assoluto, quale la legge voleva che Paula fosse, in persona normale. Paula, infatti, è stata condannata per essersi comportata da persona normale: lei, diventata cieca assoluta da adulta (secondo la legge sono da considerarsi ciechi assoluti coloro che hanno la mera percezione di luce e ombra o motu manu oppure coloro che hanno un residuo perimetrico binoculare inferiore al 3%, come nel caso di Paula), ha conservato gli atteggiamenti e le espressioni del viso che aveva da vedente e si è dotata di capacità e di strumenti che le hanno permesso, sforzandosi, di condurre una vita quasi normale. Ciò, pur aiutandola nella vita quotidiana, l’ha messa nella situazione paradossale di essere considerata una “falsa cieca”, con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Poiché la comunità degli affetti da tale patologia rara conta circa 2.500 persone in Italia, schierandoci con Paula intendiamo anche rassicurare tutte loro, perché tentare di vivere una vita normale non può e non deve essere considerato un reato».

«Quanto accaduto a Paula – aggiunge dal canto suo Tommasina Iorno, presidente di UNIAMO-FIMR – non può essere un atto di legalità, ma un atto di ingiustizia perpetrato ad una comunità di persone fragili che di per sé soffrono della carenza di conoscenze, data la rarità delle condizioni di cui soffrono i nostri pazienti». (C.G. e S.B.)

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