Non esiste inclusione senza rispetto

«Il concetto di inclusione – scrive Laura Borghetto – deriva direttamente dalla considerazione che la disabilità non sia esclusivamente un fattore medico, ma che nasca dall’interazione con l’ambiente: tanto più saremo in grado di progettare un ambiente facilitante, tanto meno la persona con disabilità sarà a rischio di esclusione. E tuttavia non può esistere inclusione senza rispetto, e non esiste inclusione se non facciamo un passo indietro, per lasciare che qualcun altro possa farne uno in avanti»

Particolare di due ragazzini che si tengono per mano (foto di Associazione L'abilità)

(foto di Associazione L’abilità)

Includere o integrare? Sinonimi o concetti diversi? Noi crediamo che il tema dell’inclusione sia centrale, un obiettivo, anzi l’obiettivo di ogni intervento e progetto.
Il concetto di inclusione, infatti, deriva direttamente dalla considerazione che la disabilità non sia esclusivamente un fattore medico, ma che nasca dall’interazione con l’ambiente: tanto più saremo in grado di progettare un ambiente facilitante, tanto meno la persona con disabilità sarà a rischio di esclusione.
L’inclusione, quindi, è un processo a priori; l’integrazione a posteriori. L’inclusione nasce dal pensiero che la disabilità è una condizione dell’essere umano, l’integrazione dal concetto che, quando c’è la condizione, occorra agire per creare le pari opportunità.
L’inclusione è, ad esempio, progettare una scuola dove ogni spazio sia accessibile (la classe, la biblioteca, la palestra) e dove ogni attività possa includere il massimo numero di alunni (l’intervallo, la gita, il laboratorio di teatro); l’integrazione è fare entrare a scuola il bambino in carrozzina da un altro ingresso rispetto ai suoi compagni, inserirlo nella classe al pian terreno per evitare le barriere architettoniche, o permettere al bambino con autismo di fare una gita solo se accompagnato da un genitore: trovare quindi una soluzione per garantire un diritto e “forzare” la situazione per trovare il modo di riconoscerlo.

L’integrazione non è un concetto negativo. Anzi. In alcuni settori o in alcuni ambienti non ci sono nemmeno buone prassi di integrazione: nel gioco, nello sport, nei musei sono davvero poche le occasioni di integrazione e quasi inesistenti quelle di inclusione e questo per mancanza di competenze, di visione, di risorse.
Ma non crediamo che l’inclusione sia solo una questione di metodologie e di denaro. Piuttosto un problema culturale profondo che nasce da una visione di cittadinanza, di uguaglianza, di sensibilità al rispetto dell’altro.
L’abbiamo purtroppo visto quando la nostra Associazione [L’abilità, N.d.R.] ha collaborato a Milano alla realizzazione del progetto di accessibilità del Parco Indro Montanelli [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. L’altalena appositamente installata per l’utilizzo dei bambini in carrozzina è stata rotta, vandalizzata, e – quel che è peggio – siamo stati accusati di avere escluso, ghettizzato la disabilità, ponendo al centro di un parco cittadino un gioco per i bambini con disabilità “stigmatizzandoli”.
Non siamo d’accordo. Rendere accessibile per chi è in carrozzina un’altalena vuol dire anche insegnare agli altri bambini che il piano dove sale la carrozzina è delicato, non è un piano dove saltare e scatenarsi. Vuol dire considerare che quel tipo di altalena facilita la scelta di un bambino in carrozzina, che può godere del movimento senza stress.

Non esiste inclusione senza rispetto. E non esiste inclusione se non facciamo un passo indietro, per lasciare che qualcun altro possa farne uno in avanti.

Presidente dell’Associazione L’abilità. Le presenti riflessioni costituiscono un estratto – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – dell’editoriale del magazine «L’abilità News» numero #6, dedicato al tema dell’inclusione. Per gentile concessione.

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