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Il caos non può certo far bene all’inclusione scolastica

Alunno in carrozzina e professoressaPochi giorni fa il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) ha espresso il proprio Parere sullo schema di Decreto del Ministro dell’Istruzione Centri territoriali di supporto (CTS), ai sensi dell’articolo 9, comma 2-bis del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, nonché sullo schema dell’altro Decreto Gruppo per l’Inclusione Territoriale (GIT), ai sensi dell’articolo 15, comma 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Gli aspetti più interessanti di questi autorevoli Pareri possono riassumersi così:
1. «Il CSPI rileva che le modifiche apportate dal d.lgs. 7 agosto 2019 n.96 al d.lgs. 13 aprile 2017 n. 66, in particolare all’art. 9 comma 1, che interviene sull’art. 15 della L. 104/92, hanno creato una proliferazione di organismi con una sovrapposizione di competenze, di ruoli e di funzioni che, invece di semplificare, rendono caotica la governance territoriale dell’inclusione».
2. «Considerate le finalità, la complessità e l’importanza degli interventi e dei compiti affidati al GIT e al CTS è necessario prevedere che i docenti assegnati possano usufruire quantomeno di forme di parziale esonero dall’insegnamento [grassetti redazionali, N.d.R.]».

Da parecchi anni i Centri Territoriali di Supporto (d’ora in poi CTS), e in modo particolare quelli romani, hanno denunciato negli incontri con i responsabili del Ministero, nei convegni e nei seminari, in documenti e articoli pubblicati su testate specializzate in àmbito di scuola e di inclusione, questo grave problema che appesantisce e rende caotica tutta la gestione della governance scolastica: una normativa che crea organismi con sovrapposizione di competenze, organismi che spesso hanno potuto operare per un breve ciclo di finanziamenti attraverso bandi, ancor più spesso dimenticati e abbandonati a se stessi, con dispregio di competenze, esperienze e fondi investiti nella formazione dei loro operatori.

In sostanza, tra gli istituti scolastici e l’amministrazione centrale si sono creati una serie di organismi senza per altro un vero monitoraggio del loro funzionamento, senza il riconoscimento nei confronti dei responsabili degli stessi, i Dirigenti Scolastici, e nei confronti di chi, spesso senza alcun esonero dal lavoro scolastico (perché ciò ha caratterizzato una differenza casuale, legata solo alla regione di appartenenza), si sono fatti carico di compiti che richiedono alta e altissima qualificazione, grandi competenze e grandissimo impegno: si parla infatti di sportelli per l’autismo, di acquisto e gestione di ausili, di risposte alle esigenze di formazione e supporto dei docenti.

Nel corso degli anni, si sono susseguiti i CTRH (Centri Territoriali Risorse per l’Handicap), i CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione) e appunto i CTS. Ultimo arrivato è il GIT (Gruppo per l’Inclusione Territoriale). Sono nate le Scuole Polo per l’inclusione, le Scuole Polo per la Formazione, le Scuole Polo Provinciali per l’Inclusione, che potevano non coincidere con alcuno degli organismi esistenti (e magari attivi e propositivi). I Distretti Scolastici sono stati sostituiti dagli Ambiti (che per altro non coincidono con la distribuzione territoriale delle ASL, ciò che complica non poco le attività inclusive richieste alla scuola), le Province sono “scomparse”, ma le loro funzioni sono state, con non poche difficoltà e disservizi, assorbite dalle Città Metropolitane e dalle Regioni (a questo link è disponibile uno schema di supporto per avere un quadro sui vari organismi per l’inclusione).

Unica eccezione a questa deriva, dunque, sono i CTS che, nonostante tutto, tra mille difficoltà e incostanti finanziamenti, hanno continuato a mantenere viva la rete nazionale e a svolgere un’importante funzione di polo di riferimento e di spinta innovativa.
In tal senso, la più recente incongruità riguarda il finanziamento dei corsi di formazione di venticinque ore sull’inclusione, per i docenti curricolari e i docenti di sostegno non specializzati, la cui gestione, quest’anno, è stata attribuita “a sorpresa” alle Scuole Polo della Formazione, creando un certo sbigottimento,  se è vero che negli ultimi due anni essa era stata affidata alle Scuole Polo Provinciali per l’Inclusione le quali coincidono (anche se purtroppo solo per il 60% circa) con i CTS. Questo aveva permesso, nella maggior parte dei casi, un’alta qualità dei corsi attivati e un notevole risparmio, coinvolgendo le scuole in corsi di formazione condivisi.

L’ultima proposta che aggraverebbe la proliferazione di organismi di governance scolastica è il Disegno di Legge n 2313, presentato da circa quaranta senatori, che non sembrano conoscere la realtà scolastica, proponendo l’istituzione di nuove Scuole Polo per il sostegno e lo sviluppo della comunità educante, con un finanziamento di 100 milioni l’anno. Altri organismi, dunque, che verrebbero a sovrapporsi in parte a ciò che esiste e a disperdere risorse economiche.
Ma come si fa a sostenere che organismi come i CTS, attivi sul campo da oltre quindici anni con buoni risultati, debbano esistere senza alcun onere per lo Stato e poi proporre una spesa così ingente per crearne di nuovi partendo da zero? Sarebbe l’ora di fare una proposta organica che partisse da quello che già esiste. E sarebbe soprattutto auspicabile che Pareri come quelli espressi dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione non cadessero nel nulla, ma che si mettese davvero mano a snellire, riordinare, uniformare e garantire il buon funzionamento dell’inclusione.

Insegnanti. Fernanda Fazio fa parte del Comitato Tecnico Scientifico del CTS (Centro Territoriale di Supporto) dell’Istituto De Amicis-Cattaneo di Roma; Nicola Striano è referente dello stesso CTS.

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