Ciao Enrico, grazie della tua Amicizia

Profondo, incisivo, ironico, da sempre impegnato per i diritti delle persone con disabilità, aveva una grave malattia neuromuscolare. Enrico Lombardi, scomparso questa mattina a Livorno, era stato Presidente della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) dal 2001 al 2004 e a lungo direttore editoriale di «DM», la rivista dell’Associazione. Ma soprattutto era un Amico Vero anche per la nostra redazione. Nel suo testo del 2005, che qui pubblichiamo, ove raccontava il suo “primo giorno di libertà”, grazie a un assistente personale, ne emerge con nettezza tutto lo spessore umano

Enrico Lombardi e Simona Lancioni

Enrico Lombardi durante un viaggio a Parigi, insieme alla compagna Simona

Profondo, incisivo, ironico, da sempre impegnato per i diritti delle persone con disabilità, aveva una grave malattia neuromuscolare sin dalla nascita. Aveva presieduto la UILDM di Livorno (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e poi era stato Presidente Nazionale della stessa UILDM dal 2001 al 2004 e anche a lungo direttore editoriale di «DM», la rivista dell’Associazione. Ma soprattutto, per chi scrive, era un Amico Vero. Enrico Lombardi è mancato questa mattina. Un enorme abbraccio va alla compagna Simona e alla mamma, insieme alla vicinanza della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e di tutto il movimento delle persone con disabilità.
Quello che pubblichiamo qui di seguito è un suo editoriale pubblicato nel 2005 da «DM», ove raccontava quando divenne datore di lavoro del suo assistente personale, ovvero parlava del suo “primo giorno di libertà”. Un testo in cui emerge con nettezza tutto il suo spessore umano.
Ciao Enrico. Grazie della tua Amicizia. (Stefano Borgato)

Il primo giorno di libertà
di Enrico Lombardi*
C’è una strana sensazione in me oggi. Chi mi conosce sa che non riesco mai a godere in pieno delle mie vittorie, degli obiettivi raggiunti, degli obiettivi raggiunti. Neppure in questo giorno. Fra pochi minuti entrerà nella mia stanza il mio assistente personale che mi aiuterà a salire sulla carrozzina, ad indossare la giacca, spegnerà computer e luci, mi accompagnerà alla mia auto aiutandomi a salire e quindi al lavoro.
Tutto sommato niente di nuovo, del resto da sempre, per compiere queste azioni – ma anche tutte le altre che caratterizzano la mia vita – devo usufruire dell’aiuto di qualcuno. Questa volta però la persona che mi aiuterà non lo farà per un legame affettivo nei miei confronti o più semplicemente per farmi un favore. Lo farà perché è il suo lavoro. Ancora più precisamente sarò io ad essere il suo datore di lavoro.
Forse è proprio questo a lasciarmi addosso questa sensazione di disagio. In tutti gli incontri a cui ho partecipato, in tutti gli articoli che ho letto, che avevano per oggetto l’argomento della vita indipendente e dell’assistenza personale autogestita, veniva messo in evidenza il fatto che subito dopo l’ottenimento del finanziamento necessario, la grande difficoltà sarebbe stata rappresentata dall’affrontare in maniera del tutto diversa la propria vita.
Innanzitutto verranno a cadere diversi alibi. Diventerà difficile, ad esempio, rifiutarsi di andare in qualche posto, adducendo come motivazione il fatto di non aver nessuno come accompagnatore. Dovrò mio malgrado aggiornarmi sul prezzo del pane, della latte, della carne e capire finalmente quanto costa la vita. Dovrò, magari sperando nell’indulgenza degli altri clienti, affrontare le varie file alla posta, al supermercato, alla banca e altrove.
Insomma non potrò più crogiolarmi nel “dolce far niente” che ha accompagnato la mia vita fino a questo momento. Anche perché quella “canaglia” del mio assistente personale non viene pagato per non fare niente. Dunque, dopo una vita di eterna beatitudine, sarò, mio malgrado, costretto a scoprire che cosa significa assumersi le proprie responsabilità. Già.
Altro aspetto sarà proprio quello riguardante il mio rapporto con l’assistente personale. Mi chiedo allora se riuscirò a fare in modo che la nostra relazione si mantenga su di un piano strettamente lavorativo, dove io impartirò le istruzioni per l’uso, secondo le mie necessità, i miei gusti personali e le mie tendenze.
Ad esempio, chi sceglierà la musica da ascoltare in auto? Oppure che cosa succederà se vorrò andare a vedere un film di un genere che lui proprio non sopporta? Riuscirò ad impormi oppure cercherò qualche sorta di compromesso? Riuscirò a trattarlo, secondo una definizione che ho sempre ritenuto terribile, alla stregua di un “ausilio umano”?
Sono sempre stato piuttosto abile nell’intrecciare relazioni umane, nel fare in modo che all’altro la mia disabilità non pesasse. Ad esempio ricordo che alle scuole elementari e alle medie accompagnarmi in bagno era una specie di festa, una sorta di privilegio. Così come alle scuole superiori rappresentava un escamotage per stare fuori dalla classe per un bel po’ di tempo.
Insomma, a parte alcuni casi, ho sempre cercato di dare qualcosa in cambio, un favore, un vantaggio a coloro che in qualche modo mi sono stati d’aiuto. E a pensarci bene non si trattava solo di riconoscenza.
C’era anche, difficile dire se prevalente o meno, una componente di egoismo. L’ho sempre chiamato, non trovando altra definizione, istinto di sopravvivenza. Probabilmente si tratta di un elemento presente in tutti i rapporti umani e che in alcune persone, forse soprattutto in chi ha una qualche disabilità, si sviluppa o comunque si nota maggiormente. La vera abilità, che costa molta fatica, è riuscire a bilanciare riconoscenza ed egoismo.
Kant sosteneva che il primo passo per godere della libertà è rappresentato dall’assunzione di responsabilità. Chissà se dopo una vita “da irresponsabile” sarò all’altezza della situazione. Intanto meglio iniziare a prepararsi visto che fra un po’ qualcuno busserà alla mia porta.

*Per gentile concessione di «DM», rivista della UILDM Nazionale.

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