Sindrome di Down: un libro per capire, un film per scoprire

“10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi” di Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e “Mio fratello rincorre i dinosauri”, diretto da Stefano Cipani, in proiezione nei prossimi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia: «Un libro per capire, un film per scoprire – viene sottolineato dall’AIPD -: escono quasi in contemporanea e il caso non potrebbe essere più fortunato, anche perché l’uno è utile per comprendere l’altro»

Lorenzo Sisto

Lorenzo Sisto, socio dell’AIPD, in una scena del film “Mio fratello rincorre i dinosauri”, che verrà presentato nei prossimi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia

«Un libro per capire, un film per scoprire: escono quasi in contemporanea e il caso non potrebbe essere più fortunato»: il riferimento dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) è innanzitutto a 10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi, libro in uscita in questi giorni per i tipi di Erickson, opera di Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’AIPD stessa. (Associazione Italiana Persone Down).
Di tale opera – che illustra con semplicità e chiarezza dieci piccole, grandi “verità” sulla sindrome di Down – ci siamo già diffusamente occupati in altra parte del giornale, ma ben volentieri ne riprendiamo nel box in calce quelle dieci “verità”, insieme a un brano della presentazione editoriale e a un commento di Anna Contardi.

Anche del film, in realtà, avevamo segnalato qualche mese fa l’imminente uscita. Si tratta di Mio fratello rincorre i dinosauri, patrocinato dall’AIPD (se ne veda a questo link il trailer ufficiale), che il 2 e il 4 settembre verrà presentato in anteprima alla 76^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, quale evento speciale nell’ambito delle Giornate degli autori, per poi arrivare il 5 settembre in sala.
Quest’opera prima di Stefano Cipani – che ha per protagonisti Alessandro Gassmann e Isabella Ragonese – si ispira all’omonimo libro di grande successo pubblicato da Giacomo Mazzariol (Einaudi, 2016) e vi si racconta la storia vera di Giovanni (fratello di Giacomo), che quando nasce “non ha i super poteri” (come i genitori avevano lasciato intendere) ma la sindrome di Down. Inizia così un percorso di avvicinamento, allontanamento e poi di nuovo avvicinamento, tra Giovanni che vive in un “mondo giurassico” e Giacomo che prima, da bambino, ci sta e gioca con lui, ma crescendo ha bisogno di tradirlo, per immergersi in quel mondo complicato che è l’identità e la socialità degli adolescenti.
Così il film di Cipani, come la storia che racconta, apre una finestra su questo mondo, permettendo di “sbirciare” dentro una casa, per scoprire cosa accade in una famiglia – genitori e tre figli – quando nasce un bambino con la sindrome di Down: dalla brutale diagnosi (diciassette anni fa, quanti ne ha Giovanni Mazzariol) alle credenze con cui si deve fare i conti; dagli sguardi di amici e conoscenti alla fatica di crescere con un fratello “dai poteri speciali”.

«Il libro spiega, il film racconta – ribadiscono dall’AIPD -: l’uno è utile per comprendere l’altro. Tanto che proprio la nostra Associazione ha deciso di patrocinare il film, con cui ha una “parentela stretta”: il bravissimo attore che interpreta Giovanni si chiama infatti Lorenzo Sisto e, con la sua famiglia, è uno dei soci della nostra Sezione di Venezia-Mestre».
«Quando siamo venuti a conoscenza di questa possibilità tramite l’AIPD – racconta la mamma di Lorenzo – abbiamo deciso di partecipare al provino solo per fare un’esperienza diversa. Mai ci saremmo immaginati che Lorenzo sarebbe stato scelto per raccontare questa bella storia. Abbiamo vissuto un’esperienza di vita inaspettata e incontrato persone di grande professionalità e umanità». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampaaipd@gmail.com; algisa@mavico.it.

Anna Contardi, 10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi, Erickson, 2019 (Collana “Capire con il cuore”).

Le 10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi
1. Down non vuole dire giù.
2. Prima di tutto persone.
3. Non siamo tutti uguali.
4. Siamo più lenti ma possiamo imparare.
5. Ridiamo, piangiamo, siamo felici e ci arrabbiamo.
6. Diventare autonomi si può.
7. Anche noi diventiamo grandi.
8. Anche noi ci innamoriamo.
9. Sappiamo di essere persone con la sindrome di Down.
10. Vogliamo andare a vivere da soli.

Dalla presentazione editoriale:
«Dal 1979 a oggi l’aspettativa di vita di un bambino con sindrome di Down è passata da 33 anni a 62. Oggi, infatti, l’80% raggiunge i 55 anni e il 10% arriva ai 70. Attualmente, in Italia, all’incirca un bambino su 1.000 nasce con la sindrome di Down e il 75% ha genitori sotto i 35 anni. Negli ultimi quarant’anni, dunque, sono cambiate molte cose: le persone con sindrome di Down frequentano le scuole pubbliche, dall’asilo nido all’università, vivono in famiglia, si muovono nelle loro città da soli e utilizzano i mezzi pubblici. Sempre più adulti, inoltre, esprimono il desiderio di andare a vivere per conto loro e sono sorte le prime esperienze di persone che vivono in normali appartamenti con un grado variabile di aiuto».

Il commento di Anna Contardi:
«La “rivoluzione culturale” sulla sindrome di Down di questi ultimi quarant’anni è stata resa possibile grazie alla volontà delle persone con sindrome di Down, alle loro famiglie che le hanno sostenuti, alle Associazioni, ai volontari, agli operatori che ci hanno creduto e alla scelta dell’inclusione. Personalmente, ho avuto la fortuna di percorrere gli ultimi trentotto anni della mia vita lavorando nell’AIPD, partecipando a molti di questi cambiamenti, raccogliendo testimonianze, richieste di aiuto, successi e difficoltà, progettando, realizzando esperienze, servizi e condividendo questa strada con migliaia di persone con sindrome di Down e con le loro famiglie. Ma la strada continua e siamo certi che molto c’è ancora da fare; sopravvivono infatti ancora molti pregiudizi. Le persone con sindrome di Down chiedono di essere ascoltate e guardate negli occhi, non solo dai loro familiari o dai medici, ma da tutti noi che li incontriamo oggi, ai giardini, sull’autobus o al supermercato».

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