Disabilità grave: in cammino con le persone, le famiglie e le comunità

«La difficoltà nell’intervento rivolto a famiglie di persone con disabilità grave non è solo quella di redigere una diagnosi o di stilare un profilo, ma soprattutto di fare in modo che i progetti siano resi possibili dove le persone vivono. Su questo abbiamo lavorato»: a dirlo è Domenico Vaccaro, referente tecnico di “In casa e… oltre”, progetto promosso in dodici Regioni per quasi due anni dal MAC (Movimento Apostolico Ciechi), in partenariato con l’ANFAMIV, con l’obiettivo appunto di promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità grave e delle loro famiglie

Disegno di sagoma in carrozzina davanti a una casaSvolto in partenariato con l’ANFAMIV (Associazione Nazionale delle Famiglie dei Minorati Visivi) e cofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il progetto In casa e… oltre, promosso dal MAC (Movimento Apostolico Ciechi), si è sviluppato in dodici Regioni per la durata di ventuno mesi, con l’obiettivo principale di promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità grave e delle loro famiglie.
«La condizione di disabilità grave – spiega Domenico Vaccaro, psicopedagogista e referente tecnico dell’iniziativa – ridefinisce in maniera determinante i contesti relazionali interni ed esterni alla famiglia e alla comunità di appartenenza. Il MAC, raccogliendo l’esperienza fatta negli anni, ha voluto dare un segno concreto di attenzione alle famiglie, proponendo attività che ponessero l’interesse verso la costruzione di contesti inclusivi. Si è dato dunque vita a: percorsi di discussione e di confronto per famiglie, facendo intrecciare esperienze personali con quelle di vita; gruppi laboratoriali di manualità per le persone con disabilità grave; percorsi di creatività per le mamme e i papà; esperienze di vita autonoma per persone adulte con disabilità grave; percorsi di accompagnamento per le persone adulte verso una più facile indipendenza dal contesto familiare, con obiettivi di vita autonoma; percorsi di accompagnamento per fratelli e  sorelle, che, partendo dall’analisi del vissuto di ciascuna persona, hanno avuto come obiettivo quello di fare sperimentare agli stessi, in un ambiente ludico, delle strategie volte a modificare le capacità relazionali; e infine, percorsi formativi per insegnanti ed educatori, su tematiche relative alla disabilità grave».

Le famiglie coinvolte, dunque, hanno potuto sperimentare che il vivere in “casa”, muoversi soltanto nella propria zona di confort, è certamente più  rassicurante, perché li fa sentire protetti, al riparo da “pericoli” nascosti, ma li rende meno capaci di funzionare come “sistema”, cioè in relazione con gli alti, riducendo, altresì, la possibilità alla comunità di essere accogliente.
«Andare oltre lo spazio di casa – sottolinea ancora Vaccaro -, al di la della “stanza di terapia”, vivere il territorio come luogo fisico ed emotivo con le diverse storie e memorie, amplia i legami e consente alla famiglia di riconoscersi; per questo essa può divenire “contaminante” e amplificare il potere di giungere ad una “conversione” adattiva. Abbiamo scelto, pertanto, di consolidare punti di servizio territoriali, configurati come Agenzie Pedagogiche, che aiutassero le famiglie a uscire fuori dalla solitudine, dalla sfiducia, promuovendo il coinvolgimento attivo delle comunità di appartenenza. La famiglia e la comunità dove essa vive sono diventati centrali, finalmente maggiormente comunicanti, partner attivi in ogni passo del percorso di inclusione sociale».

«In relazione ai bisogni evidenziati – conclude il referente tecnico del progetto -, alle esigenze e alle risposte del territorio, l’Agenzia ha promosso l’attivazione di percorsi specifici, differenziati in base ai territori e ai contesti relazionali di riferimento. E del resto il MAC da sempre stimola la creazione di servizi prossimali alle persone e il loro collegamento, perché, lo sappiamo bene, la difficoltà nell’intervento rivolto a famiglie nel cui seno vivono persone in condizione di disabilità grave, non è solo quella di redigere una diagnosi o di stilare un profilo, ma soprattutto fare in modo che i progetti siano resi possibili dove le persone vivono. È questo l’aiuto che maggiormente viene richiesto dalle persone, dalle famiglie, dalle comunità, ed è questo il lavoro più complesso, meno documentabile. Il camminare, quindi, assieme alle famiglie ha prodotto la circolarità, la condivisione di esperienze e facilitato il lavoro di  inclusione». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: info@movimentoapostolicociechi.it.

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