Prima e dopo il 2 Aprile

«Penso – scrive Gianfranco Vitale, padre di un uomo con autismo – che non possa essere la retorica ridondante di una giornata come quella del 2 Aprile, a cambiare il senso degli altri 364 giorni dell’anno, segnati dall’isolamento e dall’abbandono, nostro e dei nostri figli. La realtà che viviamo poco ha in comune con la “festa” e la “celebrazione”. Se non assumiamo consapevolezza del nostro ruolo, possiamo essere certi che passata l’ubriacatura del 2 Aprile, i problemi si ripresenteranno il giorno dopo in tutta la loro gravità, drammaticità, complessità»

Giovane con disturbo dello spettro autistico

Un giovane con disturbo dello spettro autistico

Della ricorrenza del 2 Aprile, Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo, confesso di non apprezzare l’enfasi e la crescente connotazione simbolica. Le trovo tanto più inadeguate e stridenti se messe in relazione alla drammatica realtà di chi, direttamente o indirettamente, vive l’autismo.
Penso che non sia la retorica ridondante di una giornata a cambiare il senso degli altri 364 giorni dell’anno, segnati, come ben sappiamo, dall’isolamento e dall’abbandono, nostro e dei nostri figli. La realtà che viviamo poco ha in comune con la “festa” e la “celebrazione”.

Mentre si rinnova puntualmente il rito di immancabili articoli e interviste autopromozionali, unito a quello di irrinunciabili vetrine editoriali, di luccicanti rassegne cinematografiche, di “zone blu” eccetera, mi si consenta di ricordare che per il secondo anno consecutivo tante donne e uomini autistici “festeggeranno” questa data segregati tra le mura di RSD e RSA [Residenze Sanitarie Disabili e Residenze Sanitarie Assistite, N.d.R.], lontani dai loro familiari e dai loro affetti: ritengo vergognoso che quasi nessuno, in mezzo a tanto clamore, denunci questa aberrante discriminazione.

Mi sfugge poi come una giornata così simbolica, che si vorrebbe dedicata alla “consapevolezza” dell’autismo, possa essere condivisa (anche) con quelle stesse Istituzioni che poco o nulla mostrano di altrettanto “consapevole” nei confronti dei nostri cari, durante i restanti 364 giorni.
Le condizioni dei nostri figli non solo non sono significativamente migliorate, ma l’implacabile scorrere del tempo – certo non un alleato dei nostri cari né di noi genitori – le ha semmai aggravate.
A me pare che le famiglie, la gran parte di loro per lo meno, continuino a soffrire in modo drammatico per l’assenza di servizi e interventi appropriati, per la carenza di Centri multidisciplinari sui territori, per la scarsità di risorse e investimenti nella ricerca… Per la netta prevalenza, nell’approccio all’autismo, del deleterio e anacronistico “modello di cura” psichiatrico… Per la mancanza di vera presa in carico. Per l’insufficiente numero di comunità e strutture dedicate… Per il vergognoso deficit di politiche mirate a favore degli autistici adulti… Per tanto altro… O non è così? O bastano alcune sporadiche buone prassi per smentire il dato generale?
Ma allora: perché non trasformare il 2 Aprile in un’occasione di protesta generale (e di proposta)?

Trovo stucchevole la mancanza di autocritica. Ancor peggio l’abitudine di scaricare sugli altri una lunga sequenza di errori commessi nel corso degli ultimi anni, per impedire i quali, in futuro, il dibattito dovrà necessariamente non cristallizzarsi, aprirsi al confronto, favorire la partecipazione, perché solo questo può innescare processi di cambiamento realmente virtuosi.
Per quanto riguarda le famiglie, penso che limitarsi a criticare le Associazioni sia fin troppo comodo. Serve a niente, è eticamente sbagliato. Non bisogna restare alla finestra, né delegare. Quello che si deve fare – mettendoci la faccia – è lottare ogni giorno, per diventare protagonisti e protagoniste in prima persona.
Ecco perché sarebbe quanto mai importante che il 2 Aprile non fosse la vetrina mediatica in cui rischia di trasformarsi anche quest’anno, a beneficio dei soliti noti, ma diventasse il momento più alto di una lotta di respiro ben più ampio, capace di coniugare e fondere la sacrosanta rivendicazione dei diritti primari che ci sono dovuti, che per niente al mondo vanno elemosinati, con il rispetto della dignità dei nostri figli, che non possono impunemente continuare ad essere marginalizzati e discriminati.

Resto perplesso circa l’utilità di lettere, appelli e petizioni, pur sacrosante, perché temo che più che raggiungere le alte cariche dello Stato prendano la direzione dei loro cestini, diventando purtroppo carta straccia… Penso invece che sia quanto mai urgente porsi l’obiettivo di una mobilitazione generale.
Non capisco perché anche in queste ore i lavoratori di Amazon, di Alitalia, i rider, i “No DAD” [Didattica a Distanza, N.d.R.] eccetera, scendano in piazza per rivendicare giustamente le loro ragioni e lo stesso obiettivo non se lo pongano Associazioni che sostengono di essere rappresentative di centinaia di migliaia di caregiver sempre più provati e soli.
Se non assumiamo consapevolezza del nostro ruolo, possiamo essere certi che passata l’ubriacatura del 2 Aprile, i problemi si ripresenteranno il giorno dopo in tutta la loro gravità, drammaticità, complessità. Senza un cambio di passo ne saremo corresponsabili.
Il fatalismo, la rassegnazione, la sottomissione portano solo alla sconfitta. Dobbiamo reagire prima che sia troppo tardi. Lottiamo per il cambiamento. Nel rispetto reciproco, nella chiarezza e condivisione dei contenuti e delle strategie, saremo più forti.

Questo contributo è dedicato alla memoria di Sonia Zen.

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