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Una delle tante conseguenze di ciò che sta accadendo in Afghanistan

Ragazza afghana sorda

Una ragazza della scuola per bambini, bambine, ragazzi e ragazze sordi di Kabul in Afghanistan

«Quando tutto sembra distrutto e pare non esserci più speranza, la Vita riparte; riparte da una Donna!»: lo si legge nel sito della Fondazione Pangea, e «la vita riparte da una Donna» è anche la frase che compare nel logo, sotto la denominazione dell’Ente, a sottolineare sin da subito l’attenzione alle questioni di genere, ai diritti umani, fino ad estendersi anche ad altre fragilità.

Pangea ha sede a Milano, ma, oltre che in Italia, opera, con dei propri progetti, in India e in Afghanistan. Con il ritiro degli Stati Uniti e la presa del potere da parte dei talebani, la situazione in Afghanistan è diventata incerta e pericolosa, ma Pangea, che dal 2003 opera a Kabul, capitale del Paese, non abbandonerà quel luogo e continuerà a lavorare per le donne e i loro bambini, anche se inevitabilmente sta già rimodulando il proprio progetto in funzione dell’emergenza che si sta venendo a creare.

A rischio è anche la scuola per bambine e bambini sordi, un progetto che Pangea sostiene da tempo, e che è gestita dall’ANAD (Afghanistan National Association od the Deaf, l’Associazione Nazionale Afghana dei Sordi).
La scuola è nata nel 2004 su iniziativa di un gruppo di giovani donne e uomini sordi che, dopo avere lottato per un decennio, ha ottenuto il terreno dalla Municipalità di Kabul sul quale ha edificato la scuola stessa.
Localizzata ad Arzan Quemat, un quartiere periferico di Kabul, è frequentata da circa 500 alunne e alunni sordi, di età variabile dai 3 ai 18 anni, e tra insegnanti e personale dirigente impiega 35 donne e 15 uomini dedicati e competenti, anch’essi in parte sordi. Un breve filmato, messo online nel 2017, dà un’idea del clima e delle attività svolte nella scuola.

Ebbene, da alcuni giorni, ossia da quando i talebani hanno iniziato ad avvicinarsi a Kabul, la scuola è vuota. Insegnanti e studenti «oggi sono chiusi in casa e hanno paura. Non riusciamo a entrare in contatto con loro e con le famiglie, anche perché la sordità complica ulteriormente le comunicazioni. Riceviamo notizie dagli operatori e stiamo cercando di far evacuare almeno qualcuno. Per ora, sono tutti ancora lì», ha raccontato con tristezza e preoccupazione Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea, in un’intervista rilasciata a «SuperAbile», il portale dell’INAIL.
«Conosco l’ANAD dal 2003, cioè da quando ho iniziato a lavorare in Afghanistan con Pangea – ha raccontato ancora Lanzoni –, è un’organizzazione composta principalmente da persone sorde. All’epoca ci lavorava anche una donna, morta qualche mese fa, che pure nel periodo dei talebani aveva fatto da ponte e messo tutto il suo impegno per creare condizioni di vita migliori per gli afgani sordi, a partire dai più giovani: alla fine, l’Associazione era riuscita a ottenere un terreno e su questo era stata edificata la scuola. Una struttura enorme con tanto terreno intorno: molto più che una scuola, perché lì si imparava non solo a leggere, scrivere e contare, ma ci si preparava a entrare nella società, acquisendo strumenti utili per entrare in relazione col mondo».

La condizione di emarginazione delle persone con disabilità in Afghanistan è drammatica, e l’obiettivo della scuola, spiega Lanzoni in un altro passaggio dell’intervista, «era dare strumenti per facilitare l’inclusione: non solo l’istruzione, ma anche attività sportive, fondamentali soprattutto per le ragazze, o formazione professionale per i più grandi, per accompagnarli nella ricerca di un lavoro. E poi, altro elemento non trascurabile, la scuola garantiva ogni giorno a tutti questi bambini e ragazzi un pranzo e una merenda, che per molti erano gli unici pasti della giornata».
Ma con l’arrivo dei talebani, raggiungere la scuola è diventato complicato e pericoloso anche perché «la zona è peraltro particolarmente invisa ai talebani. Ora tutti, insegnanti, studenti e personale scolastico, sono chiusi in casa e la preoccupazione è molto alta: chi è sordo non ha parole per difendersi, né per chiedere aiuto. Io credo che i talebani occuperanno presto quella struttura, che per la posizione e le dimensioni può essere preziosa per loro. Noi continuiamo a fare tutto il possibile per restare in contatto con i nostri colleghi e amici e assicurarci che siano al sicuro», ha concluso Lanzoni. (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcune modifiche dovute al diverso contenitore, per gentile concessione.

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