Anche nel Québec le vite delle persone con disabilità contano (molto) meno

Se avevamo definito a dir poco inquietante quanto riferito rispetto alla scelta di molti Stati degli USA di non curare persone con diverse disabilità, durante la pandemia, per consentire la cura delle altre persone, ancora più inquietante, se possibile, è quanto viene segnalato dallo Stato canadese del Québec, ove in quasi completa segretezza il Governo locale ha distribuito a medici e ospedali un protocollo per l’accesso alle terapie intensive che permette, in caso di carenza di letti, di negare un respiratore a una persona con sindrome di Down, Parkinson, SLA o grave disturbo autistico

Scultura di figura antropomorfica con mani davanti alla faccia

Se avevamo definito a dir poco inquietante quanto riferito nel mese di aprile da Elena Molinari sulla testata «Avvenire», rispetto alla scelta di molti Stati degli USA di non curare persone con diverse disabilità per consentire la cura delle altre persone, durante la pandemia da coronavirus, ancora più inquietante, se possibile, è quanto viene ora raccontato dalla stessa giornalista a proposito dello Stato canadese del Québec, in un articolo significativamente intitolato Il Québec ha superato anche gli Usa.
«In quasi completa segretezza – scrive infatti Molinari -, il governo del Québec ha distribuito a medici e ospedali un protocollo per l’accesso alle terapie intensive che permette, in caso di carenza di letti, di negare un respiratore a una persona con sindrome di Down, Parkinson, SLA o grave disturbo autistico».
Il documento di cui si parla risale in realtà agli inizi di aprile, ma a quanto pare l’Amministrazione della Provincia francofona canadese ne ha finora messo a disposizione del pubblico solo una parte, rifiutandosi di pubblicare i criteri di esclusione stabiliti nelle appendici. A consentire dunque ad «Avvenire» di prenderne visione è stata la SQDI (Société Québécoise de la Déficience Intellectuelle), l’organizzazione che in tale territorio si occupa di disabilità intellettive, che ha lanciato anche una petizione per chiedere al premier del Québec François Legault di rivedere il documento. Dal canto loro, all’inizio di giugno, ovvero solo quando ne hanno appreso l’esistenza, i Deputati dell’opposizione hanno denunciato all’Assemblea Nazionale del Québec, «la presenza, nel protocollo, di condizioni mediche che rendono di fatto un paziente non ammissibile alla terapia intensiva, definendole una violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, della Carta Canadese dei Diritti e delle Libertà e dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità*».

«Se hai un deficit cognitivo – ha dichiarato la deputata Jennifer Maccarone, a propria volta madre di due persone con disturbo dello spettro autistico – come la sindrome di Down o un grave disturbo autistico, potresti dover lasciare il tuo posto a un’altra persona. Il documento statale, infatti, elenca fra i criteri di esclusione “una grave compromissione cognitiva e l’incapacità di svolgere le attività quotidiane e domestiche in modo indipendente a causa di una malattia progressiva, nonché malattie neuromuscolari, come il Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica».
Decisamente discutibile la risposta giunta da Danielle McCann, ministra della Salute del Québec, che pur non negando l’esistenza dei criteri di esclusione, ha affermato però che «essi sono applicati solo in situazioni estreme, non ancora presentatesi nella nostra Provincia».

«Non escludiamo azioni legali», ha reso noto Anik Larose, direttore esecutivo della SQDI, sottolineando come «qualsiasi criterio basato sulla valutazione dell’autonomia funzionale di un individuo, quale la sua capacità di vestirsi e mangiare da solo, pone importanti questioni etiche e legali. Infatti, indipendentemente dal fatto che si sia o meno in un’emergenza sanitaria, le decisioni cliniche non dovrebbero mai essere prese sulla base di giudizi di valore sull’utilità sociale di un individuo o su pregiudizi sulla sua scarsa qualità della vita».
Altro elemento duramente contestato dalle Associazioni è il cosiddetto «punteggio di fragilità clinica», previsto dal documento, per misurare le probabilità di sopravvivenza di un paziente. Secondo Larose, infatti, «un punteggio di fragilità clinica di 7 o più significa che la persona è totalmente dipendente, qualunque sia la causa, fisica o cognitiva. Quindi una persona con sindrome di Down che abbia difficoltà ad articolare le parole o abbia limiti motori otterrà un punteggio di fragilità elevato e sarà immediatamente esclusa dalle cure intensive».
«Le capacità funzionali delle persone con un disturbo dello spettro autistico sono compromesse, senza ridurre la loro speranza di vita», ha aggiunto Luc Chulak, direttore esecutivo della Federazione dell’Autismo del Québec.

Tornando agli Stati Uniti, dai quali avevamo iniziato, anche qui un aggiornamento della situazione viene sempre da Elena Molinari, che a fianco del successo ottenuto dalle Associazioni di tutela dei diritti delle persone con disabilità contro il protocollo dell’Alabama, secondo il quale dovevano essere negati i respiratori alle persone con ritardo mentale o demenza da moderata a grave, si sottolinea tuttavia che «negli USA restano almeno dieci gli Stati i quali, in caso di carenza di letti o respiratori, fanno passare “in fondo alla fila” chi necessita di una maggiore quantità di risorse, o ha ricevuto diagnosi specifiche, fra le quali la demenza». (S.B.)

*La Federazione del Canada, cui appartiene lo Stato del Québec, ha ratificato la Convenzione ONU l’11 marzo 2010 e il Protocollo Opzionale della Convenzione stessa (che consente al Comitato sui Diritti Umani delle Persone con Disabilità di ricevere anche ricorsi individuali – di singoli o di gruppi di individui – e di avviare eventuali procedure d’inchiesta) il 3 dicembre 2018.

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