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In piazza per le donne con e senza disabilità dell’Afghanistan

Giocatrici di basket in carrozzina afghane

Giocavano a basket in carrozzina, le giovani dell’Afghanistan, ma ora i talebani hanno definito lo sport femminile come «immorale e non necessario»

Tull Quadze che in pashtu – lingua afghana e pakistana – significa Tutte le donne”: si chiamerà così la manifestazione promossa per il pomeriggio di domani, 25 settembre, in Piazza del Popolo a Roma (ore 14), dalle donne dell’Assemblea delle Magnolie, per manifestare la propria vicinanza a fianco delle donne afghane e affermare che «la rivoluzione della cura può salvare il mondo e costruire il futuro» (se ne legga approfonditamente a questo link, che elenca anche le numerose adesioni all’iniziativa).
Alla manifestazione parteciperà anche Silvia Cutrera, donna con disabilità e nota attivista per i diritti di tutte le ragazze e le donne con disabilità, che qui di seguito spiega dettagliatamente le ragioni della sua adesione.

È del 2020 il rapporto di Human Rights Watch [se ne legga già ampiamente sulle nostre pagine, N.d.R.] dedicato alle donne e ragazze con disabilità in Afghanistan dal significativo titolo La disabilità non è debolezza: discriminazioni e barriere affrontate da donne e ragazze con disabilità in Afghanistan. Tale rapporto – disponibile integralmente (in inglese) a questo link – descriveva in dettaglio le barriere quotidiane che le donne e ragazze afghane con disabilità affrontano in uno dei Paesi più poveri del mondo. Decenni di conflitti hanno decimato le istituzioni governative e gli sforzi per lo sviluppo non sono riusciti a raggiungere molte delle comunità più bisognose. Dal canto suo, il governo afghano avrebbe dovuto provvedere urgentemente con politiche e pratiche mirate a garantire alle donne e alle ragazze con disabilità di godere dei loro diritti fondamentali, dalla salute all’istruzione al lavoro.

L’Afghanistan è un Paese che ha, pro capite, la più grande popolazione di persone con disabilita al mondo. Più di quattro decenni di guerre hanno lasciato milioni di afghani con arti amputati, disabilità visive o uditive, depressione, ansia o stress post traumatico. I servizi sanitari afghani, con risorse insufficienti, non sono riusciti a soddisfare i bisogni di questa popolazione e le donne le ragazze con disabilità hanno avuto molte meno probabilità di ottenere pari opportunità e assistenza.
Nel citato rapporto di Human Rights Watch si evidenzia la gravità della situazione in cui vivono le donne con disabilità esposte al rischio di subire violenza: i funzionari del Governo hanno molestato sessualmente le donne con disabilità, in occasione delle richieste agli Uffici Ministeriali per ricevere il sussidio di invalidità. Poche donne, specialmente quelle con disabilità, hanno denunciato i responsabili a causa dello stigma (quello di non essere credute) associato a questo tipo di abuso.
Si stima poi che l’80% delle ragazze con disabilità non siano iscritte a scuola. La resistenza delle scuole ad accogliere i bambini con disabilità, la mancanza di mezzi di trasporto dedicati e la riluttanza delle famiglie a mandare a scuola i bambini con disabilità sono i principali fattori che impediscono loro di frequentare la scuola e le ragazze con disabilità hanno molte più probabilità di essere tenute a casa da scuola a causa delle barriere culturali e socio economiche.
E ancora, le donne e le ragazze afghane con disabilità sono spesso socialmente isolate, umiliate in pubblico e all’interno delle loro stesse famiglie, perché considerate una fonte di vergogna per la famiglia; viene quindi negato loro l’accesso agli spazi pubblici e agli eventi sociali della comunità o della famiglia.

La presa di potere dell’esercito talebano ha peggiorato la condizione delle donne, limitandone libertà fondamentali come il diritto all’istruzione, alla mobilità e alle scelte personali.
In un’intervista del Vicecapo della Commissione Cultura, lo sport femminile è stato definito come «immorale e non necessario».  Un brutto colpo anche per le quaranta ragazze con disabilità che erano riuscite a partecipare alle specialità del basket in carrozzina.
Ma i pericoli riguardano la stessa sopravvivenza delle donne e delle persone con disabilità per le quali dovrebbe essere creato un visto speciale verso i Paesi europei.
A lanciare l’allarme è stata Benafsha Yaqoobi, un’attivista per i diritti umani non vedente. Riuscita a fuggire da Kabul durante l’evacuazione, da Londra denuncia che «ci sono milioni di persone con disabilità senza alcun supporto e mancanti di cibo, vestiti, assistenza, e senza i più elementari diritti. Dobbiamo far sentire la loro voce». La sua paura è che «i talebani trascureranno e discrimineranno le persone con disabilità a causa anche della credenza che la disabilità sia una punizione di Dio per i peccati commessi dai genitori delle persone con disabilità. Ma ora è urgente aiutare chi è rimasto in Afghanistan: le persone stanno morendo di fame e cercando di andarsene».

Sara Katz, un’attivista sorda freelance scrive su «The Nation» che le organizzazioni afghane di attivisti con disabilità per i diritti umani sono a rischio per avere ricevuto sovvenzioni dagli Stat Uniti e per l’accusa di essere «spie degli americani. In realtà molti attivisti hanno lavorato per rendere accessibili servizi di riabilitazione e abbattere le numerose barriere architettoniche».
«Nel passato – ha aggiunto – alcuni afghani con disabilità sono stati reclutati dai talebani per diventare “attentatori suicidi”. Secondo infatti le autopsie eseguite sui resti degli attentatori a Kabul tra il 2004 e il 2007 più dell’80% di loro era una persona con disabilità o un malato cronico. Emarginati e considerati incapaci di lavorare, per aiutare economicamente le loro famiglie, sono diventati attentatori suicidi».

Per tutti questi motivi invitiamo tutti e tutte a partecipare alla manifestazione di Roma del 25 settembre a fianco delle donne dell’Afghanistan.

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