L’unico criterio è quello clinico, ogni altro è eticamente inaccettabile

«Il criterio clinico è il più adeguato punto di riferimento e ogni altro criterio di selezione, quale ad esempio l’età, il sesso, la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia, i costi, è eticamente inaccettabile»: lo si legge nel documento prodotto dal Comitato Nazionale per la Bioetica, riguardante il tema “Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del ‘triage in emergenza pandemica’”

Particolare di persona in carrozzina, con un infermiere a fianco, in un ospedaleÈ certamente degno di interesse il documento prodotto il 15 aprile dal Comitato Nazionale per la Bioetica, pronunciatosi sul tema Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”, una questione che in queste settimane ha già fatto molto discutere, anche sulle nostre pagine (si vedano ad esempio i soli contributi da noi pubblicati nella colonnina a fianco).
«Nell’ambito della pandemia Covid-19 – si legge nella nota che ha accompagnato la pubblicazione del documento – il sistema sanitario è stato sottoposto ad una pressione enorme. In questo Parere il Comitato prende in esame il problema dell’accesso dei pazienti alle cure in condizioni di risorse sanitarie limitate».

Sono sostanzialmente tre i principali elementi introdotti dal Parere del Comitato, ovvero: «Sulla base dei princìpi fondamentali della Costituzione (diritto alla tutela della salute, principio di uguaglianza, dovere di solidarietà) e del criterio universalistico ed egualitario su cui si basa il Servizio Sanitario Nazionale, si ritiene che nell’allocazione delle risorse si debbano rispettare i principi di giustizia, equità e solidarietà». In questo contesto, il Comitato «riconosce il criterio clinico come il più adeguato punto di riferimento, ritenendo ogni altro criterio di selezione, quale ad esempio l’età, il sesso, la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia, i costi, eticamente inaccettabile».

E ancora, il Comitato «ritiene che il triage in emergenza pandemica si debba basare su una premessa, la preparedness (predisposizione di strategie di azione nell’àmbito della sanità pubblica, in vista di condizioni eccezionali, con una filiera trasparente nelle responsabilità), la appropriatezza clinica (valutazione medica dell’efficacia del trattamento rispetto al bisogno clinico di ogni singolo paziente, con riferimento alla urgenza e gravità del manifestarsi della patologia e alla possibilità prognostica di guarigione, considerando la proporzionalità del trattamento), l’attualità che inserisce la valutazione individuale del paziente fisicamente presenti nel pronto soccorso nella prospettiva più ampia della “comunità dei pazienti”, con una revisione periodica delle liste di attesa».
Viene inoltre sottolineato che «l’allocazione delle risorse sanitarie in condizioni di scarsità delle stesse necessitano della massima trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica, perché le scelte di ciascuno siano veramente libere e informate».

Una parte del documento viene poi dedicata alla «proliferazione di contenziosi giudiziari nei confronti dei professionisti della salute nel contesto dell’attuale emergenza pandemica», un fatto «segnalato con preoccupazione» dal Comitato, che ritiene come «vada presa in considerazione l’idea di limitare eventuali profili di responsabilità professionale degli operatori sanitari in relazione alle attività svolte per fronteggiare l’emergenza Covid-19». Su questo, va ricordato, si sono pronunciate anche numerose Associazioni e Società Scientifiche, chiedendo appunto, «al Legislatore Statale, la previsione di un emendamento ai provvedimenti da adottare che preveda il riconoscimento all’attività sanitaria, resa nell’emergenza del Covid-19, quale “adempimento di un dovere e in evidente stato di necessità”, per impedire l’insorgenza di contenziosi giudiziari».

Doveroso, infine, ma purtroppo dolorosamente smentito dalle cronache dei giorni scorsi, è il richiamo conclusivo del Comitato alla necessità di «un’attenzione specifica alle persone più vulnerabili, ricoverate in strutture dedicate», per le quali «si auspica che siano assicurate cure appropriate, protezione e attenzione al fine di evitare contagi da parte del virus». Su tale tema, infatti, bisogna quanto meno fare riferimento a quanto dichiarato dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e da noi riportato nel testo Le strutture residenziali: storia di una tragedia annunciata. (S.B.)

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