Abbandonati dopo i 18 anni nel “deserto della loro vita”

«I pubblici servizi – scrive Sandro Paramatti -, e in particolare quello della Sanità, seguono alla meno peggio i pazienti con disabilità, fino al raggiungimento della maggiore età, per poi abbandonarli nel “deserto” della loro difficile vita. Divenuta maggiorenne, quindi, la persona con disabilità non viene più presa in considerazione da chi avrebbe quest’obbligo, come se la sua aspettativa di vita non superasse i due decenni»

Miraggio nel deserto

«Al raggiungimento della maggiore età – scrive Sandro Paramatti – i pubblici servizi, e in particolare quello della Sanità Pubblica, abbandonano le persone con disabilità nel deserto della loro difficile vita»

Io, che ho da gestire una persona con disabilità adulta, sono spesso portato a fare alcune riflessioni. Leggo ad esempio parecchi dei numerosissimi articoli presenti nel web, di autori diversissimi, che trattano il tema della disabilità.
Abbiamo articoli che trattano con estrema competenza i diversi argomenti e le diverse stagioni (tutte) della vita delle persone con disabilità. Viceversa abbiamo articoli di qualità palesemente inferiore che – oltre ad essere scarsamente documentati e per nulla scientifici – quasi sempre vertono sull’argomento scolastico o, comunque, sulle prime stagioni della vita dei soggetti interessati.
Se dobbiamo porre un confine, dunque, direi che è quello dei 18 anni, quello della maggiore età.

È come se la persona disabile avesse un’aspettativa di vita non superiore ai due decenni. Solo in questo caso, infatti, avrebbe senso parlare esclusivamente degli aspetti scolastici e degli altri relativi a queste brevi esistenze.
Ciò, in effetti, corrisponde al comportamento dei pubblici servizi, e in particolare a quello della Sanità Pubblica, che seguono alla meno peggio questi pazienti, fino al raggiungimento della maggiore età, per poi abbandonarli nel “deserto” della loro difficile vita. La persona disabile, divenuta maggiorenne, non viene più presa in considerazione da chi avrebbe quest’obbligo.

L’artista “normodotato” spesso dà il meglio di sé anche nella parte terminale della sua vita. Perché questo non dovrebbe accadere anche per le persone con disabilità? Io credo fermamente di dover ancora vedere il meglio di mia figlia, ma certo non grazie a coloro che dovrebbero fornirle gli stimoli e le cure necessarie.

Il giornalista Gianluca Nicoletti festeggiò la “guarigione” del figlio Tommy, giovane con autismo, perché con la maggiore età vide sparire le cure e i servizi che, fino ad allora, erano stati necessari…
Questa abominevole deriva non può che portare ad esiti infausti non solo per le persone bisognose di ciò che non viene dato loro, ma anche per coloro che vi provvedono per legame familiare. Ed è triste prendere atto che non sempre sono indispensabili Hitler e azioni di sterminio come l’Aktion T4, durante gli anni del nazismo.

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