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Storie di montagna, di accessibilità, di tutela dell’ambiente e di pregiudizi

Persona con joelette in un sentiero di montagna

Una persona con disabilità in montagna, sulla speciale carrozzina joelette

La montagna è probabilmente l’ambiente che più costringe chi la frequenta a misurarsi con i propri limiti. Limiti tecnici (sono in grado di salire su quella ferrata?), limiti fisici (sono in grado di superare un dislivello di mille metri in una sola giornata di cammino?), limiti che hanno a che fare con la cognizione dello spazio (sono in grado di arrivare alla meta senza perdermi?). Per non parlare della stanchezza, della fatica di camminare sotto l’acqua, quando si viene colti da un temporale improvviso, del peso dello zaino che sembra aumentare ora dopo ora.

La risposta è differente per ciascuno. Ci sono sportivi capaci di affrontare maratone in alta quota e persone che si dichiarano soddisfatte dopo un’ora di cammino, ma solo se non devono affrontare troppe salite. Ci sono persone che non riuscirebbero mai ad affrontare un’arrampicata o una ferrata (io sono tra queste). E c’è chi si arrampica a mani nude sulle pareti delle Grigne [massiccio montuoso alpino in provincia di Lecco, N.d.R.] come se nulla fosse.
Pochissimi, però sarebbero in grado di godersi una bella gita in piena sicurezza senza l’apposita segnaletica, curata e costantemente aggiornata dal Club Alpino Italiano. Nessuno potrebbe apprezzare la montagna, se non ci fosse chi, ogni anno, si occupa della manutenzione dei sentieri e dei ponti che permettono di superare torrenti e crepacci.
Pochissimi sarebbero in grado di raggiungere i luoghi più belli delle Alpi – per sciare o per un’escursione -, se non ci fossero funivie o impianti di risalita, che in pochi minuti permettono di superare centinaia di metri di faticosa salita per godersi “il cuore” della montagna. Quello più incontaminato. E c’è anche chi “imbroglia” e dopo avere parcheggiato la macchina, paga una jeep o una navetta per arrivare ancora più in alto e trascorrere un pomeriggio sotto i ghiacciai, scattare qualche foto e mangiare un buon piatto di polenta.

Come ha scritto giustamente Iacopo Melio in un articolo pubblicato da «Vanity Fair», «ci scontriamo tutti, prima o poi, con qualcosa di insormontabile, davanti al quale dovremmo fare retromarcia». Ma dove si fissa, esattamente, questo limite? Senza sentieri, senza segnaletica e senza seggiovie le montagne sarebbero ambienti molto meno accoglienti e ancora meno accessibili a tanti “cittadini” che nel fine settimana o durante le vacanze raggiungono le valli alpine per dedicarsi ad arrampicate, trekking e discese sulle piste da sci.
Ma soprattutto: perché questi limiti dovrebbe valere solo ed esclusivamente per le persone con disabilità?
Sentieri, segnaletica, ferrate, funivie, impianti di risalita, jeep che fanno la spola da un rifugio all’altro rientrano (con diverse gradazioni) tra le varie tipologie di interventi che gli esseri umani da circa duecento anni a questa parte hanno messo in atto per arrivare a toccare le vette. Anche un semplice sentiero è un segno antropico: il segno che lì è passata la mano dell’uomo. Senza quella mano, lì sarebbe rimasto un campo o una pietraia. Incontaminati. Senza questi interventi pochissime persone sarebbero in grado di “superare i propri limiti”, come auspica Iacopo Melio. E sarebbero costretti a restare a fondovalle.

Di nuovo Iacopo Melio invita «a capire prima di tutto quando è giusto fermarsi davanti a delle forzature», per evitare che l’intervento umano vada a danneggiare irreparabilmente un ambiente naturale bellissimo e (quasi) incontaminato.
Il progetto messo a punto dall’ERSAF Lombardia [Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste), per rendere accessibile alle joelette [speciali carrozzine progettate per affrontare in particolare i sentieri di montagna, N.d.R.] uno dei sentieri della Val di Mello in provincia di Sondrio, aveva raggiunto un punto di equilibrio: dopo la protesta e la mobilitazione delle Associazioni impegnate nella tutela dell’ambiente e dopo l’interlocuzione con le Associazioni di persone con disabilità del territorio [se ne legga su queste stesse pagine a questo e a questo link, N.d.R.], si era arrivati alla stesura di un progetto condiviso che non ha visto la “strumentalizazione” pietistica delle persone con disabilità, ma, al contrario, una piena e attiva partecipazione delle Associazioni che vivono quel territorio, persone che amano la Val di Mello e vorrebbero viverla in condizioni di parità con gli altri (ovviamente laddove possibile).

Da ultimo, una riflessione personale. Negli ultimi cinquant’anni, nel complesso esercizio di bilanciamento tra “accessibilità” della montagna (ai turisti) e tutela dell’ambiente, è stata più spesso la prima a vincere. Gli ingorghi stradali nei fine settimana, i parcheggi selvaggi all’imbocco delle valli, le masse di turisti ineducati all’approccio con la natura che non si curano minimamente di riportare a casa i propri rifiuti sono solo alcuni “sintomi” di quanto questo rapporto sia sbilanciato.
Sorprende, quindi, che a finire su importanti testate nazionali (oggi come due anni fa) sia un intervento oggettivamente piccolo, sia in termini di impatto ambientale sia in termini di spesa, ma che va a intervenire sull’accessibilità per una specifica categoria di persone. Quelle con disabilità.
Non vorrei che dietro questo accanimento ci fosse un “pre-giudizio”, l’idea, cioè, che “tanto i disabili (sic) non lo usano”. Perché, si sa, i disabili (sic) non vanno da nessuna parte, se ne stanno a casa o al massimo passano il pomeriggio al centro diurno a fare modellini con la creta. Perché non può mai essere che una persona con disabilità possa avere passioni e interessi, o semplicemente il desiderio di trascorrere un pomeriggio in compagnia degli amici, passeggiando nella meravigliosa Val di Mello.

Il presente contributo è già apparso nella testata «Persone con disabilità.it» e viene qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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