Resilienza, quanti delitti si commettono in tuo nome!

«Solo un vecchio caregiver – scrive Giorgio Genta con l’abituale taglio ironico – può parlar male non della resilienza, ma dell’abuso spropositato che ormai si fa di questo termine. E fa anche ridere amaramente sentirla in bocca a leader politici che sino a ier l’altro consideravano le persone con disabilità “improduttive” e quindi “dannose alla società”. Frattanto i poveri caregiver debbono sobbarcarsi immani fatiche burocratiche per tentare di salvare un sussidio illecitamente vincolato alla presentazione dell’ISEE familiare, malgrado la Suprema Corte di Cassazione la pensi diversamente…»

Mulo che trasporta dei computer, affiancato da due uomini

Più di una volta, nel nostro giornale, Giorgio Genta, anch’egli caregiver familiare da molti anni, ha paragonato questa attività a quella di un mulo da soma

Sì, lo so: è come parlar male di Garibaldi, nessuno osa farlo. Solo un vecchio caregiver può farlo, può parlar male non della resilienza, virtù tipica del ceto umano al quale appartiene (il “ceto caregivers” è parecchi livelli al di sotto del famoso ceto medio, oggi assai in disgrazia), ma dell’abuso spropositato che ormai si fa di questo termine.

Resilienza è una parola seria, se usata con parsimonia, che trae origine da un termine tecnico usato in fisica per indicare la resistenza di un materiale che si oppone ad una forza che tende ad alterarne lo stato. Nel lessico delle persone con disabilità, in ispecie dei gravissimi e dei loro caregiver, significa semplicemente «mi piego ma non mi spezzo e dalle avversità traggo forza».
Fa un po’ ridere e tanta rabbia sentirla in bocca a dei leader politici che sino a ier l’altro consideravano le persone con disabilità “improduttive” e quindi “dannose alla società”.
Fa un po’ piangere, come piangeva la “decollanda” Madame Rolande (colei alla quale stavano per tagliare la testa) sulla carretta che la portava al patibolo, quando davanti alla Statua della Libertà – quella parigina non quella di New York – pronunciò la sua celeberrima frase, «O Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!», parafrasata nel titolo di questo articoletto.

Altrettanto copiosamente piangono i poveri caregiver che debbono sobbarcarsi immani fatiche burocratiche quali inanimati call-center, segreterie telefoniche, accessi telematici intasati e molti altri muri di gomma assai più resistenti e longevi quello di Berlino. Il tutto per tentare di salvare un sussidio illecitamente vincolato alla presentazione dell’ISEE familiare, malgrado la Suprema Corte di Cassazione la pensi diversamente.
Per ottenere l’ISEE occorre riuscire ad accedere ad un blindatissimo CAF previo appuntamento da richiedere telefonicamente (ahi, ahi!) uno-due mesi prima, muniti di copiosa documentazione.
Gli dei misericordiosi (a volte dimentico di essere agnostico) hanno fatto sì che nel mio caso la gentile operatrice sindacale del CAF fosse una lettrice fedele dei miei piccoli libri e pare mi invierà l’ISEE a domicilio via mail tra pochi giorni.
Le ho donato una copia del mio Guardiano di notte, testo privo di valore commerciale e pertanto non incorro in corrutela alcuna.

Vecchio caregiver di ABC Liguria (Associazione Bambini Cerebrolesi, abcliguria@gmail.com) e di Associazione DopoDomani.

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