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Come tagliare i capelli ai ragazzi con autismo e ricevere… un cinque

Christian Plotegher

Christian Plotegher, nel suo Salone “Barber Factory 1975” di Rovereto (Trento)

Comincia a Costa di Folgaria (Trento) e arriva fino al Quirinale la bella storia di solidarietà, sensibilità e impegno civile di Christian Plotegher. Il barbiere – 45 anni, titolare del Salone Barber Factory 1975 di Rovereto (Trento) – è stato infatti insignito a fine 2020 dal presidente della Repubblica Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica «per il contributo nella realizzazione di ambienti della vita quotidiana accessibili e inclusivi anche per ragazzi con disabilità».

Tutto ha avuto inizio due anni fa…
«Esatto. Mi ero da poco messo in proprio, quando entrarono in salone Barbara e suo figlio Tommaso. Lei mi spiegò che il piccolo era autistico e che tagliargli i capelli non sarebbe stato facile. Per lui, infatti, luci, rumore e musica erano una tortura, perché lo iperstimolavano. Proprio per questo, in alcuni Paesi come gli Stati Uniti, i centri commerciali prevedono “l’ora di quiete”, durante la quale tutti i possibili fattori scatenanti vengono eliminati per favorire l’accesso delle persone autistiche [ne sono state promosse alcune sperimentazioni anche in Italia. Se ne legga ad esempio sulle nostre pagine a questo link, N.d.R.]. Adottai anche io lo stesso sistema e quando Tommaso fu pronto, mi accorsi che alla sua mamma brillavano gli occhi di una felicità che non avevo mai visto in nessuno».

Così decidesti di introdurre stabilmente “l’ora di quiete” nel tuo negozio?
«Sì, il martedì sera. Misi un annuncio su Facebook. All’inizio i bambini erano pochi, poi – un po’ con il passaparola e un po’ grazie all’aiuto di un articolo sul sito di Fanpage – cominciarono ad aumentare. Anche alcuni parrucchieri mi chiamarono, chiedendo informazioni per replicare la proposta nelle rispettive città».

Tu, infatti, hai inventato un “metodo di taglio” tutto speciale. Come funziona?
«Nasce dal confronto con le famiglie dei bambini autistici, con gli educatori che li seguono e con Simone Stabilini, docente di Tecnologie dell’Istruzione per l’Autismo all’Università Cattolica di Milano.
Innanzitutto, appena inizia “l’ora di quiete”, abbasso le luci e spengo la musica. Poi, quando i ragazzi arrivano, mostro loro sei o sette fotografie che descrivono quello che andremo a fare, passo dopo passo. Infine, taglio solo con la forbice per evitare il rumore della macchinetta e pettino piano, come accarezzando la testa».

La soddisfazione più grande?
«Quando i ragazzi mi danno il cinque guardandomi negli occhi. Un gesto che può sembrare scontato, ma che per loro so essere un grande sforzo e soprattutto un atto di fiducia. E poi la gioia di poter regalare alle famiglie la serenità di vivere un momento di assoluta normalità. Mi intristisce sapere che vivono tutto il giorno in ansia all’idea che il figlio potrebbe rompere qualcosa muovendosi e che spesso ristoranti e negozi non li accolgono volentieri. Invece appena arrivano da me, spiego che tutto quello che c’è in negozio si può osservare, toccare, spostare. E se si rompe… pazienza!».

Da dove arrivano queste famiglie?
«Un po’ da tutta Italia, Brescia, Torino, Mantova, Modena. Ricordo un sabato mattina di dicembre, mi telefonò un papà chiedendo quando avevo tempo per tagliare i capelli al figlio. La mia lista d’attesa è un po’ lunga, perciò risposi che potevo solo dopo l’Epifania. Allora lui disse che il ragazzo era autistico e io spiegai che in quel caso mi sarei fermato la sera stessa dopo chiusura. Riagganciò dicendo: “Allora partiamo subito da Milano”. Mi agitai tutto il giorno, perché avevo paura di fargli fare il viaggio a vuoto. E invece andò tutto bene. Anzi, la mamma scrisse una lettera di ringraziamento sul suo blog e così capii che stavo percorrendo la strada giusta, perché il mio lavoro mi dà soddisfazione, ma questa sorta di volontariato nel campo dell’autismo mi riempie di affetto. Mi fa sentire utile, in pace col mondo».

E quando è arrivata la telefonata dal Quirinale cos’hai pensato?
«Che fosse uno scherzo. Poi ho capito che era tutto vero e spero che grazie a questa onorificenza ancora più persone possano scoprire e applicare nei relativi ambienti di lavoro “l’ora di quiete”. A volte basta davvero poco per far vivere a una persona con disabilità un’esperienza, come andare dal parrucchiere o in pizzeria, che per noi è ordinaria e che invece a lui o a lei sembra eccezionale!».

Il presente servizio è stato pubblicato da «pro.di.gio.», rivista dell’Associazione Prodigio di Trento. Viene qui ripreso – con minimi riadattamenti dovuti al contesto – per gentile concessione.

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