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Trattamenti dell’atrofia muscolare spinale: facciamo un po’ di chiarezza

Bimbo con SMA e socia dell'Associazione Famiglie SMA

Un bimbo con atrofia muscolare spinale insieme a una componente dell’Associazione Famiglie SMA

Nelle ultime settimane l’avvento delle nuove terapie per l’atrofia muscolare spinale (SMA) è stato al centro dell’opinione pubblica, rilevandone tutta la portata innovativa, ma anche la complessità e le numerose implicazioni che comportano. Per questo l’Associazione Famiglie SMA, che da anni rappresenta in Italia le persone con questa patologia e le loro famiglie, sente il bisogno di continuare a dare le più corrette informazioni possibili alla comunità che rappresenta e di fare chiarezza su quella che oggi viene definita una vera e propria “rivoluzione terapeutica” della malattia.
«Non esiste ad oggi alcuna cura per la SMA – dichiara innanzitutto Anita Pallara, presidente di Famiglie SMA -, ma più terapie efficaci che contrastano la degenerazione della malattia. In tal senso stiamo lavorando da mesi, accanto alla comunità scientifica, per avere dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) una rapida approvazione della terapia genica, che possa includere la fascia più ampia di popolazione possibile, garantendo la sicurezza dei pazienti».

La SMA, va ricordato, è una patologia neuromuscolare caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni, le cellule nervose del midollo spinale che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. Essa, quindi, indebolisce progressivamente le capacità motorie, rendendo difficili gesti quotidiani come sedersi e stare in piedi, controllare la testa, e nei casi più gravi deglutire e respirare.
Non esiste ad oggi alcuna cura, ma più terapie, come sottolineato da Pallara, in grado di contrastare la degenerazione dei motoneuroni. E tuttavia, pur in assenza di una cura, la ricerca scientifica ha compiuto negli ultimi anni passi in avanti notevoli.
Dal 2017, infatti, esiste per la prima volta una terapia farmacologica (Spinraza), disponibile per tutti i pazienti indipendentemente da età, peso e tipologia della patologia. Sono inoltre in corso di approvazione altre terapie (Risdiplam) e quella genica (Zolgensma). La differenza di quest’ultima, rispetto alle altre, è che essa può intervenire direttamente sul difetto genetico con un’unica somministrazione, ma al momento non ci sono studi comparativi.
Ogni terapia, va sottolineato, è tanto più efficace quanto prima viene somministrata: se assunta quando i sintomi non si sono ancora manifestati, o si sono manifestati in forma lieve, la risposta del paziente è migliore. La comunità scientifica non ha al momento elementi significativi per pensare che Zolgensma possa avere un valore addizionale rispetto ai trattamenti esistenti, ma in ogni caso le pubblicazioni scientifiche confermano che i farmaci mostrano una minore efficacia se si interviene in una fase conclamata della malattia. Non esiste pertanto una terapia efficace in assoluto, ma una risposta adatta al quadro clinico del paziente.

L’Associazione Famiglie SMA, dunque, insieme alla rete dei Centri Clinici di riferimento e alle Istituzioni, sta lavorando da mesi per rendere la terapia genica disponibile alla più ampia fascia di popolazione possibile di bambini e bambine affetti da SMA di tipo 1, la forma pià grave della malattia, sulla base delle evidenze scientifiche e nella tutela della sicurezza di ogni paziente.
«Quando l’AIFA estenderà i criteri di accesso alla terapia genica anche in Italia – afferma la presidente Pallara -, ciò che già avviene in altri Paesi, i parametri di accesso dovranno essere all’interno dei Servizio Sanitario Nazionale, senza alcun onere a carico delle famiglie, così come avviene per gli altri farmaci ospedalieri per la SMA».

Entrando ulteriormente nel dettaglio, va detto che la terapia genica per la SMA è stata approvata negli Stati Uniti per i pazienti con SMA 1 e con peso inferiore ai 21 chili. In Europa, invece, sono state date indicazioni meno specifiche sul peso (solo una raccomandazione sui 21 chili) o sull’età, scatenando reazioni preoccupate da parte dei clinici esperti del settore. La mancanza di indicazioni precise, infatti, potrebbe provocare un uso indiscriminato del farmaco, con conseguenti rischi gravi per i bambini in cui alte dosi legate ad un peso elevato potrebbero portare ad altri effetti negativi, come già accaduto con la terapia genica per altre malattie.
Sempre in Europa, per altro, sono partiti molti programmi di accesso anticipato con indicazioni simili a quelle americane o seguendo le raccomandazioni dell’EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco).
Per quanto riguarda infine l’Italia, l’AIFA, in attesa di regolamentarne l’uso, dal 17 novembre scorso ha approvato un accesso anticipato per i pazienti affetti da SMA di tipo 1 di età compresa tra 0 e 6 mesi, ovvero nell’unica fascia di popolazione per la quale esiste evidenza scientifica pubblicata in letteratura. Non esiste infatti alcuna evidenza pubblicata che riporti l’efficacia della terapia genica in bambini al di sopra dei 6 mesi, ma, sulla base di studi di sicurezza messi a disposizione dall’azienda e dei dati preliminari disponibili in seguito alla commercializzazione del farmaco negli Stati Uniti, ci sono abbastanza elementi per dedurre che la somministrazione fino a 21 chili di peso non presenti ulteriori elementi di preoccupazione sulla sicurezza.

«Oggi – concludono da Famiglie SMA – non possiamo e non vogliamo restare indietro e tutto il nostro impegno è mirato ad ottenere in Italia, come in altri Paesi europei e negli Stati Uniti, le medesime condizioni di applicazione della terapia genica». (M.R. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: gdgpress@gmail.com (Michela Rossetti).

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