Fragilità e psiche ai tempi della pandemia

«Quando l’emergenza sarà finita – dice Sandro Montanari, autore del libro “Percorsi del cambiamento in psicoterapia sistemica” – dovremmo avere il coraggio di non ritornare alla normalità pre-epidemia, perché è probabilmente proprio in quella “normalità” che troviamo gran parte delle cause di questa tragedia che ha sconvolto il mondo. La pandemia ci insegna che da soli non andiamo da nessuna parte, per salvarci abbiamo bisogno della vicinanza emotiva, della solidarietà e della mano che ci aiuta a rialzarci»

Canne al vento

«Blaise Pascal – ricorda Sandro Montanari – ha definito gli esseri umani come “canne pensanti”, esili fuscelli sempre esposti alle intemperie»

In questo particolare periodo in cui molti di noi sono costretti a restare in casa e dunque il tempo assume un valore nuovo, è necessario gestirlo per non perdere un’opportunità di fare qualcosa di buono per noi stessi e per gli altri. Non vorrei mai che, una volta terminata questa pandemia, mi scoprissi di non aver fatto nulla di particolare o di nuovo, a parte lavorare al computer e passare da una chat all’altra. Mi piacerebbe dedicarmi a qualcosa di utile, di diverso che normalmente metto in secondo piano per mancanza di tempo… ma a cosa?
Non sto pensando ad attività straordinarie, ma a cose facili e semplici, come dedicare del tempo a prendermi cura di me stessa, ritrovare amici e affetti veri, con cui scambiare frammenti di vita, riscoprire l’importanza dei rapporti umani e leggere dei buoni libri con cui arricchirmi e crescere.
Durante interessanti chiacchierate con alcuni amici esperti di psicologia e psicoterapia, ho appreso che in questo periodo, sconvolto dallo tsunami pandemico, è come se, per certi aspetti, fossimo stati immersi in un grande esperimento sociale, che ci ha costretto a nuove modalità di vita, i cui effetti sull’umanità potranno valutarsi pienamente solo nel corso degli anni a venire. Ma ciò che è certo è che oggi sono in forte aumento preoccupazioni, disuguaglianze e fragilità, che richiedono di essere accolte e trasformate per non diventare pesi insopportabili.

Queste riflessioni mi hanno incuriosita e ho deciso di leggere Percorsi del cambiamento in psicoterapia sistemica. Il caso dell’uomo che non c’era (FrancoAngeli, 2019), l’ultimo libro di Sandro Montanari, amico, dottore di ricerca, psicologo e psicoterapeuta che ha insegnato Psicologia all’Università La Sapienza di Roma e che è tra i promotori del progetto di volontariato Oltre le barriere di cui già si è parlato in questa testata [se ne legga a questo link, N.d.R.].
In questo libro, Montanari affronta l’affascinante tema della psicoterapia e lo fa con una modalità molto originale, facendo letteralmente immergere il lettore in un percorso psicoterapeutico. La parte iniziale dell’opera, infatti, offre spunti di riflessione teorica, poi l’Autore – entrando nel vivo del discorso – sviluppa la narrazione attorno ai dialoghi tra il terapeuta e il paziente, che “duettano” durante le sedute, rendendo piacevolmente fruibile il testo anche ai non addetti ai lavori.
Il Lettore ha la sensazione di vivere insieme a loro tanti importanti passaggi personali e familiari. È straordinario come a volte tali passaggi possano prendere il via da dettagli e particolari apparentemente ininfluenti (un piccolo oggetto, una postura, un capo d’abbigliamento, uno sguardo, un regalo…), ma che – se sapientemente colti e messi in gioco nella relazione – si scoprono essere importanti messaggi capaci di stimolare processi di riflessione e cambiamento.
Condivido qui di seguito alcune mie osservazioni con l’Autore, e uno scambio di opinioni su temi da lui trattati e che hanno acceso in me delle curiosità.

Da cosa scaturisce la nostra fragilità, Sandro?
«Proprio perché esseri umani, siamo fragili. Pascal ha detto che siamo come “canne pensanti”, siamo esili fuscelli sempre esposti alle intemperie. Molti eventi della vita ci mettono di fronte alle nostre fragilità e vulnerabilità, ma spesso anche alle barriere che le amplificano, fatte di relazioni e comportamenti che feriscono, con l’effetto di innalzare muri comunicativi e incomprensioni. Può bastare poco, una distrazione, una parola, un gesto, un microscopico virus per sconvolgere o addirittura recidere una vita. Ma proprio la consapevolezza di questa nostra fragilità ci dovrebbe spingere a trovare un senso, a lasciare una traccia, ad abbattere le barriere che ci separano dagli altri… perché l’esistenza è un miracolo, è un bene prezioso, un’incredibile opportunità che non va sprecata».

In questo tuo libro illustri un percorso di cambiamento come un viaggio affascinante e, a tratti, anche divertente. Ma come si fa a partire, qual è l’inizio di questo viaggio?
«Un viaggio nella fragilità vede spesso il suo inizio nelle vicende di una vita dove il futuro perde significato, assumendo le sembianze di un inquietante buco nero. È un viaggio che muove i primi passi a piedi nudi su campi umidi immersi nella nebbia invernale, dove gli echi delle grida inascoltate si disperdono nel vento.
Questo viaggio, in fondo, parte proprio dalla fragilità umana e da quel vuoto pieno di paure e angosce che abita in ognuno di noi. Specie in momenti particolari della nostra esistenza, la fragilità può battere con maggior forza alla nostra porta ed è qui che quel vuoto interiore comincia a espandersi, a volte fino a non lasciare più spazio all’aria. In questi momenti ci sentiamo soffocare, la vita perde valore, tutto sembra perduto».

E in che modo la traiettoria di questo viaggio, che spesso sembra immutabile, può cambiare?
«Con la relazione che cura, basata sull’ascolto, sull’empatia, sul dialogo, nella quale si sperimenta sulla propria pelle un modo diverso di vedere le cose e di stare con se stessi e con gli altri.
Con il lavoro psicoterapeutico, lo spaventoso “buco nero” può gradualmente diventare una stella capace di orientare il cammino nella notte e si può scoprire che dalla nudità dei campi arati a maggese, immersi nella solitudine invernale, può sbocciare la vita primaverile. Il contadino, infatti, come lo psicoterapeuta, sa come prendersi cura della natura, sa come rispettare i suoi tempi, sa ascoltarla senza imporre le proprie aspettative, crede nella bontà di quel campo. E attende fiducioso la primavera, allo stesso tempo prendendosi cura del terreno, aiutandolo ad esprimere il meglio di sé».

Dalle nostre fragilità, quindi, si può rinascere, si possono riprendere le redini della nostra vita, si può aspirare a divenire attore protagonista, piuttosto che “spettatore occasionale” della propria esistenza…
«Sì, si può rinascere, come fa il fiore del loto che emerge ogni mattina dal fango. Questo meraviglioso fiore ha infatti appreso a trasformare il fango da condizione sfavorevole che impastoia e soffoca la vita a sostanza preziosa da cui trarre nutrimento. In modo simile, durante il percorso psicoterapeutico, da ombra incombente la fragilità può lentamente trasformarsi e diventare scia luminosa che segnala la via, che apre la vita a nuove possibilità».

Copertina del libro "Percorsi del cambiamento in psicoterapia sistemica" di Sandro MontanariIn fondo, come tu dici, si parte da qualcosa che ci fa soffrire, spesso da una rottura (una separazione, un cambio di vita, una malattia, un trauma, una morte di un proprio caro…). Ma come si può ripartire dopo una rottura che ci ha sconvolto l’esistenza, qual è la chiave per superare il problema e per avviarci verso un cambiamento positivo?
«Secondo un’usanza giapponese, quando si rompe un vaso si raccolgono i cocci e lo si ripara. Con un’antica e sofisticata tecnica denominata Kintsugi, i frammenti vengono assemblati assieme con oro o argento fuso. In questo modo le linee di frattura del vaso, una volta ricomposto, brillano e l’oggetto (che non è più come prima) diventa unico e speciale, in quanto impreziosito dalle luccicanti ferite cicatrizzate.
Analogamente, laddove le ferite interiori e le lacerazioni relazionali, piuttosto che rappresentare esperienze catastrofiche da rimuovere o negare, sono motivo di ascolto e riflessione, diventano elementi preziosi che aiutano la persona a conseguire un diverso equilibrio caratterizzato da una nuova trama; sono lo specchio della fragilità, di cui è fatto l’essere umano, e possono diventare, oltre che fonte di sofferenza, anche occasione di arricchimento e trasformazione se accettate e utilizzate per comprendere meglio se stessi e l’altro da sé.
Ovviamente è un lavoro diverso da persona a persona, è sempre un percorso unico e irripetibile che rinvia non solo alla particolare relazione terapeutica, ma anche alla propria storia, al proprio contesto di vita, alle proprie singolarità, ai propri limiti, alle proprie risorse».

Con questo libro, che va letto e gustato lentamente, tu racconti di un percorso durato anni, ove ognuno di noi si può rispecchiare e trovare analogie con la propria vita, con le proprie difficoltà, con le proprie conquiste.
«L’idea che anima il libro è proprio questa e tu l’hai colta molto bene. Il Lettore può rispecchiarsi in quello che legge e la lettura può aiutarlo a riflettere e a prendersi cura delle sue ferite, a capire come ricucirle con l’oro e l’argento della relazione terapeutica; relazione fatta innanzitutto di attento ascolto, perché in ogni fragilità c’è sempre un desiderio di ascolto. E riconoscere la nostra fragilità è il primo passo per sviluppare la capacità di riconoscere quel desiderio sottostante alla fragilità dell’altro.
Lo stesso virus, che oggi sta purtroppo dilaniando le nostre esistenze, ha fin da subito dimostrato a tutti la profonda inadeguatezza dell’ideologia egocentrica e individualista, ideologia che nega ed esorcizza le fragilità umane, con l’effetto di accentuare le disuguaglianze e le distanze sociali.
Quando l’emergenza sarà finita, dovremmo avere il coraggio di non ritornare alla normalità pre-epidemia, perché è probabilmente proprio in quella “normalità” che troviamo gran parte delle cause di questa tragedia che ha sconvolto il mondo. La pandemia ci insegna che da soli non andiamo da nessuna parte, per salvarci abbiamo bisogno della vicinanza emotiva, della solidarietà e della mano che ci aiuta a rialzarci. In tal senso, la psicoterapia è una carezza gentile, è uno sguardo che accoglie il dolore, restituendogli un senso, è una relazione che cura e che apre alla speranza».

Quello di Sandro Montanari, dunque, è un libro per scoprire che la fragilità, oltre a rappresentare un limite, può diventare una risorsa. Quando scio su discese innevate, spesso mi soffermo ad ascoltare nel silenzio della montagna il mio timore di affrontare una pista impegnativa. Dopo la lettura di questo prezioso libro, ho veramente compreso che la bellezza di quel momento di silenzio è proprio la sua fragilità.
Ringrazio Sandro e lascio qui di seguito i riferimenti del suo libro: Sandro Montanari, Percorsi del cambiamento in psicoterapia sistemica. Il caso dell’uomo che non c’era, FrancoAngeli 2019, 136 pagine (disponibile anche in e-book) (se non si dispone di un lettore e-Book, il file formato pdf è comunque accessibile da PC fisso aprendo un account Adobe).

Stefania Leone, persona con disabilità visiva, è esperta di ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), con delega su tali problematiche per l’ADV e per la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap). È inoltre Certificata Disability Manager. Il presente testo – qui ripreso con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – è già stato reso pubblico all’interno di «Megabytes», rivista curata dall’ADV.
Sandro Montanari è dottore di ricerca, psicoterapeuta, psicologo, giudice onorario della Sezione Minorenni della Corte d’Appello di Roma.

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