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Una tragedia difficile da accettare

Fondale di una piscina (©Jack Spitser)

©Jack Spitser

Tra le molte brutte notizie di questo inizio d’anno c’è stata quella riguardante l’annegamento di Davide Duma, avvenuto in una piscina di Milano. Il trentaduenne, persona con sindrome di Cornelia de Lange, malattia rara che è causa di disabilità motoria e intellettiva, stava partecipando a un corso di nuoto riservato a una decina di persone con disabilità; per ragioni non chiare, Davide ad un certo punto ha oltrepassato l’area della vasca delimitata per la lezione e si è trovato nella parte dove l’acqua è alta e non si tocca. Inutile l’intervento tempestivo dell’istruttrice, del personale dell’impianto sportivo, seguito dal 118. La conseguente indagine sembra avere accertato che non ci sono state mancanze nelle dotazioni di sicurezza della struttura. Le norme e le procedure sono state rispettate e l’incidente verrà archiviato come una tragica fatalità.

Questa tragedia mi ha fatto venire in mente un episodio che mi aveva coinvolto tanti anni fa. Mentre nuotavo, scorsi rannicchiato sul fondale della piscina un bambino. Era appena sotto la scaletta, in un punto non visibile dall’esterno. Mi agitai dando l’allarme, quella volta per fortuna andò bene: il bambino fu rianimato e salvato per un soffio. Io ero comunque scioccata, ma la decisione del mio istruttore fu di rigettarmi subito in acqua. Se così non fosse stato, probabilmente io non avrei più avuto rapporto con la piscina.

Si sa che l’immergersi in acqua porta alle persone con disabilità tanti benefìci. Io vivo con una disabilità motoria che incide anche sulla parola. Il nuotare mi ha aiutata nel recupero della mia condizione fisica, di più rispetto ad altre terapie.
In acqua ho una maggiore libertà nei movimenti, più facilitati e controllati, e una migliore coordinazione; inoltre, il dover mantenere un certo ritmo della respirazione è un ottimo esercizio per il parlare, che diventa più chiaro e fluido. E poi l’acqua “riduce i dolori”, come conferma la maggior parte delle persone con disabilità che praticano il nuoto.
Insomma, in base al principio di Archimede – quando un corpo è immerso nell’acqua riceve una spinta verso l’alto uguale al volume di acqua spostato, per cui il corpo perde una percentuale di peso che è direttamente proporzionale alla profondità a cui si è immersi – io mi sento più leggera, spensierata. Forse, migliore.

Anche per questi motivi è difficile accettare e comprendere quanto sia successo a Davide Duma. Penso ai suoi compagni di corso, tutti con una disabilità intellettiva e\o psichica: come avranno vissuto questa tragedia? La speranza è che essa non ne aggravi le problematiche psicologiche e che l’acqua non diventi per loro un territorio ostile, misterioso, nemico.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “La tragedia di Davide non deve demonizzare l’acqua”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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