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ADHD: come un universo infilato in una scatola da scarpe

Persone che appaiono nel video "Shine a Light Understanding ADHD"

Alcune delle persone che appaiono nel minidocumentario sull’ADHD, disponibile anche con i sottotitoli in italiano

«Avere una diagnosi di ADHD non vuol dire avere una vita peggiore. Potrebbe invece significare che con l’aiuto corretto si può vivere una vita fantastica!». «Mi sento come un universo, infilato in una scatola da scarpe». «Comprendere la natura del problema contribuirà a ridurre lo stigma e il biasimo nell’opinione pubblica, ma anche la propria»: a parlare sono rispettivamente Andrea Bilbow, presidente di ADHD Europe e madre di due figli con ADHD, Bryn Travers, persona con ADHD ed Eric Taylor, neuropsichiatra al King’s College di Londra. Lo fanno nel video intitolato Shine a Light Understanding ADHD, ovvero “Accendi una luce per comprendere l’ADHD” (disponibile a questo link con sottotitoli in italiano), realizzato nell’ottobre scorso dalla rete ADHD Europe, di cui fa parte anche l’AIFA (Associazione Italiana Famiglie ADHD), nell’àmbito del Mese Internazionale della Consapevolezza dedicato appunto all’ADHD, che per esteso significa, come noto, disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

Il minidocumentario è stato realizzato da 4 Quarter Films assieme a quattro diversi Enti di Ricerca, finanziati con altrettanti programmi dell’Unione Europea, il tutto partendo dall’idea di due giovani scienziate, Laura Ghirardi e Nicoletta Adamo. In esso appaiono persone con ADHD e loro familiari – oltre a Bilbow e Travers, anche Evie Travers e Aziz – che raccontano come ci si sente con questo disturbo, quali sono le sfide e quali gli aspetti positivi. Vi è spazio, inoltre, per medici e ricercatori (insieme a Taylor, Barbara Franke, docente di Psichiatria Molecolare all’Università Radboud del Centro Medico di Nijmegen in Olanda; Philip Asherson, psichiatra al King’s College di Londra; Corina Greven, psicologa e genetista comportamentale al medesimo Ateneo olandese; Kai Synk Tan, ricercatrice e artista al King’s College di Londra, lei stessa persona con diagnosi di ADHD), che approfondiscono le origini del disturbo e cosa hanno imparato dall’esperienza di lavorare con pazienti con ADHD, ma anche quali siano le principali questioni cui i ricercatori cercano di dare una risposta in questo àmbito.

«Molti bambini, adolescenti e adulti – spiegano dall’AIFA – soffrono per l’ADHD, disturbo complesso (se ne legga ampiamente anche nel box in calce), che condiziona le persone in modi diversi, specie in riferimento alla capacità di regolare l’attenzione, gli impulsi e le emozioni. Allo stesso tempo, però, si tratta di persone che godono della loro creatività ed energia positiva. I farmaci hanno effetto per molte di loro, ma non per tutte. Quando però funzionano, occorre prenderli quotidianamente ed essi curano ma non guariscono dal disturbo. Altri tipi di trattamento, invece, devono ancora essere provati e testati. Una migliore conoscenza dell’ADHD e la divulgazione della consapevolezza, offerti ad esempi dal video Shine a Light Understanding ADHD, possono aiutare le persone a capire le cause del loro comportamento, riducendone lo stigma e il biasimo». (S.B.)

ADHD
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD: Attention Deficit Hyperactivity Disorder) viene definito da Pietro Panei e Andrea Geraci del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità come «un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da inattenzione e impulsività/iperattività» («Notiziario dell’ISS-Istituto Superiore di Sanità», vol. 22, n. 1, gennaio 2009). Tra le altre cose, esso impedisce, a chi ne soffre, di concentrarsi e focalizzarsi su un’attività, con possibili pesanti ricadute sul rendimento scolastico e sul funzionamento sociale. Non dipende da un deficit cognitivo (ritardo mentale) ed è uno dei più comuni disturbi dell’infanzia.
A Vienna, il ventitreesimo Congresso dell’EPA, l’Associazione Europea di Psichiatria, celebratosi dal 29 al 31 marzo 2015, riunendo esperti da 88 diversi Paesi, membri di 37 Enti Nazionali, in rappresentanza di oltre 78.500 psichiatri europei e mondiali, è emerso che l’ADHD ha un impatto su più del 5% dei giovani, vale a dire il tasso più alto in assoluto tra i disturbi in età infantile e adolescenziale (fonte: «ADN Kronos», 29 marzo 2015).
In Italia uno dei più recenti studi – durato quattro anni – ha rilevato una prevalenza dell’1,2% di questa patologia nella popolazione di età compresa tra i 6 e i 18 anni («Medico e Bambino», 2012). E si continua a scontare l’arretratezza culturale degli anni precedenti al 2007, quando molto spesso il disturbo era sottodiagnosticato, se non addirittura ignorato.
L’ADHD, infine, si protrae anche all’età adulta, con le seguenti caratteristiche: verso i 20 anni, il  60% dei soggetti hanno remissione sindromica, ma compromissione nel funzionamento adattivo; il 30% hanno evoluzione e/o associazione con altri quadri psicopatologici (ad esempio disturbo antisociale, disturbo dell’umore…); il 10% hanno remissione funzionale e sintomatologica (Biederman J., Mick E., Faraone S.V., Age-dependent decline of symptoms of attention deficit hyperactivity disorder: impact of remission definition and symptom type, in «American Journal of Psychiatry», maggio 2000, 157(5), pp. 816-818). Pertanto, una percentuale significativa dei giovani con ADHD e delle loro famiglie necessitano anche in età adulta di terapie e supporto continui da parte dei clinici e degli operatori sanitari. Ai bisogni, inoltre, di tali pazienti precedentemente diagnosticati prima dei 18 anni, si aggiungono in Italia anche quelli delle persone neo-diagnosticate per la prima volta in età adulta, a causa di una mancata diagnosi in età evolutiva.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficio.stampa@aifa.it.

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