Il Festival delle Abilità, ovvero la libertà di vivere come tutti

«Tu chiamale emozioni!»: così Antonio Giuseppe Malafarina racconta la seconda edizione del Festival delle Abilità di Milano, presentato come «una festa-festival dei talenti d’arte, musica e poesia, per riscrivere l’immaginario della cultura contemporanea, per farci dimenticare il prefisso “dis” dalla parola disabili e promuovere una cultura dell’abilità». Il tutto all’insegna delle parole che Franco Bomprezzi aveva fatto proprie dal fondatore della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) Federico Milcovich, il quale sosteneva «l’importanza di essere liberi di vivere come tutti»

Antonio Giuseppe Malafarina, Federica Millefiorni e Lella Costa al Festival delle Abilità 2020 di Milano (foto di Silvia Calderone)

Da sinistra: Antonio Giuseppe Malafarina, Federica Millefiorini dell’Università Cattolica e l’attrice Lella Costa al Festival delle Abilità 2020 (foto di Silvia Calderone)

Promosso dalla Fondazione Mantovani Castorina, si è tenuta il 19 e 20 settembre a Milano, la seconda edizione del Festival delle Abilità, presentato come «una festa-festival dei talenti d’arte, musica e poesia, per riscrivere l’immaginario della cultura contemporanea, per farci dimenticare il prefisso dis dalla parola disabili e promuovere una cultura dell’abilità» (se ne legga già sulle nostre pagine).
Così lo racconta uno dei partecipanti attivi della manifestazione, Antonio Giuseppe Malafarina, giornalista, poeta, “firma” del nostro giornale, nonché da ultimo, ma non ultimo, presidente onorario della Fondazione Mantovani Castorina.

Incontrare compagni di scuola che non vedevo da più di trent’anni, trovare amici virtuali che finalmente ho potuto fissare negli occhi, duettare con l’attrice Lella Costa, ritrovare le ragazze della rianimazione che mi hanno condotto alla vita dopo il tuffo in mare… La mia vita è un subbuglio d’emozioni. Portando nell’animo le persone con disabilità e le loro famiglie.
Chi vuol avere un’idea di quello che è successo al Festival può dare un’occhiata al sito dedicato cliccando a questo link. È stato un momento di intrattenimento partecipato sulle parole che Franco Bomprezzi aveva fatto proprie dal fondatore della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) Federico Milcovich, che sosteneva l’importanza di essere liberi di vivere come tutti.

Il Festival è stato animato da personaggi con disabilità e non. Fra i visitatori persone di etnie visibilmente variegate e altre “invisibilmente disabili”. Anime anagraficamente bambine e anziane solo sui documenti d’identità. C’era di tutto, c’era il mondo. Il Festival lo volevamo così.
Abbiamo parlato molto di arte, che non è secondaria se proviene dalle persone con disabilità. E la mente è tornata a Inviati speciali, la trasmissione di Rai3 ispirata al blog InVisibili del «Corriere della Sera.it», che tanto successo aveva raccolto proprio su idee simili.
Mi sto facendo prendere dalla malinconia, sentimento che per me resta un lusso, ma il Festival ci ha coinvolto come e più di quando siamo stati in TV.

Ho conosciuto Lella Costa, che ha esaltato il mio scrivere in versi. Quando un’attrice come lei, che ha letto e sviscerato chissà quante migliaia di testi, ti dice che i tuoi sono straordinari, beh, l’emozione germoglia da sé anche in una persona scevra dagli entusiasmi come il sottoscritto. Penso, si sa, che ognuno faccia quanto di meglio perché è giusto che sia così. L’elogio non è contemplato.
Con Lella Costa che ti dà spago e la dottoressa Federica Millefiorini dell’Università Cattolica in veste di critica letteraria che apprezza i tuoi versi, ti senti mezzo Claudio Bisio e mezzo Fabio Volo. Non troppo intellettuale, insomma, ma quanto basta per illuderti di esserlo. E non troppo mattatore, ma quanto basta per pensare di fare il comico in TV.

In questo turbinio di spiritosa esaltazione, sono stato felice per i miei genitori. La mia sarebbe una vita destinata a una stanza di ospedale senza di loro. Ripagarli dei sacrifici fatti per me non ha prezzo. E quando penso a loro, il mio pensiero va a tutti i familiari caregiver, che silenziosamente mi porto sulle spalle in ogni cosa che faccio.
Lo sa Davide, amico da un quarto di secolo rivisto al Festival, con il quale le chiacchierate sull’esistenza umana sono lontane nel tempo. Io impegnato a seguire il mio percorso di barriere biopsicosociali, lui con la sua famiglia di giovani in adozione. Anche questa è abilità. Specchio di diverse abilità che si sono ritrovate nel parco, intrecciandosi fra loro. Le abilità si mescolano per natura.

È venuta a trovarmi Adele, attempata bella signora che ha vissuto l’epopea del design in Italia. Come detto, nel Festival potevi trovare di tutto. Il suo apprezzamento verso il mio impegno nella vita altresì mi ha emozionato. Essere testimoni è una responsabilità. Lo fai tuo malgrado, ho detto più volte che potendo avrei scelto di non essere persona con disabilità. Ma data questa condizione, quello che sarebbe stato lo stile di vita forse anonimo di una persona qualunque, diventa qui l’emblema dell’attaccamento alla vita.
L’estrema fiducia nella società e nella consapevolezza della responsabilità di cristiano fanno più eco se sei sulle ruote. E questo incombe sulle mie azioni.

È stato bello ritrovare la nutrita rappresentanza di infermieri che mi segue a ogni appuntamento importante da quando la squadra si è occupata di me, il giorno dopo il tuffo nella disabilità. Ci vuole costanza nella cura. La cura può diventare amicizia, quanto l’amicizia può diventare cura.

Incontro Alessandra di Bergamo e Selene, conosciute sui social e per professione. E qui rifletto che se i social sono necessari per creare relazioni, gli occhi che si fondono gli uni negli altri hanno una potenza relazionale che la tecnologia oggi ancora non raggiunge. La realtà batte il virtuale, per quanto il virtuale sia ormai semplicemente un’etichetta per gli sciocchi che non ne comprendono le ricadute pratiche.

Poi Alessandra, l’amica di una vita, con la sua numerosa famiglia per un saluto veloce, quasi distratto. Il giorno dopo mi fa sussultare dicendomi che ha portato al Festival i ragazzi per metterli a contatto con i disabili. Inorridisco all’idea dei disabili come “fenomeni da baraccone”. Poi ci ripenso: ha ragione. Siamo al Festival apposta. Se non esistono abilità dequalificate a priori, è ancora tempo di far vedere che le persone con disabilità esistono nella normalità.

E poi c’è Stefano Restelli, compagno di classe che non vedo da oltre trent’anni che indico con nome e cognome. I compagni di classe si citano così. Mi aveva anticipato la sua venuta e vederci è una gioia, benché all’epoca i nostri banchi fossero agli apici opposti della classe. Mi dice che sono lo stesso di prima. Mi fa impressione: allora non è una mia convinzione che non ci sia stato un cambiamento fra il me di prima del tuffo e quello dopo. E mi propone di parlare di linguaggio in un’azienda di cui è amministratore delegato. Fanno libretti di istruzione. Non mi assumo responsabilità su eventuali libretti esplicativi in versi, si sappia.

Concludo, ora che stiamo già lavorando alla prossima edizione della festa. Cos’è stato il Festival delle Abilità? “Tu chiamale emozioni”!

La presente testimonianza è già apparsa in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Il Festival delle Abilità 2020, tu chiamale emozioni”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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