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Due secoli di storia e un grande futuro

Intervento di Mario Barbuto, presidente nazionale dell'UICI, al Convegno di Torino sul Braille del 1° marzo 2019

L’intervento di Mario Barbuto, presidente nazionale dell’UICI, al Convegno di Torino

Ha quasi duecento anni, ma è ancora giovane. E a chi lo vorrebbe mandare in soffitta, risponde mostrando una vitalità straordinaria, che gli permette di dialogare con le nuove tecnologie e di adattarsi a quasi tutti i linguaggi umani (matematica e musica comprese).
È il Codice Braille, il sistema di letto-scrittura a sei punti in rilievo, inventato da Louis Braille nella prima metà dell’Ottocento e tuttora insostituibile strumento d’inclusione per milioni di persone cieche in tutto il mondo.
Per far conoscere il valore e l’importanza di questo sistema – che ai non “addetti ai lavori” può apparire ancora un po’ “misterioso” -, l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e il Club Italiano del Braille, in collaborazione con l’Università di Torino, hanno organizzato nei giorni scorsi il convegno intitolato Braille: sei punti per una chiave d’accesso al sapere, appuntamento inseritosi nelle iniziative promosse per la Giornata Nazionale del Braille del 21 febbraio scorso.

Fondamentale, per l’occasione, è stato innanzitutto il coinvolgimento dell’Ateneo torinese. All’incontro, infatti, hanno partecipato molti studenti del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione. «Questi giovani – ha sottolineato a tal proposito la docente Cecilia Marchisio, referente per il Dipartimento – sono gli insegnanti, gli educatori e gli assistenti sociali di domani Sono contenta che fin da ora abbiano un’opportunità per familiarizzare con il Braille, imparando a comprenderne l’utilità e il funzionamento, almeno nelle sue linee generali».
Il convegno, in effetti, ha avuto un taglio fortemente divulgativo, che ha permesso ai presenti, e anche a chi non aveva competenze specifiche sulla disabilità visiva, di esplorare il Braille sotto diversi punti d’osservazione.

«Nel corso della sua storia, dai primi anni di vita fino alla contemporaneità – ha esordito Mario Barbuto, presidente nazionale dell’UICI – questo codice è stato vittima di molti pregiudizi. C’è chi lo ha bollato come segregante, perché non leggibile dai vedenti, chi, a varie riprese, ne ha profetizzato la fine. Ma la realtà dimostra che, al contrario, il sistema ha spalancato alla comunità delle persone non vedenti le porte della cultura e della conoscenza. Ecco perché a Louis Braille e alla sua invenzione dobbiamo, innanzitutto, essere grati».
Lo ha ribadito anche Nicola Stilla, presidente del Club Italiano del Braille: «Arriviamo da un ventennio di relativo disinteresse nei confronti del Braille. Si pensava che, con l’avvento delle nuove tecnologie, sarebbe stato superato. Fortunatamente oggi assistiamo a un’inversione di tendenza. Riteniamo che ogni persona cieca debba poter conoscere e padroneggiare tutti gli strumenti a propria disposizione, per poi scegliere quelli più idonei, anche a seconda delle diverse situazioni. È quindi fondamentale che il Braille continui a essere insegnato agli studenti con disabilità visiva, fin dalla più tenera età».

Che il Braille non abbia mai avuto vita facile, lo dimostra la sua storia, ripercorsa per l’occasione da Luciano Paschetta, direttore dell’IRIFOR Piemonte (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI), “firma” frequentemente presente anche sulle pagine di «Superando.it». «I pregiudizi ci sono sempre stati – ha dichiarato – e va anche ricordato che fino all’Illuminismo, salvo rarissime eccezioni, nessuno riteneva che le persone con disabilità visiva potessero essere educabili. Quindi l’idea di immaginare un sistema di letto-scrittura a loro dedicato era tutt’altro che scontata. Al tempo di Braille c’era chi tentava di trasferire in rilievo le lettere stampate in nero, ma il sistema consentiva solo una lettura molto lenta e i libri realizzati con questo metodo erano enormemente ingombranti. La soluzione studiata da Braille, invece, era molto più lineare e “compatta”, tanto che, nonostante le critiche, si affermò nel giro di pochi anni».

Leggere e scrivere un testo in Braille, però, sono azioni che presuppungono lo sviluppo di abilità complesse, come ben sa chi quotidianamente lavora con i bambini. «Oltre alle facoltà cognitive legate alla comprensione – ha spiegato Silvia Lova, coordinatrice educativa dell’IRIFOR di Torino -, in questo caso è necessario possedere capacità di orientamento nello spazio e una specifica sensibilità tattile. Per svilupparla, sono molto utili alcuni piccoli esercizi che possono essere proposti ai bambini, già dalla scuola materna: scatole con oggetti da trovare e riconoscere, disegni in rilievo, giochi come il domino con tessere tattili».
Viene poi la fase dell’apprendimento vero e proprio. «Essendo in rilievo – ha proseguito Lova -, il Braille ha un verso di scrittura speculare rispetto a quello di lettura. Questa caratteristica presuppone un’abilità che i bambini molto piccoli ancora non posseggono, perciò, solitamente, nel primo anno di scuola l’apprendimento è un po’ più lento rispetto al percorso dei compagni “normodotati”. Ma, superato questo piccolo scoglio, il bimbo può tenere senza difficoltà il passo con il resto della classe».
Molto diverso, ovviamente, è il caso di chi debba apprendere il Braille da adulto, magari a causa di una disabilità visiva sopravvenuta. «Per chi già sappia leggere e scrivere – ha concluso Lova – è molto più semplice avvicinarsi all’alfabeto. Non altrettanto immediato è, invece, sviluppare la sensibilità tattile necessaria a percepire il confine tra le varie lettere».

Proprio in virtù della sua grande versatilità, il Braille è adatto a diversi tipi di linguaggio, matematica compresa. E a tal riguardo, proprio dal capoluogo piemontese sono arrivate recentemente novità significative. Infatti, presso il Dipartimento di Matematica Giuseppe Peano dell’Università di Torino, è attivo il Laboratorio Sergio Polin, che da tempo lavora per l’inclusione, anche in àmbito scientifico, degli studenti con disabilità visiva.
Il gruppo di ricerca ad esso legato sta raggiungendo conquiste ragguardevoli. «Il Braille – ha osservato Anna Capietto, docente di Matematica all’Università di Torino e responsabile di tale Laboratorio – è un sistema di scrittura lineare. Il problema è che, invece, formule, grafici e tabelle – alla base non solo della matematica ma di tantissime discipline, comprese l’economia e la statistica – sono organizzati in colonna. Grazie però alle nuove tecnologie, è stato possibile ovviare a questo problema, rendendo, per così dire, lineari i testi contenenti formule, grafici o tabelle. Riteniamo sia una conquista fondamentale, non solo per gli studenti ciechi che volessero avvicinarsi a una facoltà scientifica, cosa ritenuta finora pressoché impossibile, ma anche per le inedite possibilità lavorative che dischiude».
Sono stati fatti quindi grandi passi in avanti, anche se molto resta ancora da fare. «Tra i problemi da superare – ha spiegato ancora Capietto – c’è il fatto che per la trascrizione in Braille della matematica non esiste un codice universale, ma diversi sistemi, variabili a seconda delle aree geografiche. Quando, come stiamo cercando di fare, si propone un confronto a livello internazionale, questa è una difficoltà aggiuntiva» [suggeriamo caldamente ai Lettori anche l’ampia intervista concessa al nostro giornale nei giorni scorsi da Anna Capietto, disponibile a questo link, N.d.R.].

Anche al di là degli specifici àmbiti d’intervento, tutti i relatori hanno posto l’accento sulla grande duttilità e contemporaneità del Braille. Lo ha fatto in modo particolare Alessio Lenzi, responsabile del Comitato Informatico dell’UICI di Torino. «Sono appassionato di tecnologia fin da quando ero bambino – ha spiegato – e per un certo periodo della mia vita anch’io ho creduto che i nuovi mezzi di comunicazione avrebbero mandato in soffitta il “vecchio” sistema a sei punti in rilievo. Ma l’esperienza mi ha portato a ricredermi. Oggi so che informatica e Braille possono andare a braccetto. Infatti, sia i computer, sia i dispositivi di nuova generazione, come gli smartphone e i tablet, possono dialogare con i display Braille, che garantiscono grande autonomia. Ve ne sono di vari formati, dai “tascabili” a quelli con più righe di testo, e alcuni sono anche dotati di una memoria interna, che consente di salvare e archiviare materiali. Unico limite, i costi, che restano, ancora oggi, piuttosto alti».

La diffusione del Braille in maniera capillare può avvenire anche grazie al ruolo di alcuni punti di riferimento, come i Centri Tiflodidattici «che – ha ricordato la coordinatrice nazionale degli stessi Linda Legname – svolgono un ruolo prezioso nell’educazione integrale della persona e nel superamento delle barriere fisiche e culturali».
Da notare, infine, che alcune case editrici hanno dedicato attenzione al codice Braille. È il caso, d esempio, dell’editore torinese Silvio Zamorani, che ha realizzato alcuni libri nei quali, ha ricordato Legname, «i caratteri del testo in nero convivono con quelli in rilievo del codice tattile. Libri veramente inclusivi, libri per tutti».

Al termine del convegno, alcuni dati si sono imposti con assoluta chiarezza. Ben lontano dall’essere superato, il Braille è ancora molto vivo e vitale. Oggi, come in passato, e per certi versi forse più ancora che nei decenni scorsi, questo sistema rappresenta un’opportunità unica di inclusione, che consente agli studenti come ai lavoratori di confrontarsi alla pari col mondo dei vedenti. E a tutti di accedere a quel tesoro inesauribile che è la cultura.

Addetto stampa dell’UICI di Torino.

La registrazione dell’intero convegno di Torino è scaricabile a questo link nel sito nazionale dell’UICI.

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