Rivedere il sistema sociosanitario, nel rispetto di ogni singola persona

«La pandemia del Covid-19 – scrivono le famiglie del Comitato Legge 162 Piemonte – ha evidenziato la fragilità e la debolezza strutturale di un sistema sociosanitario impostato principalmente sulla centralità degli ospedali per la parte sanitaria e sulle strutture residenziali e semiresidenziali per la parte socioassistenziale. L’emergenza di questi mesi deve dunque essere l’opportunità per rivedere tale sistema, a favore di interventi più mirati a ogni singola persona, nel rispetto e nella dignità della storia di ciascuno, all’insegna di deistituzionalizzazione e progetti personalizzati»

Disegno di omino in carrozzina che spezza le cateneLa pandemia del Covid-19 ha evidenziato la fragilità di un sistema sociosanitario impostato principalmente sulla centralità degli ospedali per la parte sanitaria e sulle strutture residenziali e semiresidenziali per la parte socioassistenziale. Le gravi disfunzioni, con relative conseguenze drammatiche emerse ad esempio nelle RSA [Residenze Sanitarie Assistenziali, N.d.R.] di tutto il mondo, non sono solo state il frutto di cattive pratiche organizzative o assistenziali in caso di emergenza, ma sono state anche l’espressione della debolezza strutturale di un sistema (alta concentrazione di persone e operatori, depersonalizzazione, contenimento ecc.), che deve essere rivisto a favore di interventi più mirati a ogni singola persona, nel rispetto e nella dignità della storia di ciascuno.

Come Comitato Legge 162 Piemonte, operiamo affinché la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, divenuta Legge dello Stato italiano nel 2009 (Legge 18/09), ma totalmente disattesa fino ad ora, venga finalmente attuata nella nostra Regione. Riconoscendo alle persone con disabilità i diritti di tutti i cittadini, la Convenzione richiede di ripensare l’intero assetto organizzativo del sistema di welfare, facendone emergere l’incompatibilità con ogni forma di istituzionalizzazione.
La libertà di scelta di dove e con chi vivere (articolo 19 della Convenzione: Vita indipendente ed inclusione nella società) non è compatibile con una visione della disabilità di stampo novecentesco, secondo la quale la persona deve essere innanzitutto “protetta” e opportunamente sistemata in luoghi ad essa dedicati (sia a tempo parziale, sia a tempo pieno). La persona con disabilità deve invece poter vivere nel mondo di tutti, naturalmente con i necessari sostegni.

La pandemia aggiunge un altro tassello a sostegno delle nostre rivendicazioni, trasformando paradossalmente in insicuri proprio quei luoghi pensati per accudire le persone isolandole dalla società. E questo a maggior ragione se pensiamo a future recrudescenze del virus o ad altri eventi di questa natura, ritenuti altamente probabili dagli scienziati.
È necessario coniugare dunque l’esigenza di garantire il diritto di cittadinanza con il diritto alla sicurezza di tutte le persone, anziane o con disabilità, anche nei confronti di chi ad oggi non è istituzionalizzato, ma correrebbe il rischio di esserlo proprio perché disabile.
Ciò che chiediamo è dunque che i servizi socioassistenziali predispongano, in un rapporto di reciprocità con le famiglie, progetti di vita personalizzati, per accompagnare le persone con disabilità nel loro percorso verso l’adultità.
Parliamo pertanto di “coprogettazione” con i Servizi, dove siano privilegiate le aspirazioni della famiglia e della persona, anche al fine di aumentare la consapevolezza e la capacità di autodeterminarsi di quest’ultima, per un’effettiva inclusione sociale. Questo, parlando del Piemonte, vale anche in virtù della Deliberazione di Giunta Regionale 51/19 (Approvazione di nuove Linee guida per la predisposizione dei progetti di Vita indipendente), che ammette ai progetti di vita indipendente le disabilità intellettive, relazionali e sensoriali e che rappresenta per noi un punto di partenza e non di arrivo, come si potrebbe pensare, verso una visione e rappresentazione della disabilità pienamente rispondente ai dettami della Legge 18/09 e del Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità.

L’emergenza che stiamo vivendo in questi mesi dev’essere un’opportunità per riorientare le risorse e l’operatività di alcuni servizi, come ad esempio i Centri diurni, verso la personalizzazione dei progetti.
Dove c’è stata la volontà e la possibilità di mettere in essere forme di sostegno alternative, si è instaurato un rapporto – seppure con i limiti del necessario distanziamento – diretto e proficuo con le persone con disabilità e con le famiglie da parte degli operatori. Queste esperienze hanno rappresentato una piccola ma significativa realizzazione di quello che potrebbe essere il modus operandi delle figure professionali coinvolte in un vero progetto di vita.

Desideriamo fortemente richiedere, anche dopo l’emergenza sanitaria, che le famiglie abbiano la possibilità di scegliere. Ad esempio che le risorse attualmente impiegate per le rette dei Centri diurni o in altre forme di istituzionalizzazione, possano essere destinate alla realizzazione di progetti di vita personalizzati, con «modalità organizzative che concorrano al dignitoso permanere della persona presso il proprio domicilio, o alla realizzazione del proprio progetto di vita all’esterno della famiglia di origine» (dal già citato Secondo Programma di Azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità).
Naturalmente siamo consapevoli che la volontà di sperimentare e di innovare i servizi da parte di chi quotidianamente vi opera va sostenuta da adeguate misure legislative e normative.
È ad esempio necessario che si interrompa il circolo vizioso che costringe le famiglie ad usufruire prevalentemente di quei servizi per i quali è garantita mandatoriamente (obbligatoriamente) la copertura finanziaria. La persona con disabilità e la sua famiglia vanno messi in condizione di poter effettivamente optare, se lo desiderano, per un percorso esistenziale, con la certezza di un adeguato sostegno economico, che non necessariamente debba concludersi o, addirittura, iniziare in una qualsivoglia “struttura”.

Gli eventi tragici di questi mesi devono rappresentare uno spartiacque invalicabile tra un “prima” e un “poi”, un’opportunità che chiediamo di cogliere a tutte le Istituzioni, perché è nostra profonda convinzione che ciò che rivendichiamo ha valore, prima ancora che per i nostri figli, per la società intera.

Il Comitato Legge 162 Piemonte è formato da circa 150 famiglie distribuite sull’intero territorio della propria Regione. Ha come obiettivo quello di promuovere la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e, conseguentemente, la deistituzionalizzazione delle stesse persone con disabilità, interagendo con le Famiglie, le Associazioni e le Istituzioni Regionali a tutti i livelli.
Si avvale della collaborazione del DiVI (Centro Studi Interdipartimentale per i Diritti e la Vita Indipendente dell’Università di Torino, costituitosi come gruppo di lavoro all’interno del CIRCE-Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione), il cui scopo principale è quello di mettere a disposizione la propria competenza, acquisita anche attraverso attività di ricerca e sperimentazione sul campo, per garantire l’esigibilità dei diritti civili e sociali a tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro caratteristiche.

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