I tanti casi “strani” della scuola e la valutazione degli alunni con disabilità

Si arricchisce ulteriormente il dibattito da noi avviato in queste settimane sul tema della valutazione degli alunni con e senza disabilità, ospitando questa volta l’intervento di Alessandro Paramatti, caregiver e padre di una donna con disabilità, membro del Coordinamento Nazionale dell’Ufficio delle Politiche per le Disabilità della CGIL, cui risponde, come nei casi precedenti, Salvatore Nocera, che aveva avviato il dibattito stesso, firmando il contributo intitolato “Riflessioni sulla valutazione degli alunni con e senza disabilità”

Mani di alunno con disabilità e mani di insegnanteNei giorni scorsi, sulle pagine di «Superando.it», è stato avviato un dibattito sul tema della valutazione degli alunni con disabilità, legato al particolare periodo, che vede la nostra scuola costretta a negare agli studenti la propria accoglienza fisica [nella colonnina a fianco i contributi da noi pubblicati sul tema, N.d.R.].
Le posizioni espresse di volta in volta da Salvatore Nocera, da Antonella Falugiani, presidente del CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down) e da Maria Luisa Buonpensiere dell’Associazione l’Altra Parola, nella sua veste, quest’ultima, di genitrice, risultano decisamente divergenti e da parte mia vorrei esprimere alcune considerazioni su aspetti che, mi sembra, non siano stati presi in esame o che, pur essendolo stati, meritino un ulteriore approfondimento.
Premessa la constatazione già fatta molteplici volte che il genere femminile dimostra sempre, e specie negli aspetti che richiedono una spiccata sensibilità, di possedere superiori saggezza ed equilibrio, la mia prima considerazione in realtà è stata già sviluppata da Buonpensiere. Non a caso lei, come me, si professa, “professionalmente”, un genitore, ma il fatto che lei stia adesso passando là dove sono passato io quindici anni fa, mi spinge a tornare su un argomento rispetto al quale, se non altro, posso vantare una maggiore “anzianità di servizio”, che mi permette oltretutto di fare il confronto fra diversi periodi.
Nocera argomenta come se il cursus degli studi fosse l’apoteosi e insieme la conclusione dell’esistenza di una persona con disabilità cognitiva, o comunque come se esso rappresentasse il limite ultimo dei suoi interessi. Poi, qualunque possa essere ogni esito successivo, gli sarà indifferente. Ricordo invece che qualsiasi progetto di vita necessariamente deve guardare oltre l’orizzonte scolastico. Ricordo anche che i cicli scolastici sono stati pensati per i “normodotati”, e che è risaputo che per una persona con disabilità cognitiva i ritmi sono diversi e in particolare più lenti. Vorrei fosse chiaro che non sto parlando solo di rendimenti scolastici. Questo provoca degli sfasamenti che possono generare molto frequentemente danni gravissimi per questi soggetti fragili, rendendo impossibili determinati obiettivi successivi.
Determinate competenze possono essere raggiunte ad età impreviste, ad esempio nel lavoro, qualora le condizioni delle persone ne possano consentire lo svolgimento. Però queste competenze non possono poi essere legalmente riconosciute per mancanza di titoli scolastici, cosicché molte persone con disabilità cognitiva o comportamentale sono in grado di adire gli studi universitari, ma ne sono impediti dallo stesso motivo.
Queste considerazioni portano alla necessità di utilizzare per alcuni soggetti dei criteri completamente diversi per quanto riguarda il rilascio dei titoli di studio. Non mi sembra dunque più un’eresia pensare anche all’abolizione del valore legale del titolo di studio, o alla sospensione del giudizio nei confronti delle persone con disabilità, e al contestuale rilascio di un diploma che sarebbe sempre e comunque associato alle certificazioni di disabilità. Vorrebbe dire dare un’altra chance a queste persone, non precludere loro a priori il raggiungimento di ulteriori competenze, non avere fretta a classificarle come “merce avariata”, come mi sembra invece che una corrente di pensiero desideri fare.
Da questo punto di vista poi, nella stessa ottica, non ci stupisce neppure che il nostro Stato, per quanto attiene ai concorsi pubblici, preveda delle prove obbligatorie, tenga conto della necessità di deroghe nei confronti delle persone con disabilità cognitiva, ma di fatto poi non si sia mai curato, in vent’anni, di approvare le necessarie norme applicative, rendendo inoperante questa specifica legge (Decreto Legislativo 65/01) e facendo strame di altre leggi quali la 68/99, la 67/06, quelle per le pari opportunità e quant’altro.
La mia seconda considerazione è di semplice e pura contrapposizione totale a determinati assunti, legata anche al fatto che io possa constatare che almeno negli ultimi quindici anni, quelli di mia “maggiore anzianità di servizio” rispetto a Buonpensiere, nulla sia cambiato. Vedo però che ora si usa definire come “strani” gli atteggiamenti ritenuti illegittimi.
Per solidarietà di parte sono indotto ad avere un atteggiamento comprensivo nei confronti delle “stranezze” dei genitori (che da qui in poi chiamerò coerentemente caregiver), dei loro ragazzi con disabilità e dei legali che fortunatamente li aiutano a cercare di rimettere in qualche modo ordine alle cose.
In realtà non ritengo affatto “strani” tali atteggiamenti, anzi li ritengo solo meritevoli, mentre ne trovo realmente “strani” (leggasi illegittimi) determinati altri.
Non è “strano” che talvolta gli insegnanti di sostegno siano completamente impreparati al ruolo? O che talvolta il monte ore di sostegno assegnato agli studenti sia inferiore a quello previsto dalle strutture curanti, rendendo necessario l’intervento di quei deprecati avvocati, per ottenere quanto dovuto?
Non è “strano” che talvolta la scuola faccia operazione di smantellamento del concetto di inclusione scolastica e sociale, tenendo continuativamente l’alunno con disabilità fuori della classe a tu per tu con il solo insegnante di sostegno, che solo per questo si dimostra oltretutto indegno del ruolo?
Non è “strano”, per tutto quanto detto prima, che la scuola talvolta non offra ai poveri caregiver alcun orientamento, fra attestati, diplomi, PEI ]Piani Educativi Individualizzati, N.d.R.], “programmi differenziati”, “programmi per obiettivi minimi”, sfruttando anzi questo disorientamento per raggiungere scopi non certo condivisibili?
Non è “strano” che talvolta la scuola tenga lo stesso atteggiamento esclusivo nei confronti di altre categorie, quali gli extracomunitari?
Non è “strano” che talvolta nelle scuole non siano indetti i previsti Gruppi di Lavoro Operativi (GLO, ai miei tempi GLH) o che le scuole stesse “dimentichino” di convocare i caregiver a quei Gruppi?
Non è “strano” che talvolta la scuola ignori del tutto quanto previsto dalla Legge 328/00, soprattutto per quel che riguarda la centralità della famiglia nei processi decisionali che riguardano le persone con disabilità?
E ancora, non è “strano” che talvolta, in Dirigenti Scolastici che possono vantare anni e anni di insegnamento in scuole italiane all’estero, la padronanza di otto lingue straniere, e quant’altro a pari livello, la preparazione specifica sulla disabilità sia tale che, a domanda del Dirigente «cosa fai fuori dell’orario scolastico?», il ragazzo con disabilità, che di lingua straniera non ne parla nemmeno mezza, risponda «faccio ippoterapia», di fronte a un Dirigente per una volta disorientato che a propria volta chiede: «E cos’è l’ippoterapia?».
Mi si perdoni il caregiver che è in me!
Alessandro Paramatti
Caregiver e padre di una donna con sindrome genetica rara senza diagnosi, membro del Coordinamento Nazionale dell’Ufficio delle Politiche per le Disabilità della CGIL

Risponde Salvatore Nocera.

Caro Paramatti, ti ringrazio per avere focalizzato l’attenzione sul dibattito che si sta svolgendo su «Superando.it», con riguardo al problema della valutazione degli alunni con disabilità intellettive e relazionali, che coinvolge altre questioni importanti, quali il valore della valutazione scolastica in generale, il significato di inclusione scolastica, il valore legale dei titoli di studio ecc.
Sottoscrivo pienamente il tuo giudizio negativo su tanti “casi strani”, alcuni dei quali possono essere definiti illegittimi, in quanto dichiarati tali da alcune sentenze della Magistratura. Anzi a questi mi permetto di aggiungerne altri, quali ad esempio la sottoscrizione fraudolenta, imposta alle famiglie, di Piani Educativi Individualizzati (PEI) predisposti dal solo docente per il sostegno; l’approvazione di PEI ad anno scolastico abbondantemente avviato e talora addirittura alla fine; la promozione di alunni senza avere per nulla attuato il PEI, al solo fine di “mandarlo via” dalla classe; il rifiuto di docenti a frequentare brevi corsi di aggiornamento all’inizio dell’anno scolastico, per conoscere i problemi dell’alunno con disabilità e saper concordare il PEI tra docenti curricolari e per il sostegno e quindi saper realizzare congiuntamente lo stesso PEI, e valutare congiuntamente l’alunno con disabilità, distinguendo l’oggetto della valutazione da parte dei docenti curricolari, previsto dall’articolo 9 del DPR 122/09 e quello dei docenti per il sostegno di cui agli articoli 2, 4 e 6 dello stesso Decreto.
Quanto invece al contenuto del tuo parere sul dibattito in corso, mi permetto sommessamente di far presente che, fino a quando rimane nel nostro ordinamento giuridico il valore legale dei titoli di studio, purtroppo non si può prescindere dal fatto legale che chi non raggiunge gli elementi minimi del PEI per ottenere la promozione e il diploma, non si può avere un diploma avente valore legale, ma si può ottenere solo un attestato.
Ci si può certamente battere, a mio avviso, per l’abolizione del valore legale del titolo di studio, si ha tutto il diritto di farlo, ma non ricorrendo a certe strategie processuali, quali quelle che mi sono permesso di criticare. Se si abolisce però il valore legale del titolo di studio, mi chiedo come si farà a difendere i figli delle “classi proletarie” dalle prevaricazioni dei “ricchi e potenti” nei concorsi e in tutti i momenti della vita in cui il titolo di studio non più legale serve a dare l’accesso a certi diritti, come le borse di studio, l’esonero dalle tasse e così via.
Finché esisterà il valore legale dei titoli di studio, esso deve dichiarare il raggiungimento degli obiettivi minimi fissati dai programmi ministeriali, pena la possibile denuncia di falso in atto pubblico.
Ma veniamo alla presunta discriminazione alla quale andrebbero soggetti i nostri alunni con disabilità intellettive e relazionali ai quali, in regime di valore legale dei titoli di studio, non può essere rilasciato il diploma, ma viene rilasciato l’attestato con il riconoscimento dei crediti formativi maturati.
Come tu ben sai, chi scrive è cieco; se io pretendessi di partecipare a un campionato di tennis o di tiro al piattello o di calcio ordinario, chiedendo di ottenere il riconoscimento di vincitore in qualche gara oppure se pretendessi di partecipare a un concorso di pittura, chiedendo di acquisire un premio, magari quello del vincitore, come mi giudicheresti?
I nostri alunni con disabilità intellettiva grave, come sai, non hanno capacità di astrazione e argomentative tali da padroneggiare le regole basilari di molte discipline fondamentali delle scuole superiori. Sono invece molto abili in altre attività o per altri aspetti della loro personalità. Finché esiste il valore legale dei titoli di studio, come è possibile legalmente rilasciare loro un diploma?
Salvatore Nocera

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