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Opinioni a confronto sulla valutazione degli alunni con disabilità

Bimba con disabilità motoria a scuolaVorrei intervenire sul contributo di Salvatore Nocera, intitolato Riflessioni sulla valutazione degli alunni con e senza disabilità, pubblicato il 9 aprile scorso da «Superando.it», e sulla risposta data dallo stesso Nocera alla Presidente del CoorDown, nel testo Il dibattito sulla valutazione degli alunni con disabilità («Superando.it», 14 aprile).
Sono la mamma di una ragazza gravemente disabile iscritta all’ultimo anno del Liceo Scientifico e che all’inizio dell’anno scolastico in corso ha chiesto il passaggio dal PEI differenziato [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] al PEI “per obiettivi minimi”. Faccio quindi parte di quelle famiglie che secondo il signor Nocera avrebbero adottato comportamenti definibili come “strani”, famiglie che sarebbero scorrette innanzitutto nei confronti dei propri figli per un capriccio di illusorio prestigio che otterrebbero con il rilascio del diploma.
Queste parole mi hanno profondamente indignato e offeso in quanto il signor Nocera si è permesso di formulare un giudizio gravemente negativo, senza considerare in alcun modo le motivazioni che inducono le famiglie a formulare tale richiesta e in particolare la mia.
L’obiettivo di mia figlia (ogni scelta è stata sempre concordata con lei) non è quello di avere un diploma ad ogni costo, ma di poter continuare ad essere inclusa nella società dopo la scuola e continuare ad apprendere in un contesto motivante.
Mia figlia ha manifestato il desiderio di continuare a studiare e quindi vorrebbe frequentare l’Università. Non posso in questa sede spiegare le motivazioni che non mi hanno consentito di formulare la richiesta di un PEI per obiettivi minimi fin dal primo anno, perché mi dovrei soffermare su circostanze troppo personali. Ma essendo consentito dalla legge, abbiamo ritenuto di richiedere il passaggio ad un PEI per obiettivi minimi all’ultimo anno, nella convinzione che con metodi e strumenti adeguati mia figlia potesse raggiungere gli obiettivi minimi per ottenere il diploma.
Ora, in questo drammatico momento che stiamo vivendo a causa del coronavirus, la situazione è complicata soprattutto per la valutazione, non essendoci ancora chiare indicazioni, ma non si comprende per quale motivo il signor Nocera, membro di un’Associazione che dovrebbe avere come primario interesse la tutela delle persone con disabilità, si accanisce contro le stesse, soprattutto quelle che hanno disabilità più gravi le cui famiglie sono descritte come «soggetti che potrebbero approfittare della situazione»!
Non si comprende nemmeno perché invece di dare opportuni suggerimenti per consentire una valutazione adeguata per le tante diverse situazioni particolari degli alunni con disabilità, continua ad inoltrare al Ministero proposte di modifica dell’articolo 15 dell’Ordinanza Ministeriale 90/01, come se in questa situazione emergenziale fosse una priorità assoluta.
Mi preme sottolineare che né la scuola né l’ASL hanno proposto a mia figlia un progetto di vita alternativo a quello che insieme a lei la sua famiglia vorrebbe realizzare. Ma questo perché purtroppo dopo la scuola per chi ha una disabilità gravissima non c’è nessun percorso, e nemmeno i centri diurni , che sarebbero in ogni caso del tutto inadeguati per garantire una crescita personale che con tanto impegno per vent’anni abbiamo assicurato a nostra figlia.
Anche la replica data alla Presidente del Cordown mi ha lasciato interdetta, soprattutto nella parte in cui il signor Nocera  con soddisfazione dichiara di stare riuscendo a contrastare queste situazioni, fornendo suggerimenti ai Dirigenti Scolastici, come se grazie a lui fossero impedite situazioni di presunta illegalità.
Spero che mia figlia, nonostante le difficoltà personali, gli ostacoli di varia natura che ha incontrato e sta incontrando nel suo percorso, non da ultimo questa emergenza nazionale, e nonostante ci siano ancora persone che valutano solo la sua disabilità e non la sua persona con tutte le sue potenzialità, possa raggiungere il suo obiettivo e ottenere il diploma.
Maria Luisa Buonpensiere, madre di una ragazza con disabilità gravissima
Segretario e socia dell’Associazione l’Altra Parola

Risponde Salvatore Nocera, presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e responsabile per l’Area Normativo-Giuridica dell’Osservatorio sull’Integ razione Scolastica dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).

Mi spiace, Gentile Signora, che le mie parole l’abbiano turbata, tanto da farle pensare che io sia un detrattore degli alunni in situazione di gravi disabilità. Cerco di spiegarmi.
Ho sempre ritenuto che per ottenere un titolo di studio avente valore legale, l’alunno – qualunque alunno – debba possedere alcuni apprendimenti fondamentali di base che gli consentano di supportare il rilascio del diploma. Mi chiedo come sia possibile ottenere un diploma, se per quattro anni si è svolto un programma di studio molto lontano dagli apprendimenti minimi di base che consentono il rilascio del diploma stesso, a meno che i docenti della classe non ritengano, eccezionalmente, che l’alunno sia riuscito a possedere tali apprendimenti.
La valutazione circa il raggiungimento degli apprendimenti minimi spetta, come per tutti gli alunni, al Consiglio di Classe. Infatti, correttamente l’articolo 15 dell’Ordinanza Ministeriale 90/01 stabilisce che se sono i docenti a maggioranza a decidere in qualunque momento che l’alunno sia in possesso degli apprendimenti minimi, egli abbia diritto a passare – ribadisco «in ogni momento» – dal PEI differenziato a quello “per obiettivi minimi”. Se però i docenti ritengono professionalmente che l’alunno non sia in grado di possedere tali apprendimenti, non possono ammetterlo, come tutti, agli Esami di Maturità. Per questo la stessa Ordinanza stabilisce che, se la famiglia pretende, in qualunque momento, il passaggio da un PEI differenziato ad uno per obiettivi minimi, ma il Consiglio di Classe è di parere contrario, esso deve concedere il PEI per obiettivi minimi, avvertendo però formalmente la famiglia che se l’alunno non raggiunge gli stessi obiettivi minimi, non potrà essere ammesso agli esami.
Ora, i casi da me citati sono casi “assurdi” che realizzano la possibilità di rilascio del diploma in condizioni incredibili. Incredibili sia per le modalità giudiziali con cui si realizza il risultato richiesto, ma anche incredibili per le sofferenze cui si sottopone l’alunno, nel dover subire interrogazioni per lui impossibili da superare.
Per me ci sono inoltre in gioco due valori fondamentali:
1. la qualità dell’inclusione scolastica, per la quale noi del movimento per l’inclusione scolastica abbiamo sempre rifiutato il rilascio di un titolo di studio “per pietà” o “con irregolarità”;
2. la serietà della scuola che da queste sia pur rare vicende viene fortemente danneggiata, con grave svilimento del significato di tutte le nostre lotte che ci hanno portato ad ottenere ottenuto la normativa inclusiva, una delle migliori al mondo, e la stessa Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità il cui articolo 24 sull’inclusione scolastica è frutto della cultura inclusiva che i nostri rappresentanti italiani hanno fatto inserire in questo importantissimo documento internazionale.
Alla fine degli Anni Novanta, chi scrive, insieme ad altri membri di Associazioni, si è battuto perché fosse aggirato il divieto per gli alunni con disabilità di accesso alle scuole superiori, se non fossero stati in possesso del diploma di licenza media. Sino ad allora, infatti, il diploma di licenza media per gli alunni con gravi disabilità intellettive era irraggiungibile. Allora, col Parere favorevole del Consiglio di Stato, facemmo formulare una norma che è entrata nella citata Ordinanza 90/01, secondo la quale gli alunni con disabilità che non conseguono il diploma di scuola media possono ottenere un attestato dei crediti formativi maturati, che è «titolo idoneo per l’iscrizione alle scuole superiori». Da qui è conseguentemente scaturito anche il diritto al PEI differenziato, che consente di frequentare le scuole superiori e che può essere svolto sia da chi consegue l’attestato, sia da chi consegue il diploma di scuola media.
Questa è la storia della normativa e il senso del mio intervento, con il quale propongo che la famiglia giustamente solo al primo anno possa pretendere il PEI per obiettivi minimi, perché il pregiudizio potrebbe indurre i docenti a decidere subito superficialmente per un PEI differenziato; dal secondo anno, però , visti i risultati, se il Consiglio di Classe non ritiene di poter promuovere l’alunno, abbia il potere di passare al PEI per obiettivi minimi , onde evitare bocciature allo stesso. In alternativa a tale proposta garantista, ritengo che, se i docenti sono contrari al passaggio dal PEI differenziato a quello per obiettivi minimi, persistendo il potere della famiglia a pretendere tale passaggio, l’alunno debba sottoporsi alle prove integrative relative a tutti gli anni in cui ha svolto un PEI differenziato, come avviene per tutti i privatisti che si presentano agli Esami di Maturità senza avere la promozione al quinto anno di scuola superiore.
Questo mio rigorismo circa le modalità non ortodosse con cui alcuni miei Colleghi avvocati assecondano le richieste di talune famiglie, è stato apprezzato dal “padre dell’inclusione scolastica in Italia”, il professor Andrea Canevaro al quale tutti siamo riconoscenti per la sua animazione pedagogica che ha ispirato la normativa inclusiva italiana.

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